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patori nondimeno se avessero potuto effettuare i loro disegni, molto è stato ed è ancora di male, che non sarebbe avvenuto.

I costumi di questo secclo furono tali da render credibile fin anche che un frate avvelenasse Arrigo VII colla particola della comunione. Nè di tante guerre, allora agitate, trasse l'Italia almeno il vantaggio di una buona milizia perciocchè la invilirono da prima i mercenari tedeschi, dei quali si valsero i Visconti, i marchesi di Monferrato e i duchi di Savoia; poi le Compagnie di ventura: sotto il qual nome s'intendono certe bande stipendiate da un capo o condottiero che non era signore di verun luogo, ma vendeva l'opera sua e de' suoi a chiunque ne lo richiedesse. Queste Compagnie, di fede. incertissima, cogli stipendi e colle estorsioni impoverivano amici e nemici del pari; studiavansi che non fosse mai pace durevole, perchè nella pace nessuno abbisognava di loro; e furon cagione che i popoli, abbandonando l'esercizio delle armi, perdessero l'antico valore. Finalmente o per caso o per colpa di tante guerre e di tanti eserciti forestieri e nazionali soggiacque l'Italia in quel secolo anche ai flagelli della fame e della peste, e perdette così gran numero di abitatori, che d'allora in poi non fu mai più popolata come prima.

E nondimeno nel secolo XIV o nel Trecento fiorirono in ogni parte d'Italia le arti e le lettere, fondando quella splendida civiltà che poi si diffuse su tutta l'Europa. Già nelle età precedenti eransi fatti, così nelle arti come nelle scienze e nelle lettere, non piccioli passi; di che sono prova alcuni edifici ancora ammirati, come la chiesa di san Marco in Venezia e il duomo di Pisa; la fama in che sappiamo ch' eran salite parecchie Università e pubbliche Scuole, massimamente di Bologna, Padova, Napoli; e le scritture che ancor ci rimangono di molti eruditi, filosofi e poeti, d'alcuni dei quali abbiam fatta menzione già innanzi. Nel secolo XIV poi, col numero delle città indipendenti, dovette crescere anche quello delle persone atte a trattare pubblici affari, a proporre buone leggi, a sostenere ambascerie; le quali persone non sorgono dove non sieno pubbliche scuole, valenti professori, biblioteche, e tutti insomma que' mezzi che si richiedono a coltivare gl' ingegni. Ben presto poi il desiderio d'assicurarsi l'indipendenza, e le guerre da città a città fecero sentir il bisogno di fortificarsi d' armi e di mura; e per conseguente il bi

sogno di procacciarsi ricchezze coll' agricoltura, coll' industria, col commercio. Quindi troviamo che in alcune provincie le campagne rendevano imagine d'immensi giardini; in molte città fiorirono fabbriche di stoffe e d'armi che tutta Europa comperava non poche avevano banchi privilegiati in Francia ed altrove; le marittime possedevano fattorie oltre mare, in Egitto, nella Siria da per tutto si attese sollecitamente a quelle arti che più son necessarie al vivere agiato e sicuro. A questo le cittadinanze erano spinte dalla persuasione che non potrebbero altrimenti avere durabile prosperità: e coloro che già copertamente agognavano a sovvertire la libertà e farsi principi o tiranni, avevano un doppio motivo di secondare quel popolar movimento, per illudere le moltitudini, ed accrescere colla loro operosità quelle ricchezze sulle quali speravan di mettere quando che fosse le mani. Così nell' Alta Italia (per tacer dei minori) i Maggi, i Coreggeschi, gli Scaligeri, gli Estensi, i Bonacossi in Brescia, in Parma, in Verona, in Ferrara, in Mantova; poi i Polenta in Ravenna, gli Orde-. laffi in Forlì, i Malatesta in Rimini: oltre Roberto in Napoli, e Galeazzo e Gian Galeazzo Visconti in Pavia e in Milano; tutti mostrarono di favorire gli studi e onorare gli studiosi: cominciando quella serie di protettori, dei quali avremo occasione di parlare più tardi.

SCRITTORI DEL SECOLO XIV.

