Che la natura non basta a fare il poeta.
Sorgi, all'erta, o Seghezzi; a te discopre Febo amboi gioghi.O gufi,o uccei di notte, Le pendici radete; a voi si alto
Volar non dassi: eccovi tronche l'ale: Egli le spieghi, e su e¦su s'innalzi. In qual nido vesti piume si forti Cotanto augello? Di figura usciamo: Scrivasi aperto. Solitario visse, Non infingardo: piccioletta stanza Che pensier non isvia, poco ed eletto Numero di scrittori, una lucerna Nel buio della notte, un finestrino Chelo illumina il di, penna ed inchiostro, Anima negli studj a lui sono ale. O pöeti godenti, le gentili
Mammelle delle Muse hanno a dispetto Bocca piena di cibo, e che si spicchi Allor dal fiasco. O le pudiche suore Seguite, o il vostro ventre: or l'uno, or l'altro Seguir non dà dottrina. Alle fatiche Amica è Poesia; di là sen fugge
Dove si dorme, e Dio fassi del corpo. Veggo mille quaderni: è chi mi spiega Lunghe canzoni; con vocina molle Altri legge sonetti, e posa il fiato Or sull'unquanco, or sulle man di neve. Ma che vuol dir, che mentre ei legge, il sonno M'aggrava gli occhi, e cade il mento al petto, E se voglio lodar, parlo e sbadiglio? Oh ciechi! quei che voi con sonnacchiosa Mente scriveste, in me sonno produce. Così non dêtta quest' ornato ingegno: Veglia scrivendo, ed io veglio s' ei legge. Se tu, che scrittor sei, fuggi il lavoro, E ti basta imbrattar di righe i fogli, Perchè presumi di tenermi a bada Con la tua negligenza e con gl' imbratti ? Veggo la noia in te, m' annojo teco. Non uscir di tua stanza ; ivi ti leva Di là dove scrivesti, e come chioccia, Schiamazza, croccia, e su e giù rileggi, Passeggiando contento, alle muraglie, Con qual voce più vuoi, l'opra tua fresca. Me lascia in pace: senza le tue carte lo viver posso; se tu vuoi ch' io ascolti, Allettami, ammaestrami, e mi vesti L'amo di dolce e di gradito cibo. Ho natura felice; in poco ď ora Dêtto quanto la mau corre sul foglio. Biasmo la tua natura, chè sì spesso Mi travagli gli orecchi. In prima, taglia Una parte de' versi. Io paziente Sono alla vena tua, quando congiunta
Sarà con l'arte. La feconda vena Troppo produce: l'arte sola è magra. Rompe il coperchio ogni soperchio. Sciogli D'ogni freno il destrier; corre pe' campi A lanci, a salti, e nulla non avanza, Stringi troppo sua bocca ; esso è restio. Tieni nel mezzo. O Anton Seghezzi, dove L'acuta ira mi tragge? Ecco gli orecchi: Empigli de' tuoi versi. Io taccio: or leggi.
De giudizi che si danno intorno a' poeti. Che natura sola non fa il poeta, ma l'arte a quella congiunta.
acer non posso, o Martinelli: quànti Giudici di poeti oggi son fatti
E maestri a bacchetta! Ognun favella Di poemi e canzoni, ed a cui vuole, Di sua man porge la ghirlanda e il pregio. Ma se Apollo chiedesse: in quali scuole Tanto apprendeste? chi vi die' tal lume? L'ozio? la sgualdrinella? il letto molle ? O co' tripudj, i pacchiamenti e il vino, V' entrò la sagra poesia nel corpo? Rider vedresti questa turba, e farsi Beffe di lui; si per natura e ingegno Dotta si stima, e l'opre de' migliori Nota e riprende con sentenze e rutti. Ma se al rozzo villan gridasse un d'essi : Questo duro terren zappa più a fondo, Zucca ceppo balordo asino, zappa; Risponderebbe : o tu che si m'insegni, Qua vieni in prima: or via, mostriam le palme, Veggansi i calli: io con la schiena in arco Sudai molti anni, io questa terra apersi,
Volsi, rivolsi; or tù, come sedendo Con le man lisce, di saper presumi Quel che a me insegna la fatica e l'uso? Tanto di chi non sa, s' egli corregge La voce empie di stizza. Ě noi dovremo Taciti sempre e neghittosi starsi ? Chi pecora si fa, la mangia il lupo. Andiam sotterra almeno. Eccoci entrambi In un'ampia caverna. Or qui gridiamo Che siam coperti; Mida, Mida, Mida Gli orecchi ha di giumento. Ancor di sopra Forse ci nasceran cannucce e gambi Che le nostre parole ridiranno. Udite, o genti. Chi fra se borbotta: Nasce il poeta a poetare istrutto, Non bene intende. Se tu allevi il bracco Nella cucina fra tegami e spiedi, Quando uscirà la timorosa lepre Fuor di tana o di macchia, esso in obblio Posta la prima sua nobil natura, Lascia la lepre, e per appresa usanza Della cucina seguirà il leccume. Molti alla sacra poesia disposti Intelletti son nati, e nasceranno; Ma ciò che giova? La coltura e l'arte Elarator fanno fecondo il campo Di domestiche biade; e chi nol fende In larghe zolle, poi nol trita e spiana, Vedrà nel seno suo grande abbondanza Sol di lappole e ortiche, inutil erba. Ecco, in principio alcun sente nell'alma Foco di poesia: sono poeta,
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