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illusioni, tuttavia difficilissimamente noi riusciamo a sottrarvici quand'esse sono come questa addirittura delle leggi psicologiche. Si ha un bel dire: « È stolto consolarsi, pur lagnandosi » che ogni volta collo sfogo ci sentiremo davvero sollevati, perchè avremo se non altro soddisfatto il bisogno di aprire il nostro animo, e ci saremo per tal modo procurato un piacere, che sebbene piccolo pur giova a distrarre momentaneamente la nostra attenzione dal lamentato dolore.

Ma il poeta non può ragionare a questa maniera ed è facile anche il trovarne la ragione. Bisogna sempre partire dal concetto che la natura sua è una natura ricca di sentimento. Ora appena al poeta (che fino a questo punto può essere stato meditativo quanto un filosofo) balena il triste pensiero ch'egli ha perduto anco una illusione e che per conseguenza non ne godrà mai più, è tanto il predominio in lui del sentimento sulla ragione che non può più andare oltre nel ragionamento, ricominciando a far la critica della sua ultima conclusione per rifarla di una nuova e cosi di seguito, ma cade tosto in un siffatto scoramento da non poter altro che piangere. Ed è da un moto simile che nasce questo breve canto alla luna.

O graziosa luna, io mi rammento

Che, or volge l'anno, sovra questo colle
Io venia pien d'angoscia a rímirarti :

Subito dai primi versi traspare la intonazione di rammarico che domina tutto il canto. In due soli v'è un piccolo accenno a un leggero piacere che il poeta prova e a constatare che la scena è sempre la stessa e perchè realmente la scena è bella. E questi versi sono i due seguenti:

E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.

E poi continua:

Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, chè travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile,
O mia diletta luna.

Cosicchè ripiglia lo stesso tono di prima e tuttora lo si sente «pien d'angoscia ».

Tuttavia lo sorprendiamo in un momento di cosi sincero abbandono, che gli udiamo fare quella confessione interessante di cui ho più sopra fatto parola; infatti dice:

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E in questo ha veramente ragione. È vero, giova talora il ricordarci dei mali sofferti, e che tuttora si soffrono, fa bene, è come destare in noi una compassion di noi stessi che ci è forse più cara e più benefica, alle volte, dell' altrui conforto. Ma quale amarezza in questa confessione! Il poeta ha già in mente che questa è una delle tante illusioni giovanili e si sente mancare il coraggio e con un estremo lamento lo dice:

Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme, e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,

Ancor che triste, e che l'affanno duri!

E non ha più nulla da dire, si tace; ma l'effetto della poesia coinincia, si può dire, di là; e l'animo sensibile del lettore vi fantastica dietro chissà che cose e certo se ne sente una stretta al cuore. Povero Leopardi!

III.

IL TRAMONTO DELLA LUNA

<<< Il tramonto della luna », « Il passero solitario », « La quiete dopo la tempesta », « Il sabato del villaggio » sono poesie del medesimo genere. In tutte e quattro da uno spettacolo della natura, da un genere di vita, da uno stato di riposo o dal fermento d'un'aspettazione trae argomento il poeta a paragoni, a confronti, a conclusioni lamentose.

Tutte le volte egli determina bene o lo spettacolo naturale, o il genere di vita, o il risveglio, o il fremito di desiderio che diede origine alla sua ispirazione e che probabilmente, reso appunto come egli l'ha percepito, porrà il lettore in uno stato d'animo affine al suo, si ch'egli potrà cosi trascinarlo seco anche nei consecutivi rivolgimenti della sua anima.

in notte solinga,

Sovra campagne inargentate ed acque,
Là 've zefiro aleggia,

E mille vaghi aspetti

E poi continua:

Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, chè travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile,

O mia diletta luna.

Cosicchè ripiglia lo stesso tono di prima e tuttora lo si sente «pien d'angoscia ».

Tuttavia lo sorprendiamo in un momento di cosi sincero abbandono, che gli udiamo fare quella confessione interessante di cui ho più sopra fatto parola; infatti dice:

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E in questo ha veramente ragione. È vero, giova talora il ricordarci dei mali sofferti, e che tuttora si soffrono, fa bene, è come destare in noi una compassion di noi stessi che ci è forse più cara e più benefica, alle volte, dell' altrui conforto. Ma quale amarezza in questa confessione! Il poeta ha già in mente che questa è una delle tante illusioni giovanili e si sente mancare il coraggio e con un estremo lamento lo dice:

Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme, e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,

Ancor che triste, e che l'affanno duri!

E non ha più nulla da dire, si tace; ma l'effetto della poesia comincia, si può dire, di là; e l'animo sensibile del lettore vi fantastica dietro chissà che cose e certo se ne sente una stretta al cuore. Povero Leopardi!

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III.

IL TRAMONTO DELLA LUNA

<<< Il tramonto della luna », « Il passero solitario », « La quiete dopo la tempesta », « Il sabato del villaggio » sono poesie del medesimo genere. In tutte e quattro da uno spettacolo della natura, da un genere di vita, da uno stato di riposo o dal fermento d'un'aspettazione trae argomento il poeta a paragoni, a confronti, a conclusioni lamentose.

Tutte le volte egli determina bene o lo spettacolo naturale, o il genere di vita, o il risveglio, o il fremito di desiderio che diede origine alla sua ispirazione e che probabilmente, reso appunto come egli l'ha percepito, porrà il lettore in uno stato d'animo affine al suo, si ch'egli potrà cosi trascinarlo seco anche nei consecutivi rivolgimenti della sua anima.

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