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morali vestite di porpora; e quando il carro è dirimpetto a Dante, odesi un tuono e ogni cosa si arresta. Ed un di loro quasi da ciel messo.

Veni, sponsa, de Libano, cantando, Gridò tre voltc; e tutti gli altri appresso. Can. XXX. A tali voci sul divino carro cento ministri e messaggieri di vita eterna si le. benedicendo, e gittando fiori di sopra e d'intorno, apparisce Beatrice. Udite come il poeta la sua apparizione descrive, ch'io non saprei meglio dirlo che con le sue parole.

vano,

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lo vidi già nel cominciar del giorno
La parte oriental tutta rosata,
E l'altro ciel di bel sereno adorno;
E la faccia del Sol nascere ombrata
Sì che, per temperanza di vapori,
L'occhio lo sostenea lunga fiata.
Cosi dentro una nuvola di fiori,
Che dalle mani angeliche saliva,
E ricadza in giù dentro, e di fuori,
Sovra candido vel cinta d'oliva
Donna m'apparve sotto verde manto,
Vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
Tempo era stato che alla sua presenza
Non era di stupor tremando affranto,
Senza degli occhi aver più conoscenza,
Per occulta virtù, che da lei mosse,
D'antico amor senti la gran potenza.
Si può egli mai con più poetici co-
lori, con più sacre e gravi immagini,

o grandezza e sublimità maggiore, far comparire questa Beatrice, cioè questa Teologia, la quale al colore del velo, dell'olivo e del vestito alle Virtù Teologali, che con essa vengono, si rassomiglia? Questa è colei che dee fare l'altra parte del viaggio, e condurre il poeta del terrestre al Paradiso celeste. Sta ella ancora velata davanti agli occhi di lui, perchè non si è ancora ne' due fiumi di quel luogo bagnato; ma pure è giunta, onde Dante:

Volsimi alla sinistra col rispitto,

Col quale il fantolin corre alla mamma Quando ha paura, o quando eg'i è affliuto Per dicere a Virgilio: Men che dramma Di sangue m' è rimasa, che non tremi; Conosco i segni dell' antica fiamma. Ma Virgilio navea lasciati scemi Di se, Virgilio dolcissimo padre Virgilio a cui per mia salute diemi. E però vedete che, com' egli da prima nel suo argomento propose di voler fare, sottentrata è la teologia alla filosofia morale, o all'umana ragione, e con essa va Dante fino al cielo empireo, dove all'eterna beatitudine si affaccia, Sommo compimento di ogni bene; e termina il suo poema.

Qual' unità o semplicità richiedereste voi maggiore in componimento poetico di questa? L'essere l'uomo nella selva degli errori ravviluppato, e aiutato dalla

ragione esaminare i vizj, è il suo principio: il pervenir egli alla terrena felicità, o Paradiso terrestre, è il suo mezzo; e l'arrivare condotto dalla teo. logia alla beatitudine eterna, è il suo fine. Eccovi tutto quello ch'egli ha proposto, interamente eseguito con facilissimo filo. Propone che Virgilio dal principio fino al mezzo lo condurrà attiene la sua parola. Promette che Beatrice da esso mezzo sino alla fine lo guiderà; e non vi manca. Quando tutto quello vi trovate senza interruzione che nella proposizione è promesso, il filo è uno e semplice. Se poi voleste, come alcuni pretendono, che l'unità del soggetto dipenda da una massima morale, il che, trattandosi di un allegorico poema, come questo è, non m' increscerebbe, eccovi la massima morale, che ne esce da quel di Dante. Considera i vizj, gli correggi, e salirai a Dio.

Molto avete fino al presente sentito dell'arte usata da Dante nel suo poema e molto più lungamente potrei ragionarvi; imperciocchè oltre a quell' artifizio, che nel conservare l'unità si richiede, di parecchi altri ha di bisogno un sovrano poeta. Invariabile è l'uniformità del soggetto o fondamento di suo poema; ma non minore fu l'arte di lui nel variare le circostanze, mentre ch' egli

lo conduce al suo fine. La qual varietà fu notata anche dal riformatore novello di Dante; quantunque con una filza di biasimi, seguendo la usanza sua: il ghiaccio e il fuoco, le valli e i monti, le grotte e gli stagni d'Inferno, chi può tutto ridire? Mille grottesche figure e bizzarri tormenti non fanno certo gran credito a quell' Inferno, nè all'immagi nazione del poeta. Quali sono mai coteste figure si grottesche e cotesti si bizzarri tormenti? I carnali da un orribile turbine aggirati, percossi e molestati come quella passione suol fare? Le arche di fuoco, i fiumi del sangue, i tra sformati tronchi, dove le arpie lor nido fanno, l'arena infocata, con quella descrizione?

Lo spazzo era una rena arida e spessa, Non d'altra foggia fatta, che colei Che ei da' piè di Caton già fu oppressa. Oh vendetta di Do, quanto tu dèi Esser temuta da ciascun che legge Ciò che fu manifesto agli occhi miei! Dopo questa si debole e fredda esclamazione, sentite grottesche figure che son queste.

D'anime nude vidi molte gregge,

Che piangean tutte assai miseramcn'e, E parea posta lor diversa legge. Supin giaceva in terra alcuni gente, Alcuna si sedea tutta raccolta,

Ed altra andava continovamente

Quella che giva intorno era più molta,
E quella men, che giaceva al tormento,
Ma più al duolo avea la lingua sciolta.
Sovra tutto 'l sabbion d'un cader lento
Piovean di fuoco dilatate falde,
Come di neve in alpe senza vento.

Tale scendeva l'eternale ardore,
Onde la rena s'accendea, com'esca
Sotto focile, a doppiar lo dolore.
Senza riposo mai avea la tresca
Delle misere mani, or quindi or quinci,
Iscotendo da sè l' arsura fresca.

Queste sono delle immagini che non fanno credito al poema di Dante. Ma che vi dirò io della varietà usata da lui? Io non vi posso ogni cosa ridire, se voi non leggete e rileggete l'opera stessa. Si può creare pena più orribile a' Simonaici di quella che nel diciannovesimo Canto si legge, nè più nuova, più da tutte le altre variata? Dietro alla quale eccovi Malebolge ripiena di bollente pece, e le cappe di fuori dorate, e dentro di piombo per gl'ipocriti; poi le serpi, poi le fiamme del fuoco tutte contenenti un frodolento, le sconce ferite, le infermità, il lago del ghiaccio, e finalmente Lucifero che cadendo dal cielo fece tanto terrore nell' universo, che l'acqua si gelò, e la terra fuggendo di là, dov' egli percosse, si sporse allo insù e formo una montagna, sopra gli

GOZZI

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