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canti di uccelli; isforzași con ogni maniera farti lieto e giocondo; tutta ti ride, e prometteti grande ricolta; riempieti d'ogni buona speranza, diletto e piacere. Dipoi, quanto si trova la villa cortese! ella ci manda a' casa ora uno ora un altro frutto; mai lascia la casa vôta di qualche suo premio. All' autunno ti rende la villa alle tue fatiche ed a' tuoi meriti ismisurato frutto, premio e mercè: e quanto volentieri e con quanta abbondanza! per uno dodici; per un piccolo sudore più botti di vino; e quello (che) è vecchio in casa, la villa te lo dà nuovo, stagionato, netto e buono. Riempieti la casa per tutto il verno d' uve fresche e secche, susine, noci, fichi, pere, mele, mandorle, nocciòle, giúggiole, melagrane e altri frutti sani, e pomi odorosi e piacevoli; e di dì in dì non resta mandarti degli altri frutti più serótini.1 Nel verno non dimentica esserci liberale; ella ci manda lėgne, olio, sermenti, lauri, ginepri, per farci (ritirati dalle nevi e dai venti) fiamma lieta e odorifera. E se ti diletta starti seco, la villa ti conforta di splendido sole, porgeti la lepre, il capriuolo, il porco salvatico, le starne, i fagiani e più altre ragioni d'uccelli, ed il campo lato, che tu possa loro correre dietro con tuo grande spasso; datti de' polli, latte, capretti, giuncate e dell'altre delizie, che tutto l'anno ti serba, e sforzasi che in tutto l'anno in casa non ti manchi nulla; ingegnasį, che nell' animo tuo non entri alcuna maninconia o non vi stia; riempieti di piaceri e utile. E se ti richiede opere, te le ricompensa in più doppi; e vuole che le opere ed il tuo esercizio sia pieno di diletto, e non minore alla tua sanità, che utile alla cultura.3 Che bisogna più dirne? Non si potrebbe lodare a mezzo, quanto la villa fa pro alla sanità, ed è comoda al vivere nostro, e necessaria alla famiglia. Sempre fu detto dai savi, la villa essere refugio de' buoni uomini, onesti,' giusti e massai, e guadagno con diletto: spasso piacevolissimo, uccellare, cacciare, pescare a' tempi competenti. Nè bisogna, come negli altri mestieri e esercizi, temere perfidie nè fallacie; nulla vi si fa in oscuro, nulla non veduto e conosciuto da tutti. Non vi se' ingannato; non bisogna chiamare nè giudici nè notai, nè testimoni, nè fare litigi, nè altre cose simili odiose e dispettose e piene di turbazioni; chè il più delle volte sarebbe meglio in quelle perdere, che con tante molestie d'animo guadagnare. Tra' cittadini sono ingiurie, risse, superbie e altre disonestà orribili a dirle. Nella villa nulla

1 Più seròtini. Più tardivi.

2 Lato. Largo, ampio. Disusato.

3 E non minore ec. E non meno utile alla tua sanità che alla cultura.

può dispiacere; tutto vi si ragiona con diletto; da tutti siamo volentieri veduti e uditi e compiaciuti; ciascuno ricorda quello s' appartiene alla cultura, e ciascuno emenda e insegna, ove tu errassi. In piantare e sementare niuna invidia, niuno odio, niuna malivolenza può nascere, ma piuttosto loda.1 Godonsi alla villa que' di ariosi e chiari e aperti; hánnovisi leggiadri e giocondi pettacoli ragguardando que' colletti fronzuti, que' piani vezzosi, quelle fonti e que' rivi, che saltellando si nascondono fra quelle chiome dell' erbe. E, quello che più diletta, fuggonsi gli strepiti, i tumulti e la tempesta della città, della piazza e del palagio. Puoi alla villa nasconderti per non vedere le superbie, le maggiorie, gli sforzamenti, i soperchi oltraggi,3 le îniquità, le ingiustizie, le disonestà, la tanta quantità de' mali uomini, i quali per la città continuo ti si parano innanzi, nè mai restano di empierti gli orecchi di strane loro volontà. Vita beata starsi alla villa, felicità non conosciuta !

Consigli dati da Agnolo alla moglie.

