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cui scaglioni, andando in alto, è il Purgatorio, che conduce al Paradiso terrestre, e oltre all' unità dell'azione forma anche unità di loco.

Immaginereste voi mai, che un cervello poetico tutto ripieno di così orribili e tragiche fantasie, fosse poi così arrendevole che, tutto ad un tratto lasciato il ferrore, potesse trasferirsi, come nuovo e fresco, a rappresentare altre pitture, nelle quali fosse l'orribilità minore si, ma non però con minore diligenza descritta, e quale al soggetto del Purgatorio si conveniva ?

Ahi quante son diverse quelle foci
Dalle infernali, che quivi per canti
S'entra, e laggiù per lamenti feroci.
Purg. Can. XVII. v. 113.

Non più trovi pitture di disperazione, ma di anime che pregando e lagrimando attendono di loro penitenza la fine. E il tutto è così bene rappresentato, che a ragione disse, Canto XII.

Qual di pennel fu maestro o di stile,
Che ritraesse l'ombre, e gli atti, ch' ivi
Mirar farieno uno 'ngegno sottile?
Morti li morti, e i vivi parean vivi.
Non vide me' di me, chi vide 'l vero.

Ma perchè vo io così di cerchio in cerchio spaziando e lungamente descrivendo quello che sa ciascheduno di voi? A cui non sono già noti tutti i Canti

del Purgatorio, e fra gli altri i bellissimi, nobilissimi e profetici ultimi dieci, ne' quali sopra tutti gli altri, come detto è, si solleva il poeta invasato dalla prossima venuta di Beatrice, poi dalla sua vista e da' suoi rimproveri. Finalmente uscito delle umane miserie ti ritrovi fra gli splendori, le melodie e i gaudj eterni; e tutto ciò con si belle e ingegnose, invenzioni, con tanta magnificenza e con pitture veramente divine, che se attento fosti e non leggesti saltando o dormendo, lascio conchiudere a te, s'egli ti abbia condotto con arte e regolatamente dall'uscio dell' inferno al più alto punto del Cielo.

Annotazione del Doni.

Fino a qui parlò Trifone Gabriello; e parve a ciascheduno ch' egli avesse detto il vero. Intanto come si fa dopo un lungo ragionamento, che ognuno bisbiglia e vuol dire il suo parere, chi dicea una cosa e chi un'altra intorno all'arte di Dante. Quando Orazio fece questa riflessione. Io diedi già, diceva egli, la norma di mantenere i caratteri dal principio al fine di un tenore; sicchè Achille dovesse essere sempre iracondo, Oreste maninconioso, lo piangente: e oltre a. ciò insegnai a studiare i costumi di tutte

l'età dell' uomo; ma questo capacissimo cervellone di Dante, non solo ha sostenuto il carattere del suo Virgilio, della sua Beatrice, e di tutti gli altri, quali doveano essere; ma egli ne ha inventato uno da dare a sè medesimo, che non fu mai imitato da poeta veruno. Vedete un tratto com'egli comincia pauroso, com'egli non si fida quasi di Virgilio sua guida, dice di voler seco entrare in Inferno, poi non vuole, poi entra, e ad ogni passo trema; a' primi tormenti che vede, cade a terra attonito e fuori di sè. A poco a poco fa cuore; sgrida egli medesimo i rei, e s' inerpica per le anche di Lucifero; giunto al Purgatorio grado per grado più leggiero va all'insù, sempre acquista cuore e franchezza, ha compassione, ma non terrore, non ira. Salito al Paradiso è tutto meraviglia, tutto letizia, leggiero come uno spirito; e tanta varietà non nuoce punto all' imitazione роеtica, anzi la rende più verisimile e più bella. Con quanta gravità, diceva Stazio, va quell'aguolo con la sua verghetta ad aprire la porta di Dite!

Ahi quanto mi parea pien di disdegno !
Giunse alla porta, e con una verghetta
L'aperse, che non ebbe alcun ritegno.
O cacciati del ciel gente dispetta,
Cominciò egli in su l'orribil soglia,
Ond' esta oltracotanza in voi s'alletta?

Perchè ricalcitrare a quella voglia,
A cui non puote'l fin mai esser mozzo,
E che più volte ha cresciuto doglia?
Che giova nelle Fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo.
Poi si rivolse per la strada lorda,

E non fe motto a noi ; ma fè sembiante
D'uomo, cui altra cura stringa e morda,
Che quella di colui, che gli è davante.

E diceva io, poichè anch' io volli pur parere da qualche cosa in quella brigata : e non vi pare artifizioso quel trovato, che giunto al cielo egli non ha più bisogno di far domande, che quelle anime beate in quella purissima luce gli leggono nel cuore e nel cervello, come s'egli parlasse, sicchè a pena veDutogli un desiderio o un pensiero, lo appagano e gli rispondono come se avesse spiegata la sua intenzione? È vero, disse Virgilio, tu bai ragione, Doni mio: e pensa a mandare al mondo quanto abbiamo detto, perchè si stampi. Tu hai sentito quello che pare a noi dell'arte di Dante, poichè fu esaminato. Perchè vedi, figliuol mio, non si può giudicare un poema a leggerne poco. E se il Censore l'avesse letto tutto, avrebbe pensato come noi; perciocchè non si può così da uno squarcio conoscere la bellezza e bontà del tutto. Come non potrebbe esser giudice della perfezione di

una faccia umana chi solamente intorno all'occhio fermasse il suo pensiero. Perchè posto che l'occhio bellissima e nobilissima parte sia di essa faccia, pure una parte riceve di sua bellezza dalla armonizzata organizzazione delle altre parti insieme congiunte, e queste dalÏ'occhio medesimo acquistano anch'esse venustà e perfezione. La qual mancanza nell' osservare il tutto è appunto il difetto delle scuole di oggidi, dalle quali esce bene uno scolare che ti saprà dire, essere bello il mio quarto libro dell' Eneide, e ti renderà conto di Sinone e dell'eccidio di Troia, ma di tutta l'azione del poema non ti sa dire due parole. Ma vedi che tutti si rimettono a sedere per ascoltare Aristofane, che vuol favellare del buongusto di Dante. Al viso sodo, ch' egli fa costui, ha qualche capriccio de' suoi. Facciamo come gli altri, sediamo e ascoltiamo

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