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noioso più che il Petrarca, senza stimolo di fama o di lode all'Autore; pregò l'Editore ad aver compassione del suo nome che, dopo il lavoro pedantesco sul Petrarca, ne sarebbe scapitato. Anonima l'opera l'avrebbe compilata colla stessa cura, attenzione e minutezza dell'altra. E, come tale, fu convenuto (Lett. 29 luglio 1826). Ma poi gli parve assai superiore alle sue incerte condizioni di salute e pensò di farne tutt'al più, un'edizione compendiata. In fine, riflettendo che l'integrità è un gran pregio, e il solo nome di compendio suona male, rimise queste considerazioni al giudizio dell'editore (II, 163). Cosi ne fu deposto il pensiero.

Oramai la sua fama era fermata; e l'Accademia de' Felsinei, derogando, per deferenza a Lui, alle sue consuetudini, lo invitò a recitare una sua composizione. Cosi, nella tornata accademica solenne del lunedi di Pasqua, senza essere socio, recitò al Casino dell'Accademia l'Epistola a Carlo Pepoli, in presenza del Legato e del fiore della società bolognese (II, 119). Con questa peesia, Egli iniziava, a giudizio del Mestica, il suo secondo periodo poetico, nel quale ei dovea presentare una nuova lotta di sè stesso con le risorgenti illusioni dell'amore.

CAPITOLO XII.

Ancora a Bologna

SOMMARIO: 1. Sue conoscenze. 2. Termina il lavoro sul Petrarca. 3. Visita la tomba di Dante. - 4. Il suo ritratto. 5. Si muove alla volta di Recanati.

1.

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Fra le persone conosciute a Bologna, vi era stata la famiglia Tommasini, del celebre medico, la quale quasi convisse col Poeta, di cui era presa d'ammirazione e d'affetto. Ma una donna vi fu che, amante de' buoni studi, di mente superiore, lo intratteneva ogni sera nel suo salotto in cosi geniale conversare, da fargli dimenticare le sue miserie.

Teresa Carniani (II, 164), fiorentina, nata nel 1785 e fin dal 1802 maritata al conte Francesco Malvezzi in Bologna, era più graziosa che bella; non più giovane, suppliva con la grazia e lo spirito alla gioventù e le creava un'illusione meravigliosa (II, 139). Aveva avuto lezioni d'Italiano e di Filosofia dal Biamonti e dal Costa, di latino da Garatoni e dallo Strocchi, d'Inglese dal Mezzofanti. Aveva scritto poesie del genere tenue e tradotto il Riccio Rapito del Pope, e in prosa l'opera filosofica di Cicerone: Della natura degli

Dei. Mori nel 1859.

"Non parlavano d'amore, ma si corrispondevano di

un'amicizia tenera e sensibile, con un interesse scambievole e un abbandono, che era come un amore senza inquietudine „. Si confidavano tutti i loro segreti, si riprendevano, si avvisavano de' loro difetti. Insomma questa conoscenza formava nella mente di Giacomo un'epoca ben distinta di tutta la sua vita; perchè lo avea disingannato del suo disinganno e l'avea convinto che ci sono al mondo dei piaceri, ch' Egli credeva impossibili. Gli aveva risuscitato il cuore dopo un sonno, anzi una morte durata tanti anni (II, 139).

Nè potè frenare per questa donna "il delirio e la febbre, di che s'era acceso, sì che per gelosia ebbe disgusti col Ricci (III, 432).

Ma s'ingannava, credendo la donna capace d'astrarre completamente dalle circostanze che la circondavano. Egli vivea d'idealismo e pensava che tutti, come lui, potessero rimanere in eterno nel mondo de' sogni e delle chimere. Ma la sorgente della vera poesia, della sana poesia esiste solo nella realtà. Di qui ne venne che a lui, contraffatto e malato, non poteva a lungo corrispondere uno spirito che albergava in corpo sano e vigoroso. Si era figurato un idolo nella mente, e nel cammino della vita, trovata una creatura che molte delle qualità da lui attribuite all'idolo suo aveva, Ei l'adorò con entusiasmo, le si affezionò con un abbandono il più completo. Finchè questa donna astrasse per poco da questa terra e si compiacque dell'amplesso. spirituale col novello amico, fu occasione a lui di aprirgli il cuore alla speranza, da poter credere di "essersi disingannato del disinganno,,; ma ben presto l'idillio fini, non appena entrambi furono ricondotti dal cielo, in cui si erano sollevati, alla terra reale, abituale loro dimora.

