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Povero, e le fortune afflitte e sparte
Perseguire; e 'n disparte Hal
Cercar gente, e gradire

Che sparga 'l sangue e venda l'alma a prezzo ? .
Io parlo per ver dire,

1

Non per odio d'altrui, nè per disprezzo.

Nè v'accorgete ancor per tante prove
Del bavarico inganno,

Ch' alzando il dito con la morte scherza?

Peggio è lo strazio, al mio parer, che 'l danno.

Ma 'l vostro sangue piove3

Più largamente, ch' altra ira vi sferza.

Dalla mattina a terza *

Di voi pensate, e vederete come

Tien caro altrui chi tien sè così vile.

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1 Fastidire. Infastidire, tribolare il vicino, e perseguire (cioè andar cercando e pigliando per forza) le malmenate e disperse sostanze di lui; e cercar gente in disparte (cioè fuori del proprio paese), e aver caro che venda a prezzo la vita.

2 Ch' alzando il dito ec. Non si conosce con certezza quel che significhi questo alzare il dito; ma il concetto è chiaro: Non v' accorgete che il Bavaro v'inganna, il quale finge di volersi metter per voi a pericolo della vita, ma nel vero poi non vi si mette mai?

3 Piove si sparge più largamente, perchè altra ira vi sferza, perchè siete mossi da vera ira, da vera inimicizia che avete tra voi.

Dalla mattina ec. Mentre siete ancora digiuni. Altri intendono : Per qualche picciola parte del giorno. E vederete come ec. - - E vedrete se è possibile che ami gli altri chi per viltà vende sè stesso.

5 Latin sangue ec. Parla ancora ai principi italiani, ma forse specialmente ai nobili ghibellini. Sgombra ec. Caccia via da te questo dannoso aggravio di stipendiate milizie.

6 Un nome vano ec. Credesi che il Poeta chiami vano il nome d'im peratore in Lodovico, perchè il pontefice non lo avea confermato.

7 Chè ec. Perocchè non è cosa naturale, ma colpa nostra, se noi siamo vinti d'intelletto dal furore di quelle genti indocili e rozze di lassù, del settentrione.

Ch'i toccai pria; cioè: Nascendo.

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Prenderà l'arme, e fia 'l combatter corto;

Chè l'antico valore

Negl' italici cor non è ancor morto.
Signor,* mirate come 'l tempo vola,
E si come la vita

Fugge, e la morte n'è sovra le spalle.
Voi siete or qui: pensate alla partita;
Chè l'alma ignuda e sola

5

Conven ch' arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle

Piacciavi porre giù l'odio e lo sdegno,
Venti contrari alla vita serena;

6

E quel che 'n altrui pena

Tempo si spende, in qualche atto più degno.
O di mano o d' ingegno,

In qualche bella lode,"

In qualche onesto studio si converta:

Così quaggiù si gode,

E la strada del ciel si trova aperta.
Canzone, io t'ammonisco

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1 Parente. Genitore; mio padre e mia madre.

2 Che sol ec. Che, dopo Dio, spera riposo soltanto da voi.

3 Virtù ec. La virtù italiana s'armerà contro il furore di questi mer cenari stranieri.

Signor. Signori.

5 Alla partita. Alla partenza, alla morte.

Che l'alma ec.; cioè: Pen

site che l'alma arriva ignuda e sola (senza ricchezze, senza possanza; cosa per le quali ora tanto vi travagliate) al dubbbioso passo della morte.

6 E quel che ec. E quel tempo che si spende ec.

7 In qualche ec. In qualche bella opera lodevole.

8 Che tua ec. Che tu dica cortesemente le tue agioni, i tuoi senti. menti.

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Quella lode ch'è data al Petrarca per avere cercate e poste in onore le opere letterarie degli antichi Greci e Latini, è dovuta anche a Giovanni Boccaccio, terzo splendore della nostra letteratura. E fu sì grande l'amore posto da lui in questa ricerca, e tanto spese nel comperare e far trascrivere i codici più preziosi, che alla fine vi consumò una gran parte del proprio avere; d' onde provò poi le angustie della povertà; e, ciò ch' è più doforoso, provò la poca fede di molti che nella buona ventura gli si mostravano amici.

La famiglia di Giovanni Boccaccio fu da Certaldo, terra a venti miglia dalla città di Firenze: ma credesi ch' egli nascesse (l'anno 1313) in Parigi; e di quivi, ancora bambino, fosse trasferito a Firenze, dove suo padre era mercatante. Raccontano che senza verun soccorso d maestri o di libri, innanzi ai sette anni, componesse alcuni versi che gli acquistarono il titolo di poeta: ma il padre ciò non pertanto volle indirizzarlo alla mercatura; e perchè in quella divenisse più esperto lo mandò prima a Parigi, e poi in altre città. Così fino all' età di vent'anni, il Boccaccio (al pari di molti altri uomini insigni) non potè darsi liberamente agli studi ai quali era nato; e allora pure dovette promettere di congiungere colla poesia il diritto canonico, che di que' tempi soleva aprire la via ai gradi più illustri e lucrosi. Ciascuno può imaginarsi con quanto ardore egli si diede allora alle lettere si lungamente desiderate; ma l'obbedire alla con- .

