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in lontani paesi. Giovanni Villani poi dice che fatto cherico e tonsurato, pe' suoi meriti ottenne la pieve di Calenzano, beneficio assai ricco, e che gli potea apparecchiare ozio alle lettere. Ma la mala invidia, che sola a sè medesima desidera ricchezze e onori, lo costrinse dopo lungo litigio ad abbandonare quel beneficio e lo gittò in tanta povertà, che dovette andar mendicando. Cosi afferma il Villani, e ne incolpa il pastore fiorentino. Del resto, benchè Arrigo si compianga della propria sventura in un poemetto di ben mille versi, non v' è parola che ci guidi a conoscerne la cagione: solo è notabile che si duole del disonore o dell'obbrobrio assai più che della povertà.

Di questo poemetto leggonsi molte e grandi lodi presso gli antichi: nondimeno crediamo di poter affermare che si starebbe ora dimenticato come tante altre prose e poesie latine di quell' età, se non fosse la versione che ne fece un ignoto scrittore verso il 1340; la quale fu citata nel Vocabolario della Crusca, e per certa vivezza di frasi e nervosità di stile può essere studiata utilmente.

Lamenti di Arrigo.

O fortuna, a cui1 mi lamento io? a cui ? io non so. Perchè, o perfida, mi costrigni tu patire sozze ingiurie? Io sono vituperio delle genti, e continua favola sono del popolo. Tutta la piazza conosce il mio brobbio, 2 e egli mi mostrano a dito, e colli denti sossannano. 3. Io pieno di vituperio, come maraviglia sono mostrato.... O dolore o vergogna ! o gravezza! o tristi fati ! Io son misero, e niuno dee avere di me misericordia. O buona prosperitade, dove se' tu ora? Il mio canto è volto in pianto, e la dolcezza della mia viuola è convertita in amaritudine di lagrime. O mala dolcezza, la quale subito, come l'uomo ti prende, avveleni; e la quale ricompensi il mèle in amaro fiele ! 0· beato colui, il quale non fu mai felice! perocchè dalla prosperità sola procede il dolore.... O Altissimo, che ti fec' io? che ti fec' io? O Giove, onde hai tu questa sete di nuocermi? Io non patii la saetta folgore per mia offesa; nè non domandai

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1 A cui. A chi.

2 Brobbio. Obbrobrio.

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8 Sossannano. Scherniscono, dileggiano facendo bocchi o boccacce.

Viuola. Il latino dice Cetra.

5 Io non patii ec. Non soffersi, non fui colpito ec. Allude ad alcuni personaggi della Favola, che meritarono di essere fatti infelici dagli Dei per queste colpe che qui si accennano.

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l letto della dea Giuno, nè non lo volli; nè non diedi le crudeli armi alli giganti. Perchè dunque, o crudele, mi nuoci? perchè? A cui nuoci tu? dillo Io non so. Tu non sai? Dunque perchè, o alto Giove, nuoci tu allo innocente ?.... Che sono io? che fu' io? di quale provincia ? di qual luogo? come son io chiamato onde sono io nato? uomo, o terra? Io, povero di memoria, non so. Oi gran peccato! i compagni, i conoscenti, i signori, e ancora più gli amici me abbandonano in mezzo il mare! Infino che 'l prospero zeffiro traeva,1 io era accompagnato da molti amici; ora aquilone, tempestosamente spirando, tutti gli discaccia.... Se Eurialo e Niso fossero suti2 cotali amici, intra loro non sarebbe durato quel perpetuo amore. Il vero amore non isdegna il povero e sventurato amico; e la vera fede non sa solo le cose dolci seguire; partecipa i fiori 3 (cioè le prosperitadi) e la grande ira della tempesta; la fede vera nel crudel tempo sta ferma e stabile. In cotal modo favella la Scrittura che furono li compagni d' uno animo, i quali il vero amore con diritto legame congiunse. In questo solo è buona l'avversitade, ch'ella mostra quali sono amici; quali sono bene amici, e quali male: e così mostra l'una fede e l'altra. Siccome la fornace pruova l'oro, e il mare la nave, e la spada la carne; così il forte caso pruova gli amichevoli cuori. In verità piuttosto la fenice, la quale è sola della sua generazione, s' accompagnerà con altre fenici, e il lupo piuttosto avrà pace colla pecora, e prima quello antico Artù tornerà, che il falso amico nell'avversitadi porga aiuto all' amico. In tanto è dalli miei mali vinto quello di Iob, in quanto egli ebbe la moglie fedele e tre leali amici: ma io abbandonato, non mi veggio nè colei nè coloro. Io senza nulla, non ho nulla.

