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Ora incomincian le dolenti note
A farmisi sentire; or son venuto
La dove molto pianto mi percuote.
I'venni in luogo d'ogni luce muto

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Che mugghia, come fa mar per tempesta, Se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal, che mai non resta, Mena gli spirti con la sua rapina ; Voltando e percotendo gli molesta. Quando giungon davanti alla ruina, Quivi le strida, il compianto, e'l lamento, Bestemmian quivi la virtù divina. Intesi ch' a così fatto tormento

Sono dannati i peccator carnali, Che la ragion sommettono al talento. E come gli stornei ne portan l'ali, Nel freddo tempo a schiera larga e piena; Cosi quel fiato gli spiriti mali Di quà, di là, di giù, di su gli menaj Nulla speranza gli conforta mai, Non che di posa, ma di minor pena. Quand' egli si avea acquistata l'attenzione di chi l'ascoltava con questa imi tazione di un luogo oscuro che mugge come tempestoso mare, di turbini che aggirano ogni cosa, di uccegli che vanno il verno or su alti, o giù bassi tutti in uno stormo di compianti e di lamenti; ecco ch' egli facea nel tormento comparire una o due anime note a'Traci, di quelle ch'erano di quella colpa state macchiate; le quali o si dolevano di loro stato, o con dottrine mostravano quanto era bello fuggire que' vizj; e

Traci colpiti dal primo spettacolo, e poi tocchi da una certa intiruseca inclinazione, che si ha verso i conoscenti e i compatriotti, ne aveano un certo diletto, che non l'avrebbero saputo esprimere, di ascoltare avidamente, e da questo trassero utilità ancora; perchè col tempo formarono a cagione di tali principj una società di uomini, là dove prima erano bestie; la qual cosa sapete che fu espressa con quella favola, che diceva dietro al canto di Orfeo essere andati gli alberi e le fiere.

Io non vi dirò tuttavia quanto fossero con le sue belle invenzioni ingrate quelle genti al meschino Orfeo; ma vi dirò io bene che dopo la morte di lui, come dietro ad una luce, cominciarono a venir dietro altre luci di poesia, che oltre alla morale insegnarono l' agricoltura, le leggi civili, quelle delle battaglie, ogni cosa che al vivere umano appartiene; e parve ch'egli aprisse il cammino a tutte le buone arti e alle scienze che fiorirono dopo di lui, e fecero belli e puliti i costumi e gl'ingegni. E voi che avete gl' intelletti sani, mirate sotto il velame di questa favola quello ch' io intendo di significare, e decidete s'egli si possa con un tuono cattedratico seutenziare e conchiudere, che un poeta nato nel maggior buio della barbarie,

il quale si creò da sè solo, per sua interna vigoria, l'idea del buono e del bello, perduta nel mondo per mille anni e più, che la senti tanto in suo cuore, che imitò con tanti lineamenti e così regolati la natura di tutte la pas sioni, tutto scolpi, tutto dipinse, s'egli si possa, dico, conchiudere con un tuono cattedratico, che gli mancasse il buon gusto.

Che s' egli (e questo è un corollario che vi do ancora per grazia), che s'egli vi ha alcuno che voglia dire il buon gusto consistere in uno stile sempre alto e in una sonorità continua, io gli rispon do che la sublimità dello stile bene adoperata è buon gusto, e vero buon gusto, ma però un buon gusto solo e in quel genere solo; laddove il sapere ogni stile usare, secondo che la materia il richiegga, contiene in sè tutt'i buon gusti dello stile, cioè il buon gusto universale. Ma egli non è quasi possibile che chi usa lo stile sempre armoniosissimo e altissimo, non vesta talora uno Zanni con veste tragica, o non somigli qualche volta piuttosto ad un tumore ed enfiato che a carne solida e sana. Ho detto.

Annotazioni del Doni

Quando Aristofane ebbe terminato di dire, tutti si mostrarono contenti della sua invenzione, la quale parve che quadrasse bene a' casi di Dante, come a colui che nacque in tempi così coperti dalP'ignoranza e dalla bestialità, ch' era impossibile senza buon gusto di sollevare il capo. Finalmente tutti i poeti mi si raccomandarono ch' io vi mandassi la dissertazione del Gabriello e la Favola del Poeta Comico; ma sopra tutto mi raccomandavano ch'io vi assicurassi, e che voi assicuraste tutti, ch' egli non ha avuto mano in quella censura. Dante ringraziò i poeti, e Virgilio in particolare, il quale non potea darsi pace che sotto il suo nome fosse stato detto (Lett. 3, c. 19), che si estraessero i migliori pezzi di Dante, si raccogliessero in un piccolo volume di tre o quattro canti; ei versi poi che non potessero ad altri legarsi, si mettessero a guisa di sentenze, siccome di Afranio o di Pacuvio Bella pensata, diceva Aristofane ridendo, che si debba cavare un bellissimo occhio fuor dell' occhiaia, perchè abbia più lume in sè che non ne hanno gli orecchi il naso. Non sarebbe buon consiglio il gittare a terra un palagio fatto con tutta la maestria dell' architettura, per mettere in serbo

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una colonna di porfido, o un pezzo di verde antico. Se il tempo non fa quest' officio egli, e giudica che il poema di Dante rimanga intero, perchè non dobbiamo noi lasciarlo saldo ed intatto e leggerlo tutto? Sta bene, diss' io. Volete voi altro al mondo, perchè io vado a scrivere? Per ora si stampi quello che ci è, disse Virgilio. Parleremo poi intorno all' imitazione, al Petrarca, a' Petrarchisti, e a diverse altre cose che contengono quelle censure. Ma non si mescoli Dante colle altre cose, ch' egli dee stare da sè solo, come principe e padre di tutti gli altri.

LETTERA ULTIMA

Signor Zatta, il cielo vi salvi. Vi man. do tutto quello che si è qui detto intorno a Dante con queste poche linee. Leggete; ch' io credo che ogni cosa sia in ordine. Ci manca una breve prefazione. Ingegnatevi. Stampate; e assicuratevi che se altro si dirà negli Elisj intorno a questo proposito, avrete ogni cosa. So che voi amate di ornare i vostri libri con figure; e se volete, ve ne mando l'intenzione, la quale sarà da voi stampata dopo la breve prefazione che vi farete scrivere da qualche autore nel mondo. Addio.

FINE DEL GIUDIZIO DEGLI ANTICHI POETI

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