Le voglie. Gli animi, o le passioni degli animi.
2 Proverai ec. Ti avventurerai. A chi. Ai quali.

dizione che il padre gli aveva imposta non era in suo potere, perchè l'animo gli rifuggiva dalla giurisprudenza non meno che dall' esercitare la mercatura. Il greco, il latino, le matematiche furono gli studi ai quali il Boccaccio attese quindi in Napoli con grandissimo amore. Sopratutto aveva posto l'animo alla poesia, finchè i versi del Petrarca nol fecero accorto, che gli. sarebbe stato sempre impossibile il conseguire la prima palma in quel campo. Ma perchè rinunziasse alla speranza di farsi illustre come poeta, non si distolse perciò dagli studi; nel cui amore s' accese anzi vie più per cagione dello stesso Petrarca, quando fu a Napoli, alla corte di Roberto prima di andare a.Roma per ricevere la corona: ed ebbe origine probabilmente fino d'allora tra questi due grandi Italiani quell' amicizia che il tempo venne sempre più fortificando.

A somiglianza dell' Allighieri e del Petrarca, ebbe anche il Boccaccio una passione amorosa, e da quella tolse argomento a molte scritture; ma, come nella purità degli affetti, così anche nel modo di significarli fu molto inferiore ad entrambi. Però sebbene collocasse altamente il suo affetto amando Maria, figliuola naturale del re Roberto (per la quale_principalmente compose il Filocopo, la Tescide e la Fiammetta), fu notato dal Ginguené, che mentre Laura e Beatrice nelle opere del Petrarca e dell' Allighieri sollevansi dalla condizione. privata alla principesca e quasi divina, la principessa Maria per lo contrario negli scritti del suo amatore ci riesce spesso da meno di una donna volgare.

Del resto, verso il 1350, il Boccaccio, per la morte del padre, si trasferì a Firenze, dove pare che cominciasse tosto a ridursi ad un vivere più ordinato, obliando a poco a poco quell' amore che tanto lo aveva padroneggiato: è s' acquistò ben presto sì grande stima, che la Repubblica gli commise più volte alcune gravi incumbenze. Con tutto ciò suole ascriversi all' anno 1361 la sua compiuta mutazione; e la pubblica fama ne diede. vanto ad un Certosino, il quale affermava che un suo fratello defunto gli era apparso per dargli incombenza di convertire molti uomini illustri in molte parti d' Europa. Il fatto si è che il Boccaccio dopo d' allora, lasciata in disparte ogni vanità, vestì l'abito sacerdotale.

Già si è veduto che i Fiorentini inviarono il Boccaccio a Francesco Petrarca per invitarlo alla direzione della loro Università. Il Boccaccio fu poi a visitarlo in

Milano, e (nel 1363) in Venezia con affetto di amico e riverenza di scolaro; donde poi per ricambio, allorchè, mutandosi la fortuna, fu abbandonato da quasi tutti gli amici, provò costante il Petrarca; il quale per quanto potè lo soccorse, e pose nell' arbitrio di lui il partecipare d'ogni sua cosa. Pare che il Petrarca, il quale aveva stimato il Boccaccio pel suo nobile ingegno, ne divenisse poi amantissimo quando lo seppe infelice, e lo vide compreso da quel sentimento di religione ch' era così gran parte della sua vita. Di questa affezione restano prove non dubbie in alcune Epistole del Petrarca, nelle quali si lagna che il Boccaccio non volesse accettare le offerte ch' ei gli faceva. Una prova ne abbiamo altresì nel suo testamento col quale gli legò cinquanta fiorini per farsi una veste che lo difendesse dal freddo mentre vegliava d'inverno studiando; e si dolse che la fortuna lo costringesse a lasciare così picciola cosa a cotant' uomo.

Negli ultimi anni della sua vita il Boccaccio dimorò quasi sempre in Certaldo. Nel 1373, uscito di lunga e pericolosa malattia, ebbe dai fiorentini incumbenza di leggere e commentare pubblicamente la Divina Commedia; ma l'inferma salute lo costrinse a interrompere di frequente il corso delle lezioni, che poi la morte troncò nel 1375 addì 21 dicembre. Di queste lezioni Pietro Giordani desiderò che l'Italia potesse avere una buona edizione e quel desiderio sarà giudicato ragionevole da chiunque vorrà leggerle come trovansi pubblicate ora dal Le Monnier per cura di Gaetano Milanesi: perchè sebbene vi restino ancora parecchi passi oscuri, e vi abbondino le opinioni erronee e le cose inutili, nondimeno vi è gran copia di ottime voci e di belle frasi, come in ogni altra scrittura del Boccaccio, con una sintassi migliore, cioè meno contorta, più italiana, conveniente allo stile insegnativo. Non sarà inoltre senza profitto vedere il significato attribuito da così gran prosatore a certi vocaboli usati da tanto poeta; come non di rado sono oggetto di curiosità e di studio le molte varianti notabili nei versi della Divina Commedia che l'Autore riferisce e commenta, non meno che la gran mutazione di sentimenti e di opinioni avvenuta in lui stesso.

Abbiamo del Boccaccio opere italiane e latine. Appartengono alle latine due trattati De genealogia Deorum, e De montibus, sylvis, lacubus ec.; nove libri De casibus virorum et fœminarum illustrium; un trattato

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