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rallegrarsi, senza cadere perciò in veruna illusione circa il merito reale del libro. Il quale in questa nuova edi zione ritorna dunque alla luce sotto l'antica sua forma; con quelle mutazioni per altro che la felicità del nostro tempo consente, oltre a non poche necessarie correzioni di abbagli e di errori che il compilatore ha riconosciuti, o da sè, o ammonito cortesemente da alcuni di quegli uomini valenti e modesti che insegnano coi libri altrui, ma avrebbero ingegno e dottrina per comporne di propri. Questa seconda edizione fu inoltre accresciuta di esempi tolti dalle opere d'illustri italiani di cui la morte ci ha privati in questo volger di tempo; e finalmente di alcune Considerazioni sulla nostra Letteratura. Raccomandare al benigno lettore un libro, e massimamente un libro che vorrebbe concorrere all'istruzione dei giovani, parmi cosa peggio che inutile; perchè s'egli è buono e giovevole, sarà conosciuto senza alcun dubbio, ed accolto; se per caso, contro la nostra intenzione fosse cattivo, dovremmo desiderare noi stessi che passasse inos

servato.

Milano, settembre 1863.

MANUALE

DELLA

LETTERATURA ITALIANA.

DELLA

LETTERATURA ITALIANA.

SECOLO DECIMOTERZO.

NOTIZIE STORICHE.

Sul finire del secolo XII le città lombarde, fattesi indipendenti colla Pace di Costanza, avevano già cominciato a combattersi le une contro le altre.

Nella Toscana l'imperatore Enrico VI contendeva ai papi il possesso delle terre ch'essi dicevan lasciate dalla contessa Matilde alla Chiesa.

In Roma fino dal 1143, sotto il nome di restaurazione del Senato, erasi stabilito un governo repubblicano indipendente dalla Chiesa, nè i papi avevan potuto più ripigliare e mantenere quella piena autorità alla quale agognavano.

Nel regno di Napoli e di Sicilia l'eredità dei Normanni era passata nella Casa di Svevia pel matrimonio di Enrico VI colla principessa Costanza: la quale, morendo un anno dopo il marito (nel 1198), commise la tutela di suo figlio Federico al pontefice Innocenzo III.

Dopo la morte di Enrico VI si contesero l' imperio suo fratello Filippo duca di Svevia, e Ottone duca di Brunswich. Ma Filippo morì (nel 1208) assassinato per privata inimicizia da un conte di Wittelsbach; e il pontefice nell' autunno dell' anno seguente coronò imperatore Ottone, quarto di cotal nome.

Ma il sacerdozio e l'imperio non erano stati mai senza guerra dopo i tempi di Enrico IV. e di Gregorio VII: però anche Ottone e Innocenzo non tardarono

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a inimicarsi; negando l' imperatore di approvare quanto il papa avea fatto in Roma e nella Romagna a diminuzione dei diritti imperiali, e ricusando altresì di riconoscere la sua sovranità feudale su Napoli e sulla Sicilia. Il pontefice, impotente a combattere un tanto avversario, lo scomunicò, e si volse nel tempo stesso a ridestare nella Germania la fazione degli Hohenstaufen o della Casa di Svevia. Ottone si vide allora costretto a levarsi d'Italia per correre a soffocare l'incendio che lo minacciava oltre l'Alpi; ma trovò che Federico vi era già prima di lui, favorito e seguitato da molti. Ebbe inoltre a combattere col re di Francia, avverso a lui per la sua parentela col re d'Inghilterra; finchè, sconfitto a Bovines, si ritrasse ne' suoi Stati ereditari, dove morì nel 1218.

Federico, già coronato re di Germania fino dall'anno 1212, dopo la morte di Ottone ritornò in Italia: quivi da Onorio III, succeduto a Innocenzo, ricevette la corona imperiale chiamandosi Federico II; e rinnovò in quella occasione le promesse, già fatte a Innocenzo, di non unire la corona di Sicilia e di Napoli con quella della Germania, di lasciare al pontefice il libero possesso di tutti i beni della contessa Matilde, e di andare personalmente alla guerra di Terra Santa.

Con queste condizioni volevano i papi sottrarsi al pericolo di avere un vicino troppo potente, assicurarsi un dominio temporale, e volgere fuor dell' Europa le armi imperiali, provate già lungamente e pericolosamente ostili. Ma Federico non osservò poi le promesse; e soprastato molti anni in Italia, attese a farsi potente abbassando i grandi signori e prelati, e migliorando l'amministrazione del regno nel tempo stesso che la restringeva sempre più nelle sue mani. Dalla Sicilia trasportò nella Puglia ventimila Arabi accomodandoli d'abitazioni e di terre; perchè di loro unicamente poteva fidarsi, che non temevano le maledizioni ecclesiastiche. Arricchì di edifizi le città; molte ne fortificò di torri e bastioni; fece della sua corte una specie di Parnaso dove tutti scrivevano versi, nel tempo stesso che vi erano altamente onorate le scienze. Meditava di effettuare il disegno dell' avo sottomettendosi le città lombarde; e fors' anche di trasferire in Italia la dignità imperiale, come nell'antico suo nido. Fu naturale che avesse nemiche le città indipendenti: le quali segretamente sostenute e instigate da Onorio rinnovarono allora

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