Ågnolo. Quando la donna mia, a voi madre, fra pochi giorni fu rassicurata in casa, e l'amore il desiderio della casa cominciava a dilettarla, io la presi per mano e mostrâle tutta la casa, e insegnale su di sopra essere luogo atto per le biade, giù di sotto essere stanza pel vino e per le legne, e mostråle ove si pone tutto quello che bisogna alla casa; e non rimase masserizia in casa, ch'ella non vedesse ove meglio stesse riposta, e intendesse da me quello s' adoperasse. Dipoi la menai in camera; e serrato l'uscio, le mostrai tutte le cose di pregio, gli arienti, gli arazzi, le vestimenta, le gemme e tutte le nostre gioie, e dove queste s'avessono ne' luoghi loro a riporre e conservare... Poich' ella ebbe compreso ove ciascuna cosa s'aveva a rassettare, io le dissi: Donna mia, quello ch'è utile e grato a me, mentre sarà salvo, ti debbe essere molto caro; e quello ci fosse dannoso o avéssimone disagi, discaro. E però a te conviene essere sollecita non meno che a me. Tu hai vedute le nostre cose; le quali (grazia di Dio) sono tante e tali, che noi ce ne dobbiamo contentare. Queste saranno proficue a te e a

1 Loda. Lode.

2 Palagio. S'intende il palazzo della Signoria, e in generale le Corti, i Tribunali ec.

3 Maggioric, sforzamenti, soperchi oltraggi, sono voci antiquate, per "significare il voler essere da più degli altri, le violenze, le soperchierie.

Quelio s'adoperasse. Le stampe comuni, con maniera ora più usata e più chiara: Quello a che s'adoperasse. Qui masserizia significa arnese di casa, supellettile.

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me e a' figliuoli nostri. E però ti conviene avere sollecita cura d'ogni cosa non meno che a me.

Figli. E che vi rispose ella?

Agnolo. Rispose, che aveva imparato ubbidire al padre e alla madre sua, e che aveva da loro in comandamento sempre ubbidire me; e così era disposta. Allora le dissi io: Chi sa ubbidire il padre e la madre, donna mia, tosto impara ubbidire al marito. Sai tu quello che noi faremo ? faremo come quelli che fanno la notte la guardia in sulle mura per la patria loro. Se di loro alcuno s'addormenta, colui non ha per male, se 'l compagno il desta a fare il suo debito e il bene della patria. Io, donna mia, arò molto per bene, se tu vedrai in me mancamento, tu me n'avvisi;1 chè allora conoscerò l'onore nostro, l'utile nostro e il bene de' nostri figliuoli esserti caro e a mente. Così a te non dispiacerà, se io ti desterò e ricorderò, che provvegga dove bisognerà; e in quello io mancassi, supplisci tu; perchè, così facendo, ci avanzeremo l'uno l' altro e d'amore e di provvedenza. Questa roba, questa famiglia e i figliuoli nati e che nasceranno, sono nostri, così tuoi come miei; e però a noi è debito pensare e fare il nostro dovere per conservare quello che è dell' uno e dell' altro. Per tanto, donna mia, io procurerò di fuori, che tu abbi in casa quello che bisogna, e tu provvederai che ogni cosa si distribuisca e conferisca bene.... Sappi, che niuna cosa è tanto necessaria a te e accetta a Dio, e a me grata e onorata a' figliuoli nostri, quanto la tua onestà; imperocchè l'onestà della donna sempre fu ornamento della famiglia. L'onestà della madre sempre fu parte di dota alle figliuole. L'onestà in ogni femmina sempre più fu pregiata che ogni altra bellezza. E per tanto, moglie mia, se tu vuogli fuggire ogni apparenza di disonestà, avrai in odio tutte quelle apparenze, colle quali le disoneste e non buone donne studiano piacere agli uomini, credendosi, lisciate,2 imbiaccate e dipinte, e con loro abiti lascivi e immondi piacere più agli uomini, che mostrandosi ornate di pura semplicità e vera onestà... Donna mia, tu non hai a piacere se non a me; pensa non potere piacermi volendomi ingannare, mostrandomiti quella che tu non fossi: benchè me non potresti tu ingannare, perch' io ti veggio ogni ora, e bene mi se' a mente come tu se' fatta senza liscio. Di quelli . di fuori (se tu amerai me) niuno ti potrà essere più nell' animo,

1 Avrò molto per bene che tu me ne avvisi.

2 Lisciate. Imbellettate. Quest' usanza di lisciarsi trovasi accennata è ripresa, come da altri scrittori, cosi anche dall' Allighieri.

che il marito tuo. E sappi, moglie mia, che quella che cerca più piacere a quelli di fuori che a cui1 ella debba in casa, costei dimostra meno amare il marito che gli altri.

