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1 Torriani ingannati, per quel che si crede, da Matteo Visconti, furono poi combattuti e scacciati come nemici di Arrigo: il quale, partendosi, raccomandò al Visconti la città, benchè vi lasciasse per vicario Niccolò Salimbeni di Siena.

Il nimico, che mai non dorme, ma sempre semina e ricoglie, mise discordia in cuore a' nobili di Cremona di disubbidire: e due fratelli, figliuoli del marchese Cavalcabò, n'erano signori,' e messer Sovramonte degli Amati, e un savio cavaliere, quasi loro avversario per gara d'onori, vi s'accordarno; e avieno lettere de' Fiorentini e falsi instigamenti: gridarono contro l'imperadore, e cacciarono il suo vicario.

Lo imperadore ciò sentendo, non crucciosɔ, come uomo di grand' animo, gli citò: non l' ubbidirono, e rupponli fede e saramento. I Fiorentini vi mandarono subito uno ambasciadore per non lasciare spegnere il fuoco; il quale proferse loro aiuto di gente e di denari: il che i Cremonesi accettarono, e afforzarono la terra.

Lo imperadore cavalcò verso Cremona. Gli ambasciadori di là gli furono a' piedi, dicendo come non poteano portare gl' incarichi erano loro posti, e che erano poveri, e che senza vicario il voleano ubbidire. Lo imperadore non rispondendo, furono ammaestrati per lettere segrete, che, se volessono perdono, vi mandassono assai de' buoni cittadini a domandare merzè, però che lo imperadore volea onore. Mandaronne assai, e scalzi, con niente in capo, in sola gonnella, colla coreggia in collo; e dinanzi a lui furono a domandare merzè: a' quali non parlò. Ma eglino sempre chieggendo perdono, lui sempre cavalcava verso la città; e giunto, trovò aperta la porta, nella quale entrò; e ivi si fermò, e mise mano alla spada, e fuori la trasse, e sotto quella li ricevette. I grandi e potenti colpevoli e il nobile cavaliere fiorentino messer Rinieri Buondelmonti, li podestà, si partirono avanti che lo imperadore venisse. Il quale podestà vi fu mandato per mantenerli contro allo imperadore: il quale fece prendere tutti i potenti vi rimasono, e messer Sovramonte, che per troppo senno o per troppa sicurtà non fuggì; e prendere fece tutti coloro che gli andarono a chiedere merzè, e ritenneli in prigione. La terra riformò, la condannagione levò loro, e' prigioni mandò a Riminingo..

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N' erano. I quali erano signori della città.

2 Il quale cc. Lo aveano mandato colà i Fiorentini per ec.

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L'imperatore n' andò quindi contro Brescia a dì 12 di maggio 1311 e pose l'assedio alla fortezza. Messer Tipaldo Bruciati suo vicario, ma fautore de' suoi nemici, volle soccorrere gli assediati.

Per giustizia di Dio il cavallo incespicò e cadde. E' fu preso, e menato allo imperadore, della cui presura molto si rallegrò: e, fattolo esaminare, in su uno cuojo di bue il fe strascinare intorno alla città, e poi gli fe tagliare la testa, e il busto squartare; e gli altri presi fece impiccare.

Cosi incrudelirono quelli dentro inverso quelli di fuori: chè quando ne pigliavano uno, lo ponieno su' merli, acciò fusse veduto; e ivi lo scorticavano, e grande iniquità mostravano: e se presi erano di quelli dentro, erano da quelli di fuori impiccati. E così con edifici e balestra dentro e di fuori guerreggiavano forte l'uno l'altro. La città non si potea tanto strignere con assedio, che spie non v'entrassono mandate da' Fiorentini, i quali con lettere gli confortavano, e mandavano danari....

A' dì 19 di settembre 1311 (perchè il luogo dove era il campo era disagiato, il caldo grande, la vittuaglia venia di lunge, e' cavalieri erano gentili; e dentro alla terra ne morivano assai di fame e di disagio, per le guardie si conveniva loro fare, e pe' sospetti grandi) per mezzanità' di tre cardinali stati mandati dal papa allo imperadore (i quali furono 'monsignore d' Ostia, monsignor d'Albano e monsignor dal Fiesco) si praticò accordo tra lo imperadore e i Bresciani di darli la terra, salvo l'avere e le persone; e arrenderonsi a' detti cardinali.

