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L'erbe, gli alberie i buoi seco mi tragge!
Odi la tua risposta: umani casi,
Temporali correnti. Or son due lustri,
Che lo stesso m'avvenne, e mi dipingi
Il passato tuo mal con tanta forza,
Che movermi a pietà d'antichi danni
E rifatte rovine oggi procuri.

Quando presente mal dentro mi cuoce,
Non lamentanza di dolente amico,
Ma fiaba ascolti; e se de' figli il peso
Io ti narro, o le febbri, o de' litigi
L'eterna rete, hai somiglianti casi
Da narrar del vicino, e mi conforti
Con aglietti, con chiacchiere, con fumo.
Quando Oreste trascorre per la scena,
Dalle Furie cacciato ed urla e fugge
Dall'orribile immagine materna,
Che diresti, se Pilade pietoso
De' mali suoi, per confortarlo allora
Gli presentasse o passera o civetta
Per passar tempo ed uccellare al bosco ?
Tu rideresti: ed io rido, chè sento
Quanto ad ognun son le sentenze in bocca
Dell'amicizia. Chi trovò l'amico,
Trovò il tesoro; e se in bilancia metti
L'oro o l'argento, più l'amico pesa.
Ben è ver; ma nol trovi. Odo parole
Gravi, ma il cuor è vôto. Commedianti
Diciam la parte, e monimenti ed arche
Mostriam, belli epitaffii, e nulla è dentro.

IX.

Se

AL SIGNORE

PIETRO FABRI

Parla del villeggiare.

e

e nobil donna che d'antica stirpe Ha preminenza, e buona e ricca dote, Lautamente villeggia, onor ne acquista, Splendida è detta: se lo stesso fanno La Giannetta, la Cecca o la Mattea, Spose a' banchieri o a' bottegai, son pazze. Non è tutto per tutti: uom destro è lieve Sia di danza mäestro; il zoppo, sarto, Industria da sedili: ogni uom che vive, Se medesmo misuri e si conosca. Ma dir che giova? a concorrenza vanno Degli uccelli del ciel minute mosche. Somigliar vuol la sciocca rana al bue: Si gonfia,e scoppia. O gentil Fabri,io scrivo Di ciò fra' salci sulle ricche sponde Della Brenta felice; e mentre ognuno Corre ad uscio o a finestra a veder carri, Cavalli e barche, qui celato io dêtto, Notomista di teste: or mano a' ferri. Dalle faccende e da' lavori cessa

Qui la gente e trionfa. Oh miglior aria, Quanti ne ingrassi e ne dimagri! A molti Più pro farebbe un diroccato albergo Delle antiche casipole in Mazzorbo

Fra le murene, i cefali e le triglie.
Se punto di cervello avete ancora,
Mezzane genti, io vi ricordo, è bello
Commendare alle mogli il bosco e l'ombra
Ed il canto de' grilli. Ivi migliore
È il villeggiar, dove s' appiatta il loco,
E dove scinta la villana e scalza,
Mostri chioccia, pulcini, anitra e poreo.
Quivi nell'alma delle mogli dorme
L'acuta invidia; ove sien sole, poco
Bramar le vedi; confrontate, molto.
Da natura ciò nasce; appena tieni
Col fren la debil rozza, che sdegnosa
L'animoso corsier andarsi avanti
Vede, ne sbuffa, e trottar vuole anch'essa
Spallata e bolsa; e tu che la cavalchi,
Ti rompi intanto il codrïone e il dosso.
Viene il giugno o il settembre. Olà, che pensi?
Dice la sposa ognun la città lascia;
Tempo è da villa. Bene sta, risponde
Il compagno: or n'andiamo. A che si dorme,
Essa, dunque? ripiglia; andrem fra tante
Splendide genti, quai Zingani ed Ussi,
Disutil razza e pretto bulicame?
Noi pur siam vivi, e di grandezza e d'agi
Siamo intendenti: e questi corpi sono
Fatti come altri; nè virtù celate
A noi coltura e pulitezza sieno.
La sibilla ha parlato. Ecco si vede
Sulle scale una fiera capoletti
Intagliati e dipinti, di cornici
Fabbriche illustri; sedie, ove poltrisca

Morbido il corpo; e alfin pieno è l'albergo
Di merci nuove e fornimenti e fregi.
Omai t'imbarca, o capitano accorto :
Ecco il provvedimento e l' abbondanza.
Ah, se il suocero adesso fuor mettesse
Di qualche arca comune il capo industre,
Ammassando, sepolto: ob! che? direbbe.
Dove ne va tal barca? alla campagna
Si ripiena e si ricca? Il bastoncello,
Un valigiotto era il mio arredo, e trenta
Soldi, nolo al nocchiero, o men talvolta,
E incogniti compagni, allegra ciurma.
Se la moglie era meco, io dal piloto
Comperava un cantuccio, ove la culla
Stava e il pitale, ed uova sode e pane,
Parca prebenda nell' umil canestro.
Donde uscì tanta boria ? e quale ha grado
La mia famiglia, che la Brenta solchi
Con tal trionfo, e sì vôti lo scrigno?
Ma parli a'morti. Va scorrendo intanto
Il burchiello per l'acque, e il luogo corso
La sposa annoia. L'ultima fiata

Questa fia ch'io m'imbarchi: in poste, in poste
Un'altra volta. O pigro timoniere,
Perchè si taci? e perchè i due cavalli,
Che pur due sono, quel villan non batte?
Avanti, grida il timoniere: Avanti,
Ella con sottil voce anco risponde,
Se vuoi la mancia; e se non vuoi, valento:
Ostinata plebaglia ! Or alle carte

Mano,ch'io più non posso. Ah! v'ha chi guardi
Qui l'oriuolo? e chi più saggio il guarda,

Perchè melissa o polvere non chiegga,
Con le parole fa più breve il tempo.
La bëata regina alfine è giunta

Fra gli aranci e i limoni: odi bertuccia
Ch'anime umane imita. O tu, castaldo,
Dove se' pigro? a che ne' tempi lieti
Non aprir le finestre? Ecco di muffa
Le pareti grommate. A che nel verno
Col tepor del carbone non riscaldi
L'aria agli agrumi? Giura il servo: apersi,
Riscaldai, non c'è muffa : ecco le piante
Verdi e carche di fratte. Indocil capo,
Tutto è muflato; io non son cieca; ed ogni
Pianta gialleggia, e, se s' ostina, odore
Di muffa sente in ogni luogo, e duolsi
In ogni luogo delle smorte piante.
A' suoi mille capricci, uomo infelice,
Il salario ti vende. Essa cinguetta
Quel che udi altrove, e sè gentile e grande
Stimar non può, se non quistiona teco
Per traverso e per dritto. Ortaci, e mira
Per tuo conforto; col marito stesso
Per nonnulla garrisce: oh poco cauto
Nelle accoglienze! la brigata venne,
E la cera era al verde. Ah! tardo giuuse
E freddo il cioccolatte. Occhio infiugardo,
Nulla vedi o non curi: e se balcone
O benigna fessura di parete

Mi lasciasse veder quel che si cela,
Per tal misfatto io vedrei forse il goffo
Di sua pace pregarla, e che conceda
Al desio marital giocondo scherzo.

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