In breve, appena quella gentil donna si accorse di avere, colla sua intimità, acceso troppo vivo desiderio

di sè nell'amico, cui non dovea più di una semplice conversazione e più di un puro diletto dello spirito, gli fece all'improvviso conoscere che non le era lecito procedere più oltre; anzi un bel di gli disse, che la sua conversazione da solo a solo l'annoiava (II, 210).

E allora l'innamorato, richiamato alla realtà delle cose bruscamente, si destò anche dal nuovo sogno, e trafitto nel più vivo del cuore, ricadde nel suo dolore antico.

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Anche pare indubitato che nella stessa Bologna abbia sentito un altro amore per altra donna, della quale si vergognava a dire, che essa, vedendo che ei non andava più da lei, avea mandato a domandare delle sue nuove, l'avea invitato a pranzo, senza che egli avesse voluto mai più rivederla,, (II, 216).

E non può essere la Malvezzi, perchè assicura che "la gioventù, le bellezze, le grazie di quella strega erano tanto grandi, che ci volea molta forza a resistere„. Mentre l'altra non era più giovane, ma aveva 40 anni suonati. Era maritata: avea un paio d'occhi che gli parevan belli ed una persona pur bella (II, 128).

Era dessa madama Padovani, di cui — " fanno cenno più lettere di Giacomo allo Stella e dello Stella a lui, una lettera della sorella Paolina, una al Pepoli, un'altra al Papadopoli; le quali due ultime, sebbene ce ne tacciano il nome, ci forniscono le maggiori notizie su quest'avventura; tutte poi si corrispondono cosi bene, nella determinazione dei fatti e delle circostanze, da non lasciare più alcun dubbio sull'autenticità dell'avventura medesima. Esse ci dicono che l'ignota diva era una signora molto giovane, molto bella, molto graziosa e seducente, probabilmente milanese, molto amica della famiglia Stella e maritata a un Padovani che stava a Modena. Si trovava a Bologna nel 1826-27, ov'era venuta per

istudiarvi la musica e il canto e iniziarsi nella carriera teatrale, e nel 1826 abitava nello stesso albergo e allo stesso piano di Giacomo, il quale aveva perciò occasione di vederla e parlarle più volte il giorno,, (RIDELLA, 237-38).

2.

Oramai il nome di Lui correva sulle ali della fama. Si meravigliavano i suoi a Recanati, che di lui si parlasse e scrivesse all'estero come di un gran filologo, quando in Italia era noto appena come poeta.

E chiedevangli con insistenza spiegazioni in proposito, non senza dissimulargli il gran desiderio che avevano di riabbracciarlo cosi glorioso com'era divenuto. L'orgoglio del loro nome se ne risentia profondamente e cominciavano ad essere gelosi di Lui. S'aggiunga che le pessime condizioni della pubblica sicurezza (II, 146), i disinganni in amore, le crudezze del clima e la mancanza di certe comodità della vita per iscarsezza di mezzi, facevano anche a Giacomo pensare alla casa sua, alla tanto abborrita Recanati (II, 147). Perchè il suo sentimento dominante fu dovunque un amor grande alla famiglia; questa la ragione per cui, da lontano la desiderò sempre. Laonde, quando il pa. dre, la sorella e Carlo, messolo sempre più in guardia contro i pericoli di Bologna, a luglio cominciarono ad invitarlo a casa; Egli non esitò a promettere loro che in autunno li avrebbe esauditi.

Non valse che il Giordani lo chiamasse a Firenze; chè, pur accettando in massima l'idea di andare a vedere questa città, rispose che per ora non potea, perchè, fra l'altro, a luglio avea divisato di pubblicare una raccolta di traduzioni italiane di tutti gli autori latini fino al III e IV secolo,, (II, 153).

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3.

- Il 2 agosto si recò a Ravenna ad inchinarsi sulla tomba di Dante e fu ospite del marchese Antonio

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