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CINO DA PISTOIA.

Da Francesco dei Sinibaldi nacque in Pistoia_nell'anno 1270 Guittone, che per vezzo fu nominato Guittoncino e poi Cino. Egli attese allo studio della poesia e della giurisprudenza; al primo dei quali era invitato dalla propria natura; al secondo il traeva l'usanza de' tempi e l'utilità che da quello studio poteva sperarsi.

Com' ebbe ottenuta in Bologna la laurea, dottorale tornò a Pistoia: vi tenne per qualche tempo ufficio di Giudice: poi, prevalendo la fazione dei Guelfi, egli, Ghibellino, abbandonò la Patria; o forse ne fu discacciato. Nel tempo del suo esiglio s'innamorò di Selvaggia, figliuola di Filippo Vergiolesi, che lo aveva cortesemente accolto nella fortezza di Piteccio; e di lei viva e morta scrisse molte poesie per le quali soltanto dura ancora il suo nome. Da'suoi contemporanei per altro fu conosciuto e celebrato come giureconsulto; e il suo commento al Codice parve tanto sapiente, che destò desiderio di lui nelle principali Università italiane, sicchè fu professore a Trevigi, a Perugia, a Firenze; ed alcuni aggiungono (ma senza probabili testimonianze), anche in Bologna e Parigi. Questa sua celebrità fu poi cagione ch'egli fosse eletto Gonfaloniere di Pistoia nel 1334, quando i Bianchi o Ghibellini vi tornaron possenti; ma non accettò quell' ufficio nè rivide la patria prima dell' anno 1336. E nel finire di quell' anno o nel cominciare del susseguente morì.

SONETTI.

Non v' accorgete, donna, d' un che smuore '
E va piangendo, si si disconforta.?

Io prego voi, se non ven siete accorta,
Che lo miriate sol per vostro onore.*

Ei sen va sbigottito e d'un colore
Che 'l fa parere una persona morta,
Con tanta doglia che negli occhi porta,
Che di levarli già non ha valore.3

E quando alcun pietosamente il mira,

1 Smuore. Impallidisce.

2 Per vostro onore. Perchè non siate incolpata di crudeltà, o della sua

morte.

Altri legge: Di levarli in altrui non ha valore.

Il cor di pianger tutto si distrugge,
E l'anima sen duol sì che ne stride:
E se non fosse ch' egli allor si fugge,
Si alto chiama voi quand' ei sospira,
Ch'altri direbbe: Or sappiam chi l'uccide.1

lo son si vago de la bella luce

4

Degli occhi traditor che m' banno ucciso,
Che là dov' io son vinto e son deriso,
La gran vaghezza pur mi riconduce;
E quel che pare, e quel che mi traluce,
M' abbaglia tanto l' uno e l' altro viso,*
Che da ragione e da virtù diviso,
Seguo solo il desio come mio duce;
Lo qual mi mena tanto pien di fede
A dolce morte sotto dolce inganno,
Ch'io la conosco sol dopo 'l mio danno.
E' mi duol forte del gabbato affanno,

Ma più mi duole, ahi lasso! che si vede
Meco pietà tradita da mercede.

7

Mille dubbi in un dì, mille querele,
Al tribunal dell' alta imperatrice,
Amor contro me forma irato, e dice:
Giudica chi di noi sia più fedele.
Questi, sol mia cagion, spiega le vele
Di fama al mondo ove saria 'nfelice.
Anzi d'ogni mio mal sei la radice,
Dico; e provai già di tuo dolce il fèle.
Ed egli Ahi falso servo fuggitivo !

È questo il merto che mi rendi, ingrato,
Dandoti una a cui 'n terra egual non era?
Che val, seguo, se tosto me n'-hai privo? -

Io no, risponde. — Ed ella: A sì gran piato,

Convien più tempo a dar sentenza vera.

1 Or sappiam ec. Questa conclusione serve di commento al quarto verso. Vuolsi notare che questo e il seguente sonetto trovansi in molte edizioni attribuiti promiscuamente a Cino ed a Dante.

2 Vago, e poco appresso raghozza, significano desideroso e desiderio. 3 Là dov' io ec. Dov'è Selvaggia.

Che pare. Che appariste.

51 uno e l'altro viso. Degli occhi e della mente.

Alta imperatrice. La Ragione.

Sol mia ec. Solo pel favor ch' io gli presto, per le mie inspirazioni
E provui ec. Provai come riescano ad amaro fine le tue dolcezze.

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La dolce vista e 'I bel guardo soave
De' più begli occhi che si vider mai
Ch'i' ho perduto, 3 mi fa parer grave
La vita sì, ch' io vo traendo guai;
E 'n vece di pensier leggiadri e gai,
Ch' aver solea d'amore,

Porto disii nel core

Che nati son di morte,

Per la partita che mi duol si forte.
Ohimè deh perchè, Amor, al primo passo
Non mi feristi si ch'io fussi morto?
Perchè non dipartisti da me, lasso,
Lo spirito angoscioso ched io porto?
Amor, al mio dolor non è conforto:
Anzi, quanto più guardo,

Al sospirar più ardo;

Trovandomi partuto 6·

Da que' begli occhi ov' io t'ho già vedute.
lo t'ho veduto in que' begli occhi, Amore,
Tal che la rimembranza me n'occide,
E fa si grande schiera di dolore
Dentro alla mente, che l'anima stride

A veder ec. Accorgendomi quanto vi spiace d' esser mirata da me, non vengo a vedervi.

