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Con l'una mano vëemente aggrappi,
Con l'altra il berrettino si scontorca,
Gridi, singhiozzi, ed a vicenda mandi
Fuori or voce di toro, or di zanzara.
Allora udrai far gli uditori tosse
Universale; ognun si spurga e sputa,
E forte applaude col polmone a questa
Eloquenza di timpano e campana.
Qual frutto poi ? pieni i sedili, pieni
I borsellini che insolente canna
Fa suonar negli orecchi agli ascoltanti.
E l'alme? vote vanno al tempio, e fuori
Escon piene di vento e di parole.
O Padri santi, s' io voi leggo, tali
Però non vi ritrovo. Al tuo somiglia
Lor pensiero e lo stil. Saggia morale,
Tratta fuor dalle viscere più interne
Dell' uomo, e vera. Se Basilio sgrida
L'usuraio o l' iroso, io veggo tosto
L'avarizia dipinta, e gli artifizj,

Di cui si serve a trar frutto dell' oro
Che a ragione portar frutto non puote.
Fa dell'ira pittura ? eccoti innanzi
Il furor dell' irato, il labbro gonfio,
Le ginocchia tremanti, e mille effetti
Che mostran la pazzia di chi s' adira.
Ferma le prove sue con la parola
Di Dio, ma non la trae con le tanaglie
A quel che vuole; anzi ad un corpo nato
Sembra il suo dir col favellar divino.
Parla di Dio? nella sua lingua vedi
Il verace Signor che il mondo tutto

Tiene in sua destra come gran di polve
Ecco Dio, dico, è tale; e l'alma ho piena
D'un sacro orror ch'è riverenza e speme;
Questa è sacra eloquenza. Io tal la chieggo,
Filippo, e grido: in te la trovo, e lodo,
Te ancor, lodando della Chiesa i Padri.

III.

A SUA ECCELLENZA

PIETRO ZENO

Gli parla di sè medesimo.

Or chetaccion le scene, e per le strade
Non urtando passeggia il popol cheto,
Nè più zendado, nè cerata tela
Coprono i visi, a te, Zeno, rivolge
La mia Musa sue preci. In alto stato
Nascesti, e tal, che puoi giovare altrui;
Perciò benigno ad ascoltar t'avvezza
Chiedenti lingue o seccatrici penne.
Sai quel ch'io bramo,e non è d'uopo ad alma
Gentile rinnovar domanda antica,
Come uscir di memoria a lei potesse.
Sol ti ricordo, che il miglior terreno
Ch'io m'abbia al mondo,è un orïuol d'arena.
Qual Virgilio, Crescenzi, od Alamanni
Insegnarono mai che si traesse

Da un orïuol da sabbia entrate e beni?
E pure è il ver. Quel che in Vicenza crebbe
Alto al Vecchia palagio, e i fornimenti
Di cui la casa sulla Brenta adorna;
E gli argenti e le gioie, onde arricchisce
La sua casa in Vinegia, e l'abbondanza,
Onde accetta in suo albergo il Cordellina
Fra lumi e giuochi, cavalieri, e dame,

Della polve fruttifera son beni
D'un orïuolo usciti; ma diversi
Sono i cultori. Io coltivar non seppi
La rena mia con si maestra zappa;
E spesso invano misurando quante
Volte dal vetro, ch'è di sopra, scorre
A quel di sotto la fugace arena,
Scrivo,e frutto non traggo. È ver che quando
Cominciai tal cultura, io non credea
Ch'esser dovesse necessaria, e solo
Per diporto dell'alma io la intrapresi,
Qual chi coltiva giardinetto od orto.
Esser così dovea, poich' io pur ebbi
Non ignobile culla, e gli occhi apersi
Con buon augurio di felice vita.
Ma nella prima età, quando soggetto
Appena al pedagogo, avea timore
Del fischiar della sferza e del latino,
Si rivolse fortuna. Aspri litigi,
D'avvocati viluppi e di notaj,
Furon nembo e tempesta alle ricolte
De' paterni poderi. Alcuno accusa
Il mio buon padre, che cavalli e cani
Amò soverchiamente. Ah! non potea,
Prima avvezzo nel ben, frenar poi tosto
I suoi desiri, e non avea si forte
Filosofico petto; ond' io lo scuso,
Eil piango ancora, e il suo sepolcro onoro.
Io di fervido cor, benchè di fuori
Sembri di ghiaccio, i mali miei non vidi
Allora, o non prezzai : parte mi rese
Non curante lo studio, e appena in mente

Avea che l'uom di cibo abbia bisogno,
Quando in mano tenca la penna o un libro.
Crebbero gli anni, e mi condusse il tempo
Gravi pensieri o pensier pazzi; mentre
Non so se gravi o pensier pazzi sieno
Quei ch' oltre il di presente, l' inquieto
Cervel fanno volare a' di futuri.
Per empier la dispensa e la cantina
Veggo pensarvi ognun: dunque si pensi,
Anch'io, mi grido. Oh fortunati i Zeni,
Dico, a cui di Lampòl fertili campi
Riempion mille botti, e più granai
Fan di frumento e gran turchesco gravi!
Che bel confronto! un orïuol da polve!
Oh grassa dote che n'avran tre figlie!
Pur giovarmi tu puoi: segui l'impresa
Che si ben cominciasti, e fa ch'io vôlti
Non senza frutto la mia poca rena.
Felice te, che l'eloquente lingua
Adoprar puoi senza pensier noiosi,
E gli studj seguir! T'applaudiranno
Gli accolti Padri; approverà tuoi detti
Bossol che afferma, le città soggette
Avran dai detti tuoi frutto ed onore.

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