LUIGI PULCI

Tra i poeti che nel secolo XV contribuirono a tener viva e onorata la lingua italiana generalmente negletta dai dotti, viene primo di tutti Giusto de' Conti romano, autore di un volume di versi amorosi denominato La bella mano per le molte lodi che va di continuo impartendo alla mano della sua donna. In tutto il volume si scorge uno studio costante e, per vero dire, molto felice di somigliare al Petrarca; il quale dicono che vivesse ancora quando il Conti era già nato. Nessuno potrebbe ragionevolmente negare che La bella mano non sia scritta con somma purità di lingua e squisitezza di modi: però gli Accademici della Crusca ne han tratto voci e locuzioni che registrarono nel loro Dizionario: ma non per questo si troverebbe oggidì chi annoverasse il Conti fra i più chiari poeti lirici come qualcuno già fece; quando il suo pregio, è tutto nella lingua; e questa può dirsi una ripetizione continua di voci e frasi fin anche di mezzi versi tolti al Petrarca.

Miglior poeta e autore di un' opera che lo studioso della letteratura italiana deve conoscere, e della quale può giovarsi assai anche oggidì chi aspira a farsi scrittore, fu Luigi Pulci fiorentino nato nel dicembre del 1431 e morto nel 1486 o in quel torno. La sua vita non ha cosa alcuna che possa dirsi notabile nella storia politica: bensì nella storia letteraria egli occupa un posto di gran momento, perchè prima d'ogni altro condusse con grande felicità una lunga e molto complicata serie di avvenimenti a formare un poema, di quel genere di epopea nella quale si resero celebri dopo di lui il Berni e l'Ariosto. Frequentò la casa de' Medici, ai quali divenne carissimo: anzi accenna egli stesso che la madre di Lorenzo il Magnifico (Lucrezia Tornabuoni donna assai colta, e poetessa) lo eccitò a scrivere sulle imprese di Carlo Magno; ciò ch' egli fece pigliando in qualche modo il subietto dalla cronaca di Turpino pubblicatasi

1 A cui. A chi, a colui al quale ec.

allora. Dicono che s' aiutò eziandio della erudizione e dei consigli del Poliziano: ma seguitò sopratutto la sua fantasia, e compose un poema di ventotto canti in ottava rima; al quale pose. nome Morgante.

Il poema è tutto composto di avventure stranissime: e sono principalmente avventure occorse ad Orlando mentre, sdegnato con Carlo Magno che si lasciava aggirare da Gano di Maganza, andò errando lontano dalla sua corte, da cui come Paladino non gli era lecito dipartirsi. Nel bel principio del viaggio arriva ad una badia, alla quale dan guerra tre smisurati giganti: s'affronta con due, e gli uccide; poi converte al cristianesimo il terzo, chiamato Morgante, e prosegue con lui il suo viaggio. Da questo gigante il Pulci diede il nome di Morgante Maggiore, al poema, benchè non ne sia il principal personaggio. Nè può dirsi, rigorosamentę parlando, che il suo poema abbia un protagonista; giacchè l'attenzione di chi legge si trova per necessità divisa tra Orlando, Rinaldo, Carlo Magno, ed anche alcuni altri, che variamente concorrono a questa serie sì numerosa e sì strana di avvenimenti. Carlo Magno, dolente della partenza d' Orlando ha spedito un messaggio a cercarne; e quando questo messaggio ritorna annunziando che il paladino è vivo e sano, Rinaldo, Ulivieri, Dodone ed altri si mettono in via per ritrovarlo. Ciascuno di costoro incontra o va in cerca di speciali avventure, delle quali l'autore ha riempiute in ventotto canti circa quattro mila ottave. I personaggi del poema passano dalla Persia alla Francia, da Babilonia a Parigi con tanta celerità, che sarebbe prodigiosa anche a noi che abbiamo la navigazione a vapore e le strade di ferro. Meridiana, principessa saracina, innamorasi d'Ulivieri ed è da lui convertita. Rinaldo toglie il trono a Carlo Magno, e di poi glielo rende avendogli riverenza per la vecchiaia, e increscendogli che sia rimbambito e non conosca la malizia di Gano. Orlando è incarcerato dall'amostante di Persia, poi liberato diventa sultano di Babilonia; ma abbandona quella signoria per ritornare in Francia, dove combatte per Gano suo persecutore. Morgante s'imbatte a caso in un mezzo gigante chiamato Margutte, e lo mena seco mentre va in. cerca di Orlando; ma poco durano insieme per questo caso singolarissimo: che Margutte dopo aver troppo 'mangiato e bevuto s'addormenta lungo la via presso una fonte : Morgante gli trae gli stivaletti e li appiatta alquanto

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