Lo imperadore entrò nella terra, e attenne loro i patti. Fece disfare le mura, e alquanti Bresciani confinò, e dall' assedio si parti con molti meno de' suoi cavalieri, che vi morirono, e molti se ne tornarono indietro malati....

I Fiorentini in tutto li si scopersono nimici in procurare la ribellione delle terre di Lombardia. Gorruppono per moneta e per promesse con lettere messer Ghiberto signore di Parma, e dierongli fiorini quindicimila, perchè tradisse lo imperadore e rubellasseli la terra: Deh quanto male si mise a fare questo cavaliere, il quale da lui avea ricevute di gran grazie in cosi poco tempo! Chè donato gli avea il bel castello di San Donnino e un altro nobile castello, il quale tolse a' Cremonesi e diè a lui; il. quale castello era sulla riva di Po: e la bella città di Reggio gli avea data in guardia, credendo che fusse fedele e leale cavaliere. Il

Per mezzanilà. Per interposizione.

quale armato sulla piazza di Parma gridò « Moia lo imperadore, » e il suo vicario cacciò fuori della terra, e i nimici accol se. Coprivasi con false parole, dicendo che non per danari il facea, ma perchè il marchese Pallavicino avea rimesso in Cremona, il quale tenea per suo nimico.

Premeano i Fiorentini i loro poveri cittadini, togliendo loro la moneta, la quale spendeano in così fatte derrate,' e tanto. procurarono, che messer Ghiberto rimise gli avversari dello imperadore in Cremona.........

Quanto i Fiorentini studiavansi d'impedire ed abbassare l'imperatore, altrettanto lo favorivano e l'onoravano i Pisani; ed ebbe da loro promessa di sessantamila fiorini quando fosse in Toscana, perchè speravano di riavere per lui le cose perdute, e di opprimere i loro avversari.

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Giunse lo imperadore a Pisa a' di 6 di marzo 1312 con trenta galee, dove fu con gran festa e allegrezza ricevuto e onorato come loro signore. I Fiorentini non vi mandarono imbasciadori, per non esser in concordia i cittadini: una volta gli elessono per mandarli, e poi non gli mandarono, fidandosi più nella simonia e in corrompere la corte di Roma, che patteggiarsi con lui.

Messer Luigi di Savoia, mandato ambasciadore in Toscana dallo imperadore, venne a Firenze, e fu poco onorato da' nobili cittadini. E' feciono il contrario di quello doveano. Domandò che ambasciadore si mandasse a onorarlo e ubbidirli come a loro signore: fu loro risposto per parte della signoria da messer Betto Brunelleschi, che mai pér niuno signore i Fiorentini inchinarono le corna. E imbasciadore non vi si mandò, chè arebbono auto da lui ogni buon patto; perchè il maggiore impedimento che avesse, erano i guelfi di Toscana.

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Partito l'ambasciadore, se ne tornò a Pisa, e i Fiorentini feciono fare uno battifolle a Arezzo, e ricominciarvi la guerra: e in tutto si scopersono nimici dello imperadore, chiamandolo tiranno e crudele, e che s' accostava co' ghibellini, e i guelfi non voleva vedere. E ne' bandi loro diceano: «A onore di Santa

Derrate sono tutte le cose venali: qui per traslato e per ironia si riferisce ai tradimenti che i Fiorentini comperavano a danno di Arrigo.

2 Con trenta galee. Arrigo era andato da Brescia a Pavia; di quivi ravalcò in verso Genova, d' onde per mare passò a Pisa.

3 Tentarono invano con molto denaro d'indurre il re di Francia e il pontefice a trattenere Arrigo si ch'egli col suo esercito si consumasse. Battifolle. Bastione.

Chiesa, e a morte del re della Magna. » L'aquile levarono dalle porte, e dove erano intagliate e dipinte; ponendo pena a chi le dipignesse, o le dipinte non spegnesse.

Lo imperadore, schernito da' Fiorentini, si partì di Pisa, e andonne a Roma, dove giunse a di 1 di maggio 1312, e onoratamente fu ricevuto come signore, e messo nel luogo del senatore.' E intendendo le ingiurie gli eran fatte dai. Guelfi in Toscana, e trovando i Ghibellini che con lui s'accostavano di buona voluntà, mutò proposito e accostossi con loro: e verso loro rivolse l'amore e la benivolenzia che prima avea co' Guelfi: e proposesi di aiutarli e rimettergli in casa sua,? e i Guelfi e' Neri tenere per nimici, e quelli perseguitare.