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Conforti e consigli della filosofia ad Arrigo.

Quali beveraggi di Lete abbevcrarono i tuoi sensi? In qual luogo la tua peregrina mente si addormenta ? Certo tu se' cie

1 Traeva. Soffiava.

2 Suti. Stati.

Eurialo e Niso furono due fidatissimi amici, dei quali parla Virgilio, Eneide, lib. IX.

3 Partecipa i fiori. Si noti il modo Partecipare una cosa in senso di Goderne, Esserne al possesso con un altro.

▲ Artù tornerà. Artù, re d'Inghilterra, famoso nei romanzi. Il proverbio: Quando tornerà il re Artù, si disse di cose credute impossibili. Notisi la voce piuttosto o più tosto nel suo proprio significato di più presto, prima. 5 Iob. Giobbe.

cosa.

6 Lete. Fiume alle cui acque fu attribuita la facoltà di far obliare ogni

7 Peregrina. Uscita dei sensi e vagante.

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co, e la tua mente hai cieca. Non sai tu quello micolino,' che la scienza a scuola diedeti? Ohi quanto se' infermo ! Della mente sola mi doglio; chè il tuo senso si parti in questo pellegrino. tempo. Se fusse qui Ipocrasso e tutti i medici di Salerno, la tua inferma mente, o no o appena, sarebbe sana; imperocchè la medicina non può cacciare l'antico male. E quello altresì che lungamente è cresciuto, lungamente in essere dura. Oimè! io mi doglio sopra questo, che tu perdi la mente, e in ogni senso ti fai bruto animale, e di uomo se' fatto bestia. Che hai tu a fare colle lagrime? la copia d' esse non fa niuno esser partefice del suo debole desiderio. Chi piagne, raddoppia i suoi danni, e col dolore sì ampia il dolore, e con doppia sepoltura, vivo, si parte. 5 Che hai tu a far della ingiusta fortuna, per la quale sempre mai molti legami di vituperio sostenesti ? Vuo' tu ch'ella non sia vaga ? La natura contraria; la quale diè, che ella fusse sempre instabile e vaga. Semina nelle spine colui che vuole ritrar le ragioni della natura. La garritrice rana non può esser divelta dal padule. Chi crede tôrre via la natura, sì semina erba, la cui biaḍa si ricorrà al tempo del re Artù.9 Il vento ti volge troppo, e troppo ti commuovi per le cose amare, e il dolore ti fa essere troppo pazzo. Colui che non sa comportare le cose gioconde colle avversità, dinegra l'onor dell'uomo; 10 isconoscentemente usa le cose dolci colui, che non ha usato l'amare; perchè per lo male si conosce lo bene. Impara a sostenere le cose gravi; la pazienza tempera l' ira, e l' umiltà della mente doma i duri animi.... Imprima caccia le matte on11 delle lagrime, per la cui compagnia si perde ogni bene;

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1 Micolino. Pochetto; il testo latino: tantillum.

2 In questo pellegrino tempo. Forse dovrebbe leggersi: Si parti pellegrino in questo tempo; riferendosi il pellegrino al senso, in significato di errante, traviato. 11 latino dice: Quod tuus hoc peregre tempore sensus abit.

3 Ipocrasso. Ipocrate. In Salerno fu una celebre scuola di medicina. ↳ Ó no, o appena. Singolar locuzione per mostrar la quasi impossibilità di una cosa qualunque. Il lat. dice: non vel vix.

5 Si parte, sottint. di questo mondo, cioè: Muore. L'uomo abbandonato alla tristezza si seppellisce innanzi morire.

Vaga. Mobile, incostante. La natura è contraria; ovvero Contrasta, ripugna.

chiaro.

Ritrar le ragioni, per Contrariare alle leggi, non è modo abbastanza

8 Padule. Palude. La rana è fatta da natura per viver nella palude; chi, contrariando alle leggi di essa natura, volesse trarnela fuori, la ucciderebbe.

