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L'ORFEO

FAVOLA DI ARISTOFANE

INTORNO AL BUON GUSTO DI DANTE

Orfeo c' insegnò a venerare gli Dei,
e a non far guerra.

Io Aristofane nella commedia delle Rane a car. 139.

Ah! ch' egli mi è giovato poco, diceva un giorno il figliuolo di Saturno, e rettore delle sfere celesti, battendosi con mano l'anca, l'aver dato agli uomini quella faccia diritta, e il poter vedere il cielo e innalzare gli occhi alle stelle! Minerva e Venere, figliuole mie, venite qua, affacciatevi a questo finestrino del'Olimpo che guarda verso la Tracia. Date un'occhiata a quella nazione, vedete come vivono le genti colà. Non direte voi che le sono più tosto fiere che uomini con la ragione in corpo? Vedete voi ch' esse non hanno altro in cuore fuor che il fare ingiuria i uno all'altro, e l'ingiuriato cerca di fat ven

detta, sicchè il ficcarsi le coltella nella gola è diventato un andare a nozze. Il più debole o resta di sotto, o chiama in suo aiuto un più forte perchè lo difenda; il nemico suo per rinforzarsi ancor esso chiama un altro a suo soccorso, onde hanno continua zuffa: i sagrifizj che mi fanno sono le bestemmie, si ammazzano i congiunti e gli amici fra loro, ch'egli par proprio che si bacino in fronte con amorevolezza: nou si lasciano un palmo di terreno l'uno l'altro; e intanto gli altri popoli, facendo le viste di aiutargli, ingrassano or l'uno, or l'altro del sangue loro. Vedete voi quivi un buon costume? un rimasuglio di morale virtù? un lume di scienza, di buone arti? Archi, spade, stocchi, labarde, ribellioni, correre a romore, a macelli tutto il dì, stare a gola ne'vizj, sono le loro filosofie, storie, arti poetiche, statuarie, pitture. Oimè che popolo è mai cotesto? I'credea di aver popolata la Tracia di uomini, e l'avrò popolata di lupi, di lioni, di cervieri. Eh! ch' io non gli voglio più comportare. Scaglisi questa folgore... Ma di costà passa una femminetta gravida, la vedete voi? Qual colpa ha dell' iniquità, rozzezza e bestialità universale quel bambino ch'ella porta nel suo ventre? So ch'esso è maschio,

e so ancora che potrebbe un giorno essere maestro a tutta la Tracia. Noi avremo dunque sofferenza parecchi anni ancora, finch' egli divenuto uomo cominci a fare cotanto e così degno uffizio. Ma tu, Minerva, e tu, Venere, lasciate per ora le sedi degl' immortali, andatevene colaggiù, dov'è quella buona femmina che sta per partorire fra poco; e prendendovi cura di quel fanciullino, inspiratelo e allevatelo per modo, ch'egli si vegga fra le vostre mani essere stato educato, e che sia degno di voi. Minerva, tu avrai pensiero di fornirgli l'intelletto, e tu, Venere, sii la padrona della sua volontà e del suo cuore. Andate.

Non si tosto ebbe Giove terminato il suo comandamento, che l'una e l'altra Dea si pose a cammino per ubbidire all'adunatore de'nembi; e mentre ch'esse ne venivano così di pari, come fa chi è in viaggio, voltatasi Venere alla sua compagna, prese a dirle in tal forma. Minerva mia, come tu sai, ciascheduna di noi altre Deità ha le faccende sue; ma se alcuna è fra di noi, che sia grandemente occupata, io son una, a cui toccano i maggiori impacci del cielo. Ben sai l'ufficio mio è l'essere soprastante agl'innamorati, de' quali è sì grande il numero e la calca, che appena posso bastare ad ascol

tar i voti di tutti, e talora le maledizioni che mi dànno. Tu all'incontro uon hai la metà delle mie faccende, poichè sendo tu la Dea della sapienza, e stabilita sopra coloro che rivolgono l'animo alle scienze, trovi così poche genti che ti sturbino e molestiño, che la maggior parte del tempo ti stai in un gran. dissimo ozio; e rentre ch' io sono chiamata qua, e fischiata colà, e accennata da un' altra parte, sicchè non posso un momento solo aver pace, tu ti godi senza un disagio a banchettare o a bere il nettare sull' Olimpo.

Per la qual cosa non creder già che io neghi di voler fare la parte mia, o di ubbidire a mio padre in quello che egli ci ha comandato ; ma solamente ti dico, che il maggiore impaccio intendo di lasciarlo a te, per allevare cotesto maschio e fornirgli l'intelletto. Quanto è al cuore di lui stabilitomi da Giove, perchè io gliele governi, odi come ho pensato, Non si tosto sarà egli uscito fuori del materno corpo, che accostatami alla sua bocca con l'alito mio, gli farò entrar nel cuore un appetito e un amore sviscerato a tutto quello ch'è buono e bello, e all'incontro un grande abborrimento a tutto quello ch'è tristo e laido, tanto ch'egli con indicibile affetto all' uno si aecosterà e fuggirà dal

l'altro, come si fugge dalle serpi e dal fuoco. Prendi cura tu del cervello, e vedi bene di mettergli dentro di buone cose e di belle, e con grande ordine e proporzione; chè quando un cervello così fatto avrà sotto di sè un cuore sensitivo, pronto e atto alle impressioni, e di più avvezzo dalla tua industria ad averle sempre buone e belle, egli ti riuscirà un grande uomo nelle buone arti e asseconderà l'intenzione di Giove. In tal forma le due Dee furono di accordo, e uscito al mondo il bambino, Venere gli soffiò in corpo, onde la prima prova ch'esso diede di correre al buono fu, che accostandogli la madre il capezzolo alle labbra, perch' ella avea le tasche del latte alquanto vizze, non vi fu modo che volesse mai aprire la bocca, oude fu forza cambiare in mezzora parecchie balie, fino a tanto che gli capitò innanzi una giovanetta a sua voToutà; di che tutti circostanti cominciarono a ridere e a dire motteggiando: vedi fraschetta, vedi birbante, com' egli è di buon gusto per tempo!

Ma la saggia Minerva, a cui rimase il bambino nelle mani, la cominciò dal fargli fiutar rose e gelsomini, dal sentire rosignuoli e calandre, e da tali altre gentilezze, perchè le prime impressioni che ricevea el cervello fossero buone, belle

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