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Ora descrive la desolazione di questo novo stato, quando cioè era caduto in una quasi completa indifferenza, in una vera apatia antipoetica.

Quante querele e lacrime
Sparsi nel novo stato

Quando al mio cor gelato
Prima il dolor mancò!

V'è in questi versi un' aperta contraddizione; che abbiamo cercato di togliere dicendo più sopra quasi completa indifferenza; tanto è forte in lui la sua natura affettiva, come siamo venuti notando altrove, e come il Graf dimostrò in un suo splendido scritto (), che quando appunto dice d'aver avuto il cor gelato e privo di dolore, senza scorgere la contraddizione dei termini, confessa d'avere sparso querele e lacrime. Ma sarebbe stolta pedanteria il non volerlo capire. Si, non era del tutto gelato il suo cuore; soffrira ancora di non soffrir più; ma realmente, in ogni modo, gli eran venuti meno gli affanni di prima, i teneri moti della prima età. Difatti lo spiega:

Mancar gli usati palpiti,

L'amor mi venne meno,
E irrigidito il seno
Di sospirar cessò!

Enumera i palpiti perduti:

Piansi spogliata, esamine
Fatta per me la vita;
La terra inaridita,
Chiusa in eterno gel;
Deserto il di; la tacita

Notte più sola e bruna,

Notate come ciò si concreta in un'immagine.

Spenta per me la luna,

-

1

Spente le stelle in ciel.

(") Articolo citato (V. pag. 59).

Di fatti cos'è la vita senza un poco di poesia? Senza la dolce virtù del sentire, che popola questo mondo di care immagini, di dolci sogni e di gentili errori, senza le vibrazioni dell'animo che anima l'universo, la vita ci appare « spoglia, esanime », la terra un deserto, tutto freddo, indifferente per noi. Siamo noi infatti che animiamo i paesaggi, e noi che ci chiudiamo ad ogni virtù fascinatrice della natura; se il nostro animo si fa muto, se vengono per mala ventura a disseccarsi in noi le fonti del sentimento, o se arido abbiam sortito dalla nascita il cuore, più nulla,ha virtù di scuoterci e di commuoverci; e assistiam freddi, apatici al levare ed al calar del sole, ai sorrisi del cielo e all'imperversare delle tempeste.

Deserto il dì; la tacita

Notte più sola e bruna,

inaridite e secche le fonti del sentire, gliene sembrano spente le cuase esteriori

Spenta per me la luna,
Spente le stelle in ciel.
Pur di quel pianto......

Egli ben nota a questo punto che ancora piangera. Forse lo sapeva anche da principio; ma la complicazione dei nostri sentimenti non permettendoci sempre di vederne nettissimi i rapporti vuole che alcuna volta li esprimiamo come meglio si può non senza qualche contraddizione di termini. Le quali contraddizioni chi si avvisasse di togliere dal nostro linguaggio si mostrerebbe ben povero filosofo e ben disgraziato parlatore e scrittore. Il volerle togliere è impresa disperata; il farlo è uccidere al primo loro nascere mille ispirazioni.

Egli nota che ancora piangeva; ma va più oltre, scopre le ragioni di tal pianto e pone in luce, senza forse volerlo, una legge che la scienza moderna ha

salutata vera: voglio dire la legge dell' Evoluzione; quella legge per cui, tra gli altri risultati, non si può più credere ad un risorgimento subitaneo, ex nihilo, di uno stato che era un tempo, poi scomparve del tutto; ma bensi soltanto al rinvigorirsi di potenza che indebolita fino a divenir trascurabile, si è a poco a poco rilevata, finchè, per una qualsiasi favorevole circostanza, (spesso ma a torto ritenuta la vera causa del fatto), finalmente risorge.

Pur di quel pianto origine

Era l'antico affetto;

Cioè: ecco il vero che il poeta divinamente intuisce :

Nell' intimo del petto

Ancor viveva il cor.

