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Poco dopo il Petrarca scriveva a Benedetto XII, eletto il 12 dicembre 1334, la prima di quelle epistole, con le quali egli mirò a sollecitare il ritorno dei Pontefici a Roma e, inducendo Roma stessa a parlare, accenna chiaramente alla desolazione dell'eterna città, paragonandola al tempo nella quale essa era oggetto di timore e di riverenza <<sponsis comitata duobus ». Ma l'uno dei due sposi è, come osserva giustamente il Filippini, « tenuto in disparte », tant'è vero che il Poeta stesso sembra dimenticarsene, quando induce Roma a dire al Papa, che egli era tutto per lei:

... solus enim et anima nobis, 4

solus eras per quem poteram formosa manere.

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E notiamo di passaggio che anche l'impresa del Bavaro è condannata in questa epistola, giacché essa diede luogo alla nomina dell'antipapa, del quale è detto che poté reggersi finché s'ebbe cinta al fianco la spada tedesca.

Poem. min., v. 3o, pag. 110.

2 Ibid.

3 FILIPPINI, op. cit., v. XI, pag. 4.
▲ Poem, min., loc. cit.,.pag. 114.

Ibid., pag. 120.

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Quanto poi al dolore che Roma dimostra per
Cesare assente, esso non è senza conforto, se il
Poeta le fa dire, alludendo a quello:

Ille vagus profugusque sinu discedere nostro
sustinuit, nostrique illum Germania secum
abstulit immemorem; vulnus iam longa

cicatrix adstrinscit, lacrimasque valens siccare vetustas
intulit antiqui paulatim oblivia damni.

Quale eloquente differenza tra questa Roma
obliviosa di Cesare e quella di Dante che,

piagne

redova e sola e di e notte chiama :

Cesare mio, perché non m'accompagne?

La necessità della residenza dell' Imperatore

in Roma, se non è nei versi del Petrarca, come

a me sembra, chiaramente esclusa, certo non vi

è neppur lontanamente affermata.

La seconda esortatoria a Benedetto XII nom

contiene che un fuggevole cenno dell' Imperatore,
là dove è detto di Roma, esser essa «... orba ve-

rendis coniugibus » '; tutto il resto della epistola
non è che una esaltazione dell'antica potenza di
essa, ad attestare la nobiltà di quella sede al Pon-
tefice. Che quel cenno stesso poi sia qualcosa
meno d'un luogo comune, è dimostrato da quanto
il Petrarca scrive nell'ultima parte della sua epi-
stola. Torna, egli dice al Pontefice, e Roma ri-
fiorirà,

alma fides et amor, tranquillaque terris

pax vigeat; toto cedet pirata profundo;

cedat pestis aquis, cedant contagia coelo.

Sit felix successus agris, sint laeta per urbes

ocia 2

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Né meno fugacemente è accennato all'Imperatore

nella epistola a Clemente VI, dove è chiamato
<<< minore sposo » e si muove il solito lamento
per la casa « coniugibus orbata.... ».

Vedasi ora se da tali fuggevoli accenni alla
residenza in Roma dell' Imperatore, i quali non
hanno evidentemente altro che un valore storico
e sono resi necessarî dal confronto, che il Pe-
trarca pur deve fare, tra la Roma del passato,
sede delle due autorità, e la squallida Roma del
presente, si possa ricavare che « il Petrarca espri-
meva nel modo piú assoluto il concetto della ne-
cessaria coesistenza nella gloriosa capitale delle due
supreme autorità, Pontefice e Imperatore; » che
<<< senza di esse non vi può essere salute per Roma,
non per il mondo, la cui sorte, nel suo pensiero,
a quella di Roma è indissolubilmente legata » 3.
Ora nell' epistole del Petrarca, del mondo non
è neppur fatta parola; Roma vi appare già ras-
segnata all'assenza di Cesare e speranzosa di aver
pace e spirituali e civili incrementi dalla sola pre-
senza del Pontefice, come più sopra abbiamo visto,
mentre la necessità del dominio di Cesare, non fu
dal Petrarca affermata mai; neppur nel periodo
del suo maggior entusiasmo per l'antica Roma.

Ibid., pag. 4.

2 Ibid., pag. 22.

5 BRIZZOLARA, op. cit., pag. 244 e ZUMBINI, op.
cit. pag. 174, scrive: « La podestà imperiale è giudica ta
non meno necessaria di quella del Papa ».

L'ultima esortatoria di cui abbiamo parlato è del 1342; in quel tempo il Petrarca nelle tranquille solitudini di Selvapiana attendeva alacremente alla composizione del poema Africa, già iniziato a Valchiusa, forse fin dal 1338, nel quale è glorificato il miglior figlio di Roma, Scipione il vecchio e la storia romana, col solito mezzo delle profezie e delle visioni, vi è passata in rassegna. Sebbene siano teatro degli avvenimenti di quel poema la Spagna prima e poi l'Africa, l'imagine di Roma campeggia, ben s'intende, in tutto il lavoro e, con Roma, è glorificato, come gloria italiana, l'impero romano, ne è lamentata la decadenza politica e predetta la perennità del nome. Vi si espongono, per giudicare dei concetti storici e politici del nostro poeta, giudizî e presagi che è bene esaminare.

C'interessano sopra tutto due luoghi. Il primo è la rassegna delle glorie romane passate e future che il padre fa a Scipione. Cogliamo di questo intanto quei tratti che valgano per il nostro assunto, raffrontandoli ad altri passi del nostro autore.

Tarquinio il superbo è detto: « Rex ferus et feritate bonus »', giacché con la sua superbia

1 Africa F. Petrarchae, curante F. Corradini, in Padova a F. Petrarca, Padova, 1874, lib. I, v. 545.

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