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95. Da la gran madre antica alzasse il capo.
L'ostrica allor su le pendici alpine
La marmorea locò famiglia immensa :
Il nautilo contorto a l'aure amiche
Apri la vela, equilibrò la conca;
100. D' Africo poscia al minacciar, raccolti
Gl'inutil remi e chiuso al nicchio in grembo,
Deluse il mar: scola al nocchier futuro;

95. La gran madre antica: La terra, così detta perchè tanto dalla leggenda pagana come dalla cristiana l'uomo si fa nascere dal fango. Il Petrarca ha: Tutti tornate alla gran madre antica. E il Tasso: Altri adora le belve, altri la grande Comune madre.

96. L'ostrica allor ecc.: L'ostrica allora collocò sulle pendici alpine la sua immensa famiglia di marmo, cioè le conchiglie di calcare.

98. Il nautilo ecc.: 11 M. più esattamente avrebbe dovuto dire l'argonauta. È appunto l' argonauta il mollusco che ha una conchiglia rassomigliante ad una barchetta, e del quale si dice che, quando l'aria gli è favorevole, equilibra il suo guscio mettendo fuori quattro lunghe braccia a modo di remi, e innalzando due tentacoli allargati a guisa di vela. Ma se il mare si sconvolge, abbassa la vela, ritira i remi, capovolge la nave e va a ripararsi in fondo al mare.

100. Africo: Vento che spira dall' Oriente. Qui è adoperato per vento in generale, il quale origina la burrasca.

101. Gl' inutil remi: Cioè le braccia, che all' argonauta servono come di remi. Inutili perchè incapaci di resistere alla forza della procella. Questi troncamenti nel plurale, di cui il M. abusa, sono tutt'altro che lodevoli.

102. Deluse il mar: Ingannò il mare quasi prendendosi gioco di esso; si difese chiudendosi nel suo guscio. Scola al nocchia futuro: Il nautilo fu scuola al navigante, cioè insegnò all'uomo l'arte del navigare.

Cresceva intanto di sue vote spoglie,
Avanzi de la morte, il fianco al monte.
105. Quando da lungi preparato, e ascosto
A mortal sguardo, da l'eterne stelle
Sopravvenne destin; lasciò d'Atlante,
E di Tauro le spalle, e in minor regno
Contrasse il mar le sue procelle e l'ire:
110. Col verde pian l' altrice terra apparve.
Conobbe Abido il Bosforo; ebbe nome
Adria ed Eusin; da l'elemento usato
Deluso il pesce, e sotto l'alta arena

103. Vote spoglie: Le conchiglie dell' argonauta. Nella prima edizione si legge questo solo verso in luogo dei v. 103 e 104: E il monte intanto di sue spoglie crebbe.

105. Quando ecc.: Costruisci: Quando (un) destino preparato da lungi (ossia da lungo tempo) e ascosto a sguardo mortale (ossia impreveduto) sopravvenne dall'eterne stelle (ossia dal cielo, da Dio).

107. Lasciò d' Atlante ecc.: Il mare si ritirò dal nord dell'Africa e dell' Asia Minore. Atlante: catena di montagne del nord dell' Africa.

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108. Tauro; Catena di montagne dell' Asia minore, che comincia in prossimità dell' Eufrate.

110. Altrice: alimentatrice.

111. Conobbe ecc.: Il Bosforo (propriamente stretto di Costantinopoli, ma qui, per estensione, il Mar di Marmara) conobbe Abido, cioè vide sorgere il luogo che ebbe poi nome Abido (oggi Nagara) sulla spiaggia asiatica dell' Ellesponto. Ebbe nome ecc.:

Si formarono ed ebbero perciò nome l'Adriatico (Adria) e il Ponto Eusino (Eusin), oggi Mar Nero.

112. Elemento usato: L'acqua.

113. Deluso: Ingannato, abbandonato.

Sepolto, in pietra rigida si strinse :
115. Vedi che la sua preda ancora addenta!
Queste scaglie incorrotte, e queste forme
Ignote al novo mar manda dal Bolca
L'alma del tuo Pompei patria, Verona.

Queste ossa, che si trovano nelle terre irrigate dal Ticino, furono lasciate dagli elefanti di Annibale? O non piuttosto viveano qui degli elefanti anche prima che Annibale scendesse dalle Alpi, quando Roma non ancora esisteva, e prima che Didone imprecasse i lidi contro i lidi e le armi contro le armi ?

Son queste l'ossa, che lasciàr sul margo 120. Del palustre Tesin, da l'alpe intatta

114. In pietra rigida si strinse: Si petrificò.

116. Queste scaglie ecc. Costruisci: Verona, l'alma patria del tuo Pompei, manda dal Bolca queste scaglie incorrotte e queste forme ignote al novo mare.