La lingua italiana per quasi tutto il secolo XIII fu adoperata principalmente dai poeti in materia d'amore: e quella poesia cominciò a fiorire in Sicilia e prevalse colà dal 1225 al 1250 alla corte di Federico II. Abbiamo veduto poi che alquanto più tardi, cioè nella seconda metà di quel secolo, il Guinicelli bolognese e il fiorentino Cavalcanti, senza staccarsi dagli argomenti amorosi, diedero alla nuova poesia maggior finitezza, più regolare andamento, e tal forma insomma da potersi dir letteraria. Ancor più che nella poesia è notabile nella prosa la differenza tra Matteo Spinello da Giovenazzo nel regno di Napoli, e il Malispini e il Compagni nati in Firenze; quantunque tutti e tre scrivessero di cose storiche e non molto lontani di tempo. Ma nel Compagni non vediamo soltanto una forma di

scrivere migliorata: egli non è soltanto, come il Malispini, miglior cronista di Matteo Spinello; ma lasciò uno scritto letterario propriamente detto, superiore a quanti prima di lui avevan usata in prosa la nuova lingua, non indegno di essere paragonato agli antichi, e tale insomma che non fosse facilmente superabile da quei che vennero dopo di lui. Con Dino Compagni pertanto può dirsi che avesse principio la vera letteratura italiana sul finire del secolo XIII; la quale poi nel XIV sali col poema di Dante Allighieri alla sua maggiore altezza, e fu la prima delle letterature moderne.

DANTE ALLIGHIERI.

Dante Allighieri nato di famiglia nobile e guelfa in Firenze l'anno 1265, morì a Ravenna l'anno 1321. Rispetto al corso della vita pertanto appartenne al secolo XIII assai più che al XIV; ma si ascrive nondimeno a quest'ultimo, perchè nei grandi scrittori consideriamo principalmente le opere dell'ingegno e l'efficacia che per quelle essi ebbero sulla letteratura del loro paese o generalmente sulla loro nazione. Ora l'Allighieri prima dell'anno 1300, scrivendo prose e versi d'amore, nou s'era distinto gran fatto dagli altri di quella età; e solo dopo d'allora lasciolli a immensa distanza dietro di sè, quando colla Divina Commedia sollevò la poesia italiana a un' altezza non prima tentata, adoperandola nei gravi argomenti della politica e della morale.

L'Allighieri ebbe a maestro Brunetto Latini filosofo e poeta di gran fama a que' tempi; e congiunse colla filosofia e collo studio delle amene lettere anche le belle arti.

Di nove anni s'innamorò di Beatrice Portinari fanciulletta di pari età: e di lei cantò, senza nominarla. ne' primi suoi versi; è lei morta in sul fiore degli anni (nel 1290) eternò nella Divina Commedia, fingendo ch'essa gli fosse guida a visitare le sedi dei beati nel Paradiso.

La morte di Beatrice fu cagione di tanto dolore all'Allighieri, che i parenti e gli amici, temendo di peggio, per distrarlo da quel pensiero, lo indussero a prender moglie. Fu costei Gemma Donati, di quella famiglia della quale fu capo il celebre Corso. Un' antica tradizione, accreditata dal Boccaccio, la rappresenta co

AMBROSOLI. 1.

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me donna bizzarra e riottosa, sicchè Dante una volta da lei partitosi, mai nè dove ella fosse volle venire, nè sofferse che dove egli fosse ella venisse giammai: ma i critici moderni rivocarono in dubbio queste asserzioni, discolpando Gemma, come altri discolparono quella Xantippe moglie di Socrate alla quale s' era voluto paragonarla.

Del resto nè gli studi, nè l'amore, nè le afflizioni o le cure famigliari occuparono tanto l'Allighieri, ch'egli non si desse intieramente alla patria qualunque volta occorreva; e per entrar tra coloro che la potevan servire, si scrisse (giusta le istituzioni di quel tempo) nell'arte dei medici e degli speziali. Combattè contro i Ghibellini d'Arezzo, e fu tra i più valorosi nella famosa battaglia di Campaldino; fu uno de' Priori nel 1300, e rappresentò la repubblica in qualità d'ambasciatore più volte.