Vedasi il commento alla poesia « A sè stesso » e si potrà aggiungere lå alla semplice esposizione d'una legge psicologica la conferina che lo stesso poeta ne dà. Chi sorti dalla natura il dono di aver cuore, ne avrà sempre, nè questo poserà mai definitivamente; patirà delle crisi, avrà dei letargi, ma non morirà finchè dura nell'organismo cui è annesso la vita.

E non meno del cuore era viva la fantasia, altra dote nativa dal poeta-filosofo.

Chiedea l'usate immagini
La stanca fantasia,

E la tristezza mia
Era dolore ancor.

Cioè la tristezza del novo stato in cui era cduto, tristezza fredda, indifferente a petto della viva, profonda angoscia che innanzi lo divorava, era ancor essa dolorosa come l'altra.

Ma badate tutto ciò nei primi tempi, quando prima al suo cor gelato venne meno il do

lore. Ma ben presto svani anche questa vivacità dolorosa in lui: se non del tutto, quasi del tutto. E benché il cuore non gli fosse veramente morto, come abbiamo notato e come, con nostra soddisfazione, ripete ancora qui il poeta, tuttavia l'impotenza al dolore era giunta quasi al suo massimo:

Fra poco in me quell'ultimo
Dolore anco fu spento,
E di più far lamento
Valor non mi restò.
Giacqui: insensato, attonito,
Non dimandai conforto;
Quasi perduto e morto,
Il cor s'abbandonò.

E il poeta si meraviglia a pensare al suo cangiamento. E l'associazione di idee è naturalissima, spontanea affatto.

Qual fui! Quanto dissimile

Da quel che tanto ardore,
Che si beato errore

Nutrii nell'alma un dì!

E poi dopo avere espresso cosi sinteticamente la mutazione in lui avvenuta, come è naturale, la analizza per fare che il lettore non creda ad una semplice esclamazione rettorica, ma sia tratto a simpatia con lui e si convinca che quanto ei dice è vero:

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Alcuni di questi tocchi sono così magistrali che non resisto alla tentazione di farne notare la grandissima eloquenza.

<< All'autunno pallido »: la potenza di certe frasi sta nella grande loro virtù significativa; che acquistano o, come qui, cogliendo un carattere principale delle cose descritte, o, come altrove, raggruppando, comprendendo in una sola nota più fenomeni. Qui l'epiteto << pallido » è singolarmente felice, cogliendo appunto la caratteristica dell' autunno, che è l'attenuamento del colore.

-

<< Brillare il vespero per muto calle » anche qui è colto il carattere della sera: lo sfolgorar di luci nel silenzio. Ora potrà variare, non nego, la rappresentazione particolare che ognuno si farà di ciò, ma in nessuna potrà mancare questo carattere, che ha da esserne il sostrato. Ognuno si immaginerà quello spettacolo che gli è più abituale, cui una sua peculiare attitudine mentale gli fa prediligere; l'uno penserà a un lago nero, chiuso fra altissimi monti, riflettente in un angolo il fuoco del cielo; l'altro a una stradicciuola campestre, sepolta tra due muri o fiancheggiata da siepi o da alberi, da cui si scorge un solo lembo di cielo dorato; un terzo a una immensa pianura, a una landa sterminata; ma alcuno non penserà a movimento, a suono. Fin dove si potrà stendere lo sguardo, fin dove giungerà l'udito, regnerà la più profonda quiete, il più alto silenzio.

E nulla di tutto questo lo toccò più: pareva morta in lui la Poesia. Ma perchè? perchè tutto sapea vano: vani i moti simpatici verso animali (rodinella e usignuolo) che semplici meccanismi naturali non racchiudono un cuore capace di battere all'unisono col nostro e che quando più noi li ammiriamo e ci animiamo ai loro più insignificanti atteggiamenti, meno han cura di noi; stoltissimo poi l'amore alla natura, che cieca e sorda alle no

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