I Fiorentini sempre teneano ambasciadori a' piè del re Ruberto, pregandolo che colla sua gente offendesse lo imperadore, promettendoli e dandoli danari assai.

Il re Ruberto, come savio signore e amico de' Fiorentini, promise loro d'aiutarli, e così fe: e allo imperadore mostrava di confortare e ammunire i Fiorentini gli fussono ubbidienti come a loro signore. E come senti che lo imperadore era a Roma, di subito vi mandò messer Giovanni suc fratello con trecento cavalli, mostrando mandarlo per sua difesa e onore della sua corona; ma lo mandò, perchè s' intendesse con gli Orsini nimici dello imperadore, per corrompere il senato, e impedire la sua coronazione: che ben la intese."

Mostrando il re grand' amore allo imperadore, gli mandò suoi ambasciadori a rallegrarsi della sua venuta, facendoli grandissime profferte, richieggendolo di parentado, e che li mandava il fratello per onorare la sua coronazione e per suo aiuto, bisognando.

Rispose loro il savissimo imperadore di sua bocca: « Tarde sono le profferte del re, e troppo tostána è la venuta di messer Giovanni. » Savia fu la imperiale risposta, chè bene intese la cagione di sua venuta.

A di primo di agosto 1312 fu incoronato in Roma Arrigo, conte di Luzimborgo, imperadore e re de' Romani nella chiesa I di San Giovanni Laterano da messer Niccolaio cardinale da

1 Senatore. I Romani conservarono questa Magistratura gran tempo, ma il più delle volte era un semplice neme.

2 In casa sua. La grammatica vorrebbe: in casa loro; ed anche sarebbe più chiaro: così com'è, potrebbe anche intendersi della casa di Arrigo, 3 Ruberto, o Roberto re di Napoli, agognava al dominio d'Italia. Che ben ec. Arrigo conobbe la vera intenzione di Roberto. Tostána. Subitanea; senza aspettar richiesta.

Prato, da messer Luca dal Fiesco cardinale di Genova, e da messer Arnaldo Pelagrù cardinale di Guasconia, di licenzia e mandato 1 di papa Clemente V e de' suoi cardinali.

IL NOVELLINO.

Appartiene al secolo XIII una raccolta di cento novelle che si credono scritte (non si sa da chi nè da quanti) tra il 1250 e il 1300, e riunite più tardi in un volume denominato Il Novellino o Il Cento novelle. È probabile che alcuni di questi racconti siano stati scritti non solo dopo il tempo qui sopra indicato, ma ben anche dopo l' età del Boccaccio: nella maggior parte per altro è manifesta l'impronta dell' antichità.

Come due nobili Cavalieri s' amavano di buono amore.

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Due nobili cavalieri s' amavano di grande amore: l'uno avea nome messere G..., e l'altro messere S... Questi due cavalieri s' aveano lungamente amato. L'uno di questi si mise a pensare, e disse così: Messere S... ha uno bello palafreno, se io li le chieggio, darebbelm' egli? E così pensando, l'uno cuore gli dicea, sì darae; e l'altro gli dicea, non darae. E così tral si e 'l no, vinse il partito che non gliel darebbe. Il cavaliere fu turbato, e cominciò a fare strano sembiante, ed ingrossò contro all'amico suo. E ciascuno giorno lo pensiere cresceva, e rinnovellava il cruccio. Lasciolli di parlare, e volgeasi, quando elli passava, in altra parte. Le genti si maravigliarono, ed elli medesimo si maravigliava forte. Uno giorno avvenne, che messere S.., il quale avea il palafreno sotto, non poteo più sofferire; andò a messere G.., e disse: Amor mio, compagno mio, perchè non mi parli tu? E perchè se' tu crucciato meco? Elli rispose: Perch' io ti chiesi lo palafřeno tuo, e tu lo mi negasti.

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↑ Di licenzia e mandato. Con permissione e commissione di Clemente V the risiedeva in Avignone.

2 Li le. Gliele; usato dagli antichi in vece di glielo e gliela indistin

tamente.

3 Vinse ec. Preyalse in lui l'opinione.

↳ Ingrosso. Ingrossare, stare ingrossato, star grosso contro uno dipin gono il contegno di chi cessa con qualcuno dalla consueta dimestichezza senza dirgliene la cagione.

5 Lasciolli di parlare. Lasciò, cessò di parlargli. rome lasciolli per lasciògli. Maniere antiquate.

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6 Elli medesimo, Messer S., a cúi G. non parlava più.

Elli per egli,

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