I maggiori di Dante erano stati sempre di parte guelfa; la quale allora predominava nella Toscana, massimamente in Firenze. Ma nel 1300 i Guelfi si divisero in due contrarie fazioni, una delle quali si disse dei Bianchi, l'altra dei Neri: « e trovandosi in arme (sono parole di Niccolò Machiavelli) ambedue le parti, i Signori, de' quali era in quel tempo Dante, per il consiglio e prudenza sua, presero animo e fecero armare il popolo al quale molti del contado si aggiunsero, e dipoi forzarono i capi delle parti a posar le armi e confinarono messer Corso Donati con molti di parte Nera. E per mostrare di essere in questo giudicio neutrali, confinarono ancora alcuni di parte Bianca, i quali poco dipoi, sotto colore di oneste cagioni, tornarono. » I Neri si volsero allora al pontefice Bonifazio VIII, accusando i Bianchi di parteggiare coi Ghibellini. Dante fu subito a Roma a nome dei Bianchi per isventar quelle accuse: ma Bonifazio mandò a Firenze Carlo di Valois con titolo di paciere, e coll' incarico di opprimere i Bianchi. L' Allighieri era in viaggio per ricondursi a Firenze, quando ebbe notizia ch' egli era compreso tra i molti esigliati, che gli avevano arsa la casa e guasti i terreni. La sentenza fu rinnovata in pochi mesi più volte, e sempre più rigorosa, con minaccia fin anche di arderlo vivo qualora tornasse; calunniandolo, che nel tempo del suo_priorato, avesse venduta la giustizia.

Di qui ebbe principio l' infelicità dell' Allighieri; ma anche la sua vera gloria: perchè il forte suo ingegno

trasse materia dall' infortunio a spiegare più nobile volo; e lasciati gli argomenti amorosi, pensò di tramandare ai posteri colla notizia delle calamità della patria anche l'infamia di coloro che ne furon cagione. E forse sperò altresì di poter vincere la crudeltà che lo serrava fuor del luogo natío, acquistando tanta celebrità, che ai Fiorentini venisse desiderio di lui.

I Bianchi esigliati non potevano avere speranza di rimpatriare senza collegarsi coi Ghibellini; ai quali, per vero dire, già propendevano. Allora dunque s'accostò a quella Parte anche Dante: e fu per qualche tempo uno dei capi e consiglieri de' fuorusciti, intenti a cercar modo di riacquistare la patria. Come tale fu tra coloro che nel 1304 assaltarono Firenze; e vi. entrarono, ma non seppero fermarvi il piede. Laonde egli, conoscendo nella mala riuscita di quell' impresa la dappocaggine de' suoi compagni, si divise da loro per darsi unicamente agli studi. Non vogliamo dire con ciò che rinunziasse fin d'allora al desiderio e alla speranza di ritornare in Firenze. Più volte inviò lettere ai capi della repubblica e al popolo fiorentino, domandando il ritorno; e per questo fine desiderò egli pure la venuta di Arrigo di Lussemburgo nel quale tutti i Ghibellini di quel tempo avevan posta ogni loro fiducia e solo forse dopo la morte di quell' imperatore accolse la dolorosa persuasione di non dover più rivedere la patria. Alcuni anni più tardi i Fiorentini gli fecero potestà di ritornare, purchè si rendesse per qualche tempo prigione, e riconoscesse dalla compassione de' suoi avversari questo favore: ma egli rispose che non entrerebbe mai in Firenze per modo si disonorevole, e come persona che sapesse vivere senza fama.

Continuando pertanto le peregrinazioni cominciate già coll' esiglio, visitò la maggior parte delle città italiane, e fu alle corti di molti principi, vide i costumi dei grandi, si procacciò notizia degli avvenimenti di maggiore importanza nei luoghi stessi dov' erano accaduti. Fu per qualche tempo a Ravenna presso Guido da Polenta padre di quella Francesca della quale raccontò poi tanto pietosamente e l'amore e la morte. Fu a Lucca sotto la protezione di Uguccione della Faggiola; nella Lunigiana ospitato dai Malaspina, la cui casa (dice nel poema) è famosa di liberalità e di valore, nè punto si sfregia del pregio della borsa e della spada. Andò a Parigi dove tutto si diede allo studio della teologia e.

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