9 Al tempo ec.; cioè: Non si corrà mai.

10 Isconoscentemente. Senza conoscerle; latino ignarus,

11 Caccia le matte cc. Cessa dalla stoltezza del lagrimare,

perocchè il dolore rauna forza laddove il pianto abbonda, e raddoppia le tristizie del suo male. Se'l pianto dà male, adunque egli è reo necessariamente; e s' egli è reo, adunque nuoce; e s'egli nuoce, adunque fuggilo. Contro alla tristizia piglia allegrezza; raffrena la voglia; e pensa sempre esser presente la fine del male. La graziosa ora verrà, la quale non era sperata, che pure compenserà i primi fieli colli fiali del mèle: un di chiaro compensa i nuvoli di molti; e l' onda netta quello che sozza il fango. Lascia stare la vaga fortuna; lasciala vagare, la quale non può mai giucare con istabile viso. Contro alla fortuna sii fermo, sii paziente, sii di ferro, nè non ti rompa l' avversitade.... Cerca i libri che parlano le sante parole; sie mansueto a' prieghi; affaticati nelle leggi. Non parlare se non giu. ste cose. A pochi farai disonore, a tutti servirai; e guarda, che la oscura fronte non nieghi3 quello che la mano fa. Colui che il servigio fatto con oscura fronte avvelena, più che il diavolo mi dispiace cotale donatore.... Non sii vano parlatore, nè in ogni parte mutolo, ma studia di favellare solo cose utili. In te stesso conosci gli altri. Niuna cosa è più utile, e nulla ti può fare più cortese nel mondo. Non ti sia amica la gravidezza del ventre; troppo misera cosa ène, che il corpo s' impigrisca nei cibi, Neuna virtù è minore, che vincere il compagno in mangiare, e la valigia del ventre agguagliare a un sacco.... Credimi: egli è maggior virtù vincere te medesimo, che, a guisa di Sansone, vincere e abbattere mille uomini. Non dimanḍar chi sia, ma ciascuno servendo onora; perocchè il lieto onore fa amici molto eccellenti. Chiunque bene con continui passi seguisce l'onore, costui con reciprochi gradi l'onore va cercando. Il lusinghiere e l'empio traditore abbi sempre in odio. Colla sampogna dolcemente canta l'uccellatore, infino che vuole ingannare gli uccelli; e mentre che lo strumento fa dolce verso, tradisce gli uccelli.

1 Reo. Cattivo, dannoso.

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2 Fiali sono quegli edifizi di cera formati dalle api per deporvi e lavorarvi i mèle. I primi fieli. Le amarezze della sventura.

3 Non nieghi, cioè: Nou dia a conoscere che doni mal volentieri.
↳ ċne. È.

5 Il licto onore. L'onore fatto lietamente. Seguisce. Segue.

6 Costui è oggetto; e il soggetto è l'onore che lo va cercando. Sin tassi inversa, al modo latino.

GIOVANNI VILLANI.

Dalla famiglia Villani di Firenze ebbe l'Italia tre scrittori di storia, Giovanni, Matteo e Filippo. L'età di Giovanni, primo di tempo e di fama, può in qualche modo congetturarsi dal sapere che nel 1300, celebrandosi il giubileo, fu a Roma; e quivi deliberossi di scrivere la storia che ci ha poi lasciata. Si argomenta altresì da alcune parole del suo libro, ch' egli viaggiasse nella Francia e ne' Paesi Bassi; ed è poi fuori d'ogni dubbio che sostenne ripetutamente diversi pubblici uffici di molta importanza, fino ad essere tra i Priori della repubblica ben tre volte. Nè soltanto nelle civili magistrature, ma ben anche in qualità di soldato servi alla patria, combattendo nel 1323 contro Castruccio signor di Lucca. Però, quando egli ragiona delle cose avvenute a' suoi giorni, è testimonio molto autorevole, e ci discopre assai bene le cagioni dei fatti; compensando così la quasi puerile credulità colla quale trascrive le tradizioni de' primi tempi. Dico trascrive, perchè non di rado copiò il Malispini, senza quasi mutarne parola. D'onde nasce ch'egli talvolta si contradice, e che il suo stile ci riesce nei primi libri più rozzo o antiquato che ne' susseguenti.

Il Villani continuò la sua storia fino all'anno 1348, nel quale morì di quella peste che tolse all'Italia così gran numero d' abitanti. Tre anni prima, avendo perduta quasi ogni cosa pel fallimento de' Buonaccorsi, era soggiaciuto senza sua colpa alla prigionia. Nè questa fu la sola sventura che lo incolse, ma provò eziandio l'amarezza della calunnia; accusato di aver manomesso il pubblico denaro: di che poi fu riconosciuto innocente.

La storia di Giovanni Villani fu proseguita da Matteo suo fratello, poi da Filippo figliuol di Matteo, fino all' anno 1364. Tutti e tre sono citati dagli Accademici della Crusca; qui per altro basterà qualche saggio di Giovanni, perchè Matteo merita bensì per l'importanza delle cose da lui descritte di esser letto da ogni studioso della storia italiana, ma dal lato della lingua non ha differenze notabili da Giovanni: Filippo, quanto vince il padre e lo zio come erudito, tanto è vinto da loro come scrittore. Matteo morì di peste nel 1362. Del resto anche Giovanni, lodatissimo per bontà di voci e di frasi, in

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