2 Di mirar sol ec. La vostra grande altezza non s' adiri che io appaghi il mio desiderio, ch'è sol di mirarvi.

Ho perduto. Perchè Selvaggia era morta.

Partita. Partenza di Selvaggia da questo mondo.
Ched per Che; come Ned e Sed, per Nè e Se.
Partalo. Partito, diviso, lontano.

Sol perchè morte mai non la divide
Da me, come diviso

Mi trovo dal bel viso

E d'ogni stato allegro,

Pel gran contrario ch'è tra 'l bianco e 'l negro.
Quando per gentil atto di salute,2

Ver bella Donna levo gli occhi alquanto,

Si tutta si disvia la mia virtute

Che dentro ritener non posso il pianto,
Membrando di madonna, a cui son tanto
Lontan di veder lei.

O dolenti occhi miei,
Non morite di doglia ?

Si per vostro voler,3 pur ch' Amor voglia:
Amor, la mia ventura è troppo cruda,

E ciò che 'ncontran gli occhi più m'attrista;
Dunque mercè, che la tua man li chiuda,
Da c'ho perduto l' amorosa vista ;

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Tutte le colte nazioni conoscono e pregiano il nome di Francesco Petrarca, per quella gran parte ch' egli ebbe a far risorgere le buone lettere in tutta Europa.

1 Non la divide ec. Forse vuol dire: Perchè non divide l'anima mia da me (facendo ch'io muoia), come il doloroso mio stato, è diviso da ogni ullegrezza e le è contrario, quanto sono contrari fra loro il bianco ed il nero. Per gentil ec. Salutando per gentilezza qualche donna.

3 Si per ec.; cioè: Voi certamente vorreste morire, se Amore ve lo

consentisse.

Per morte. Morendo.

5 Il mio tormento. Dice che Amore sarà pietoso se, uccidendolo, porrò fine al suo patire.

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La sua celebrità gli fruttò l'amicizia e la stima di ragguardevoli personaggi in Italia e fuori; ed egli se ne valse per raccogliere manoscritti greci e latini che giacevano inonorati da tanti secoli. Molti ne comperò anche a sue spese; e sostenne la dura fatica di copiarne alcuni egli stesso, affinchè non fossero guasti dall'ignoranza dei soliti amanuensi.

Quest'uomo sì benemerito del moderno incivilimento nacque in Arezzo la notte tra il 19 e il 20 luglio 1304, quando i Ghibellini esuli da Firenze tentarono invano di riacquistare coll' armi la patria. Del numero di que' fuorusciti era anche Petracco notaio fiorentino, padre del nostro poeta, che poi cambiò il nome paterno in quel di Petrarca.

Il fanciullo stette fino ai sette anni all' Incisa nella Valle d'Arno presso la propria madre, a cui era stato concesso ritornar dall' esiglio: ma n'andò poi a cominciare i suoi studi in Pisa, dove Petracco erasi stabilito; finchè nel 1313 (quando la morte di Arrigo VII fece disperato ai Ghibellini il ritorno) si trasferì in Avigno ne, fiorente allora per la residenza dei papi.

Il giovine Petrarca studio giurisprudenza per ben. sette anni, assecondando come poteva il volere del padre; ma l'animo suo il traeva con troppo maggior forza alle lettere ed alla poesia. Si racconta che un giorno suo padre gli gittò nel fuoco i libri che lo sviavano dagli studi creduti migliori perchè davan maggiore speranza di utilità; ma vinto poi dalle lagrime del figlio, ne ritrasse mezzo abbruciati un Virgilio e un Cicerone, nei quali pare che il giovinetto avesse posto principalmente il suo amore e la speranza della futura sua vita.

Nell' anno 1326, il Petrarca, perduti già i genitori, abbandonò del tutto la giurisprudenza, vestì l'abito clericale (senza perciò farsi prete) ed entrò al servizio di Iacopo Colonna, vescovo poi di Lombès, dalla cui famiglia fu costantemente favorito e onorato. Un anno più tardi s'innamorò di Laura (moglie di Ugo de Sade), giovane di circa venti anni, lodata di bellezza non meno che di virtù; e secondo l' usanza di quel secolo e specialmente di quel paese, cominciò a scrivere per lei poesie che subito lo resero illustre. Ciò ch' egli dice e della persona e dell' animo di Laura dimostra chiaramente ch' egli ritrae un'idea formata secondo certe dottrine seguite anche da altri poeti, ma da lui sollevate a maggiore altezza e vestite di nuovi colori. Queste poesie gli

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