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cia da un lamento di Orfeo; il quale non protesta soltanto di non voler amare mai più altra donna, ma esce anche in parole ingiuriose contra tutto il sesso.

Ben misero è colui che cangia voglia

Per donna, o per suo amor si lagna o duole;
O chi per lei di libertà si spoglia,

O crede a' suoi sembianti e a sue parole!
Chè sempre è più leggier che al vento foglia;
E mille volte il dì vuole e disvuole;
Segue chi fugge; a chi la vuol s'asconde;

E vanne e vien come alla riva l'onde.

Di che le donne di Tracia si sdegnano; e, celebrando un' orgia di Bacco, l'uccidono; poi con gioia feroce cantan la loro vendetta:

Una Menade. Oè, oè,1 o' Bacco; io ti ringrazio.

Coro ec.

Per tutto il bosco l'abbiamo stracciato,

Tal che ogni sterpo del suo sangue è sazio:
Abbiamo a membro a membro lacerato
Per la foresta, con crudele strazio;
Sicchè 'I terren del suo sangue è bagnato.
Or vada, e biasmi la teda 2 legittima.
Evoè, Bacco; accetta questa vittima.
Ciascun segua, o Bacco, te:
Bacco, Bacco, oè nè.

Di corimbi e di verd' edere
Cinto il capo abbiam così,
Per servirti a tuo richiedere,
Festeggiando notte e dì.
Ognun beva: Bacco è qui:
E lasciate bere a me.

Ciascun segua, o Bacco, te:
Bacco, Bacco, oè oè.
Io ho vôto già il mio corno:
Porgi quel cántero in qua.
Questo monte gira intorno;
O'l cervello a cerchio va.

1 Oè, evoè cc., furono gridi usati nelle feste di Bacco. Questo canto poi delle Baccanti può considerarsi come il primo ditirambo italiano.

2 Teda. Face, fiaccola. La Teda legittima: Il matrimonio; ed è noto the Imene, Dio del matrimonio, si rappresenta sempre con una teda, 3 Corimbo (spiega la Crusca), Grappolo di coccole d'ellera. Cant.ro. Vaso di qualche grandezza.

Ognun corra in qua o in là,
Come vede fare a me.

Ciascun segua, o Bacco, te:
Bacco, Bacco, oè oè:

Io mi moro già di sonno:
Sono io ebbra o sì o no?

Più star dritti i piè non ponno;
Voi siet' ebbri, ch' io lo so.
Ognun faccia com' io fo:

Ognun succe1 come me.

Ciascun segua, o Bacco, te:
Bacco, Bacco, oè oè.
Ognun gridi: Bacco, Bacco;
E pur cacci del vin giù.
Poi col sonno farem fiacco.*
Bevi tu, e tu, e tu.

Io non posso ballar più.

Ognun gridi: Oè oè.

Ciascun segua, o Bacco, te?

Bacco, Bacco, oè oè.

DALLE STANZE

'Descrizione di Cipri.

Vagheggia Cipri un dilettoso monte
Che del gran Nilo i sette corni vede
Al primo rosseggiar dell' orizzonte,
Ove poggiar non lice a mortal piede.
Nel giogo un verde colle alza la fronte;
Sott' esso, aprico un lieto pratel siede,
U' scherzando tra' fior lascive aurette,
Fan dolcemente tremolar l'erbette.
Corona un muro d' ôr l'estreme sponde
Con valle ombrosa di schietti arboscelli,
Ove in su' rami fra novelle fronde
Cantano i loro amor söavi augelli.

Sentesi un grato mormorio dell' onde,

1 Succe, dal verbo Succiare, per Bevere tanto, che se ne succi o altiri col fiato l'ultima goccia.

2 Fare facco, dice la Crusca, vale Fare strage. Qui varrà Dormiremo quanto ci piacerà.

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3 I sette corni. I sette rami nei quali il Nilo si parte e mette foce in

2

Che fan duo freschi e lucidi ruscelli,
Versando dolce con amar liquore
Ove arma l'oro de' suoi strali Amore.
Nè mai le chiome del giardino eterno
Tenera brina o fresca neve imbianca:
Ivi non osa entrar ghiacciato verno,
Non vento l'erbe o gli arboscelli stanca :
Ivi non volgon gli anni il lor quaderno,1
Ma lieta Primavera mai non manca,

Che i suoi crin biondi e crespi all' aura spiega,
E mille fiori in ghirlandetta lega.
Lungo le rive i frati di Cupido,

Che solo usan ferir la plebe ignota,
Con alte voci e fanciullesco grido
Aguzzan lor säette ad una cota.
Piacere, Insidia, posáti in sul lido,
Volgono il perno alla sanguigna rota: 3
Il fallace Sperar col van Disio
Spargon nel sasso l'acqua del bel rio.
Dolce Päura e timido Diletto,

Dolci Ire e dolci Paci insieme vanno:
Le Lagrime si lavan tutto il petto,
E' fumicello amaro crescer fanno :
Pallore smorto, e paventoso Affetto
Con Magrezza si duole e con Affanno:
Vigil Sospetto ogni sentiero spia:
Letizia balla in mezzo della via.

