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di tanta forza, che sollevasse come piuma la mole grave dell'erudizione. Cosi, vigoroso e fervido, usci da quel pelago, dove sogliono gli altri affogare la fantasia, sterilire la mente, e talora anche storcere il giudizio: ma appena l'aspetto degli ameni poggi e del sottoposto mare, e più il suo cuore ardente, spuntando la primavera di sua vita, lo alzarono alla poesia; Egli si trovò abbondante di pensieri, quanto era bollente di affetti magnanimi e si senti fornito d'arte a poetare (P. GIORDANI, 239).

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CAPITOLO VI.

Poesie patriottiche

SOMMARIO: 1. La visita del Giordani e la verità sul tema delle conversazioni fra i due amici. 2. Le canzoni all' Italia e a Dante. 3. Giudizio su di esse.

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4. Silvia.

1. A mezzo agosto, anche perchè l'amico tardava di troppo, il povero giovine cadde in un abbattimento d'animo assai maggiore d'ogni altro precedente. Vi fu un istante, in cui pel dolore di morir prima di vederlo, temè d'impazzire. Ma superò anche questo terribile momento; e potè giungere all'alba di quel giorno, da cosi lungo tempo atteso. Quantunque fosse stato fin qui sorvegliato in ogni sua relazione, e tenuto prigioniero in casa propria; pure ebbe l'insperato permesso di andar incontro all'ospite. E l'ospite desiderato scese al suo palazzo nel settembre 1818.

Con quale tenerezza lo abbracciasse, è possibile immaginarlo, ma non descriverlo.

Basta ricordare che il Nostro, con tutti i doni celesti ricevuti, quali: affetti purissimi, speranze interminate, aveva passato i primi vent' anni della vita, senza mai nemmeno uscir di casa solo! (III, 427). Al vedere un ammiratore, amico e letterato per giunta, essersi mosso di lontano paese, per venirlo a cono

scere di persona e stringere con Lui più intima l'amicizia contratta, non potè non credere ad un miracolo, od allo avverarsi d'un sogno.

Spiegabilissimo poi che il padre, in sua mente limitata, insinuasse il sospetto (che su quelle labbra parve certezza), che in que' cinque brevi giorni di permanenza in casa, il forestiero gli avesse guasto il figlio in fatto di religione, di filosofia e di politica. Vero taumaturgo avrebbe dovuto essere quel Giordani, per operar tanto e cosi presto!

Questo padre li lasciò soli; e poi attribui a sua colpa che il figlio si fosse, in que' segreti conversari, riscaldata la fantasia, come destinato ad alte imprese ed a teatro assai più vasto di Recanati (PIERGILI, Nuovi Doc., LXIV).

Ma l'insistere per provare che questo figliuolo già da tempo avea coscienza di sè e assai precocemente avea concepito queste aspirazioni, sarebbe un fuor d'opera, dopo quello che ho detto innanzi.

Piuttosto fu deplorevole che il conte Monaldo giudicasse, se non scellerato addirittura, per lo meno incauto il Giordani, per aver fomentato, co' suoi discorsi, sentimenti, secondo lui, da biasimarsi (Lettera suddetta del 3 aprile 1820).

Quello che si può asserire, senza esitare, si è, che si parlò fra i due della salute, degli studi, delle speranze italiane. Quanto alla prima, gli raccomandò di risparmiarsi, se non volea rendersi inutile a tutto. Dei secondi approvò l'indirizzo nuovo e lo incoraggiò a proseguire nella bene intrapresa via. Riguardo all'Italia, gli spiegò le dure condizioni, in che era caduta e quale contributo immenso si attendeva dallo smisurato ingegno di Lui.

Oltre questo apprese il Giordani, con vero rammarico, gli ostacoli che si frapponevano all'uscita del

l'amico da Recanati. Giacchè la famiglia si mostrava impossibilitata dal dissesto economico a sostenere le spese per mantenerlo fuori, lo consigliò a volersi adagiare nel pensiero d'un impiego dignitoso 6 leggiero, in un centro importante.

Anzi, su questo proposito, accettò di convincere Carlo Antici, che di que' di era a Recanati, ad adoperarsi a ottenere da Monaldo almeno il solo permesso pel nepote di trasportarsi a Roma, dove avrebbe potuto avere agio di completare la sua istruzione. E la cosa parve ben preparata.

Ma che schianto al cuore di Giacomo recò il doversi separare dall'amico! Quei pochi giorni erano volati via, ahi! troppo presto; il paradiso gli era stato concesso per assai breve tempo; chè il Giordani parti per Macerata dopo 5 giorni.

E qui è necessario notare che, per quanto la conversione di Lui fosse stata originata da un bisogno intellettuale, perchè la reazione della sua mente l'aveva iniziata; pure, dalla data della visita dell'ospite, progredi a gonfie vele.

Inoltre, il Giordani lo confermò in quello che già Egli stesso pensava: cioè, che sarebbe stato per Lui rimedio ad ogni male il muoversi, il distrarsi, il cercare un poco di nuovo paese e cominciare da Roma (III, 106): "Certo il muoversi di costà un poco mi pare necessario,, (III, 130).

2. Avendo ormai Giacomo compreso che la Patria era madre bisognosa dell'aiuto de' suoi più degni figliuoli, ne trasse argomento alle sue liriche patriottiche, che prima di un mese dalla partenza dell'amico aveva già pronte (Lettera 19 ottobre 1818).

Prima però di dare il titolo di quest'opera poetica, mette bene fare una sintesi delle condizioni d'animo e di coltura, per cui era passato l'Autore.

Egli, fin qui, aveva atteso a opere di erudizione e a volgarizzamenti; come la Storia dell' Astronomia, Porfirio, Vita di Plotino e di Esichio Milesio; il Commentario del Porfirio; una Collezione di frammenti di cinquanta Padri greci e della decadenza; e tutto questo dal 1811 al 1814. Nel 1815, avea composto il Saggio sopra gli errori popolari; quindi nuovamente un Commentario, quello dei Cesti di Giulio Africano, fatto seguire dai Discorsi su Mosco e su la Batrachiomachia.

Nel 1816, il saggio di traduzione dell'Odissea; le Notizie storiche ecc. di Damiata; Della fama ecc. di Orazio; il Discorso sul Frontone del Mai. Nel 1817, l'Inno a Nettuno; le Odae Adespotae; le traduzioni della Torta, della Titanomachia di Esiodo, del libro 2o dell'Eneide; i Sonetti in persona di ser Pecora fiorentino, beccaio; e infine la traduzione con note e la Lettera al Giordani sul Dionigi del Mai.

Cominciata la sua conversione letteraria, avea lasciato gli studi filologici e storici sugli antichi, per quello dei cinquecentisti italiani, e poi dei trecentisti in prosa; e, quanto ai poeti, per lo studio di Dante e del Petrarca.

Allora avea conosciuto il Giordani, e da lui era stato confortato a proseguire questi studi.

Questo letterato apparteneva a quello sciame di valentuomini, che, al principio di questo secolo, si erano prefissi di far tornare la lingua alla semplicità del trecento. Il Leopardi, sospinto su questa via, quantunque portato da' nuovi studi a condannare tutto il frutto di que' suoi primi faticosissimi; pure non potè impedire che in Lui rimanesse, quale substrato, la profonda conoscenza del mondo greco e romano.

Preparatosi cosi alle Belle Lettere italiane, s'era trovato, senz'accorgersi, di fronte a quel Petrarca, il

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