117. Ignote al novo mar ecc.: Il M, accenna a quelle specie di pesci, che si trovano fossili negli strati del monte Bolca e che oggi non esistono più.

118. Girolamo Pompei, veronese, nacque nel 1731, mori nel 1788. Tradusse le vite di Plutarco e compose versi e prose di molto pregio. Qui è detto tuo Pompei perchè molto amico di Lesbia, la quale dimorò presso di lui in Verona, e ne pianse la morte in versi.

119. Son queste ecc.: Sono queste le ossa che le belve africane, cioè gli elefanti condotti dai soldati di Annibale, discese dalle alpi intatte, cioè non mai prima superate, lasciarono nelle terre irrigate dal Ticino? Il poeta allude alle ossa di elefanti fossili che si trovano nella pianura del Po e del Ticino. Egli accenna a una falsa opinione, ma la nega poi subito nei versi seguenti.

Dietro a la rabbia punica discese,

Le immani afriche belve? o da quest' ossa,
Già rivestite del rigor di sasso,

Ebbe lor piè non aspettato inciampo? 125. Chè qui già forse italici elefanti

Pascea la piaggia, e Roma ancor non era;
Né lidi a lidi avea imprecato ed armi

122. O da quest' ossa ecc.: O non piuttosto queste ossa si trovavano qui anche prima della discesa di Annibale, ai soldati del quale furono inciampo? Qui l'autore allude all' opinione giusta, secondo la quale quelle ossa di elefanti appartennero a specie vissute in Italia in altre epoche geologiche.

123. Già rivestite del rigor di sasso: Già pietrificate.

126. Piaggia: In poesia vale un luogo qualsiasi.

127. Ne lidi a lidi ecc.: Nè Didone, abbandonata (deserta) da Enea, aveva ancora imprecato augurando ai troiani guerra eterna. Qui il M. allude alla imprecazione di Didone, mentre vede le navi di Enea allontanarsi, nel libro IV dell'Eneide.

La riferisco nella traduzione di Annibal Caro:

Sole, a cui de' mortali ogni opra è conta;
Giuno de le mie cure, e de' miei falli
Pronuba consapevole e mezzana ;
Ecate, che ne' trivi orribilmente

Sei di notte invocata; ultrici Furie,

Spiriti inferni, e Dii de l'infelice

Dido ch'a morte è giunta, il mio non degno
Caso riconoscete, e insieme udite

Queste dolenti mie parole estreme.

Se forza, se destino, se decreto

È di Giove e del cielo; e fisso e saldo
È pur che questo iniquo in porto arrivi
E terra acquisti; almen da fiera gente
Sia combattuto; e de' suoi fini in bando,
Da suo figlio divelto implori aiuto,

Contrarie ad armi la deserta Dido.

Vicino alle ossa degli elefanti sono in gran copia materie vulcaniche. È bello vedere la lava dell'Etna, e i lapilli dello Stromboli, che è in continua eruzione, e del Vesuvio. Queste ceneri coprirono Ercolano e Pompei, città che, dopo essere state sepolte per molti secoli, ora rivedono la luce. Non lungi accusan la Vulcania fiamma

E perir veggia i suoi di morte indegna.
Nè leggi che riceva, o pace iniqua
Che accetti, anco gli giovi; nè del regno,
Nè de la vita lungamente goda:

Ma caggia anzi al suo giorno, e ne l'arena
Giaccia insepolto. Questi prieghi estremi
Col mio sangue consacro, E voi miei Tiri,
Co i discesi da voi tenete seco

E co' posteri suoi guerra mai sempre.
Questi doni al mio cenere mandate,
Morta ch'io sia. Nè mai tra queste genti
Amor nasca, nè pace; anzi alcun sorga
De l'ossa mie, che di mia morte prenda
Alta vendetta, e la dardania gente
Con le fiamme e col ferro assalga e spenga
Ora, in futuro e sempre; e sian le forze
A quest' anino eguali: i liti a i liti

Contrari eternamente, l'onde a l'onde,

E l'armi incontro a l'armi, e i nostri ai loro

In ogni tempo.

128. Dido o Didone: Figliola di Belo, re di Tiro, sorella di Pigmalione e vedova di Sicheo. Amò Enea, che fece naufragio nelle coste dell'Africa, e tanto si sdegnò di non poterlo ritener con lei, che, alzato un rogo in riva al mare, ed ascesavi sopra, si cacciò un pugnale nel petto a vista delle navi di lui. Vedi l'Eneide di Virgilio.

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