Voluttà con Bellezza si gavazza: *

Va fuggendo il Contento, e siede Angoscià:
Il cieco Errore or qua or là svolazza:
Percotesi il Furor con man la coscia:

• La Penitenza misera stramazza,

Che del passato error s'è accorta poscia:
Nel sangue Crudeltà lieta si ficca:

E la Disperazion sè stessa impicca.
Tacito Inganno e simulato Riso,

1 Quaderno, propriamente; Alquanti fogli cuciti insieme; qui per metafora: Le stagioni dell' anno; Ivi non succede una stagione all'altra, ma è primavera perpetua.

2 I frati. I fratelli, gli Amorini.

Rola. Quella ond'è mossa la cote. Qui pói personifica gli affetti degli animi innamorati.

Si gavazza. Si da smodatamente buon tempo.

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L'erba di sua bellezza ha maraviglia:
Bianca, cilestra, pallida e vermiglia.
Trema la mammoletta verginella,

Con occhi bassi, onesta e vergognosa;
Ma vie più lieta, più ridente e bella
Ardisce aprire il seno al Sol la rosa :
Questa di verdi gemme s' incappella,
Quella si mostra allo sportel1 vezzosa:
L'altra che 'n dolce foco ardea pur ora,
Languida cade, e 'l bel pratello infiora.

CANZONE.

La non vuol esser più mia,

La non vuol la traditora:
L'è disposta alfin ch'io mora

Per amore e gelosia.

La non vuol esser più mia,

La mi dice: Va' con Dio;
Ch'io t'ho posto omai in oblio,
Nè accettarti mai potria.
La non vuol esser più mia,
La mi vuol per uomo morto;
Ne giammai le feci torto:
Guarda mo che scortesia!
La non vuol esser più mia;

La non vuol che più la segua;
La m'ha rotto pace e tregua

1 Si mostra ec.; cioè: Comincia a farsi vedere sbucciando dal bottone

Con gran scorno e villania.
La non vuol esser più mia.

Io mi trovo in tanto affanno,
Che d'aver sempre il malanno
Io mi credo in vita mia.
La non vuol esser più mia;

Ma un conforto sol m'è dato,
Che fedel sarò chiamato,
Sarai tu spietata e ria.

FEO BELCARI.

Il Mazzucchelli, il Crescimbeni e il Poccianti annoverano Feo o Maffeo Belcari tra i poeti italiani; e Girolamo Benivieni, non ultimo fra i cultori della poesia volgare nel secolo XV, compiangendone la morte lo chiama poeta cristiano. Contuttociò la sua riputazione oggidì non è di poeta ma di prosatore: perocchè nelle poesie va coi mediocri della sua età così pei concetti come per la forma, nè si accosta punto ai migliori; ma nelle prose vince di schiettezza, evidenza e semplicità nobile e dignitosa tutti i suoi contemporanei a noi noti. Pietro Giordani disse egregiamente essere il Colombini (cioè la vita che di lui scrisse il Belcari) un arancio in gennaio, un frutto del Trecento nel Quattrocento; avere il Belcari adoperato quella lingua e quello stile, tutto oro finissimo, delle Vite dei santi Padri.

Troviamo che Feo Belcari, di nobil famiglia fiorentina, fu più volte tra i magistrati della sua patria, dove poi mori nel 1484, già vecchio, lasciando fama d'uomo dotto non meno che buono, e di cittadino esemplare: ma ignoriamo in quale anno sia nato.

Come poeta, compose alcune Laude e Rappresentazioni di argomento religioso, quali usò il suo secolo, non per questo più pio o men vizioso degli altri; come prosatore, scrisse la Vita del Beato Giovanni Colombini e dei primi che lo seguitarono nell' Ordine dei Gesuati da lui istituito. Il suo merito e la sua lode principale consiste in ciò, al parer mio, che volendo allontanarsi dalla rozzezza de' suoi contemporanei si propose di far rivivere la semplicità del secolo precedente; mostrando con ciò miglior gusto e più diritto giudizio di molti Cinquecentisti.

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