L'erbe, gli alberie i buoi seco mi tragge! Odi la tua risposta: umani casi, Temporali correnti. Or son due lustri, Che lo stesso m'avvenne, e mi dipingi Il passato tuo mal con tanta forza, Che movermi a pietà d'antichi danni E rifatte rovine oggi procuri.
Quando presente mal dentro mi cuoce, Non lamentanza di dolente amico, Ma fiaba ascolti; e se de' figli il peso Io ti narro, o le febbri, o de' litigi L'eterna rete, hai somiglianti casi Da narrar del vicino, e mi conforti Con aglietti, con chiacchiere, con fumo. Quando Oreste trascorre per la scena, Dalle Furie cacciato ed urla e fugge Dall'orribile immagine materna, Che diresti, se Pilade pietoso De' mali suoi, per confortarlo allora Gli presentasse o passera o civetta Per passar tempo ed uccellare al bosco ? Tu rideresti: ed io rido, chè sento Quanto ad ognun son le sentenze in bocca Dell'amicizia. Chi trovò l'amico, Trovò il tesoro; e se in bilancia metti L'oro o l'argento, più l'amico pesa. Ben è ver; ma nol trovi. Odo parole Gravi, ma il cuor è vôto. Commedianti Diciam la parte, e monimenti ed arche Mostriam, belli epitaffii, e nulla è dentro.
e nobil donna che d'antica stirpe Ha preminenza, e buona e ricca dote, Lautamente villeggia, onor ne acquista, Splendida è detta: se lo stesso fanno La Giannetta, la Cecca o la Mattea, Spose a' banchieri o a' bottegai, son pazze. Non è tutto per tutti: uom destro è lieve Sia di danza mäestro; il zoppo, sarto, Industria da sedili: ogni uom che vive, Se medesmo misuri e si conosca. Ma dir che giova? a concorrenza vanno Degli uccelli del ciel minute mosche. Somigliar vuol la sciocca rana al bue: Si gonfia,e scoppia. O gentil Fabri,io scrivo Di ciò fra' salci sulle ricche sponde Della Brenta felice; e mentre ognuno Corre ad uscio o a finestra a veder carri, Cavalli e barche, qui celato io dêtto, Notomista di teste: or mano a' ferri. Dalle faccende e da' lavori cessa
Qui la gente e trionfa. Oh miglior aria, Quanti ne ingrassi e ne dimagri! A molti Più pro farebbe un diroccato albergo Delle antiche casipole in Mazzorbo
Fra le murene, i cefali e le triglie. Se punto di cervello avete ancora, Mezzane genti, io vi ricordo, è bello Commendare alle mogli il bosco e l'ombra Ed il canto de' grilli. Ivi migliore È il villeggiar, dove s' appiatta il loco, E dove scinta la villana e scalza, Mostri chioccia, pulcini, anitra e poreo. Quivi nell'alma delle mogli dorme L'acuta invidia; ove sien sole, poco Bramar le vedi; confrontate, molto. Da natura ciò nasce; appena tieni Col fren la debil rozza, che sdegnosa L'animoso corsier andarsi avanti Vede, ne sbuffa, e trottar vuole anch'essa Spallata e bolsa; e tu che la cavalchi, Ti rompi intanto il codrïone e il dosso. Viene il giugno o il settembre. Olà, che pensi? Dice la sposa ognun la città lascia; Tempo è da villa. Bene sta, risponde Il compagno: or n'andiamo. A che si dorme, Essa, dunque? ripiglia; andrem fra tante Splendide genti, quai Zingani ed Ussi, Disutil razza e pretto bulicame? Noi pur siam vivi, e di grandezza e d'agi Siamo intendenti: e questi corpi sono Fatti come altri; nè virtù celate A noi coltura e pulitezza sieno. La sibilla ha parlato. Ecco si vede Sulle scale una fiera capoletti Intagliati e dipinti, di cornici Fabbriche illustri; sedie, ove poltrisca
Morbido il corpo; e alfin pieno è l'albergo Di merci nuove e fornimenti e fregi. Omai t'imbarca, o capitano accorto : Ecco il provvedimento e l' abbondanza. Ah, se il suocero adesso fuor mettesse Di qualche arca comune il capo industre, Ammassando, sepolto: ob! che? direbbe. Dove ne va tal barca? alla campagna Si ripiena e si ricca? Il bastoncello, Un valigiotto era il mio arredo, e trenta Soldi, nolo al nocchiero, o men talvolta, E incogniti compagni, allegra ciurma. Se la moglie era meco, io dal piloto Comperava un cantuccio, ove la culla Stava e il pitale, ed uova sode e pane, Parca prebenda nell' umil canestro. Donde uscì tanta boria ? e quale ha grado La mia famiglia, che la Brenta solchi Con tal trionfo, e sì vôti lo scrigno? Ma parli a'morti. Va scorrendo intanto Il burchiello per l'acque, e il luogo corso La sposa annoia. L'ultima fiata
Questa fia ch'io m'imbarchi: in poste, in poste Un'altra volta. O pigro timoniere, Perchè si taci? e perchè i due cavalli, Che pur due sono, quel villan non batte? Avanti, grida il timoniere: Avanti, Ella con sottil voce anco risponde, Se vuoi la mancia; e se non vuoi, valento: Ostinata plebaglia ! Or alle carte
Mano,ch'io più non posso. Ah! v'ha chi guardi Qui l'oriuolo? e chi più saggio il guarda,
Perchè melissa o polvere non chiegga, Con le parole fa più breve il tempo. La bëata regina alfine è giunta
Fra gli aranci e i limoni: odi bertuccia Ch'anime umane imita. O tu, castaldo, Dove se' pigro? a che ne' tempi lieti Non aprir le finestre? Ecco di muffa Le pareti grommate. A che nel verno Col tepor del carbone non riscaldi L'aria agli agrumi? Giura il servo: apersi, Riscaldai, non c'è muffa : ecco le piante Verdi e carche di fratte. Indocil capo, Tutto è muflato; io non son cieca; ed ogni Pianta gialleggia, e, se s' ostina, odore Di muffa sente in ogni luogo, e duolsi In ogni luogo delle smorte piante. A' suoi mille capricci, uomo infelice, Il salario ti vende. Essa cinguetta Quel che udi altrove, e sè gentile e grande Stimar non può, se non quistiona teco Per traverso e per dritto. Ortaci, e mira Per tuo conforto; col marito stesso Per nonnulla garrisce: oh poco cauto Nelle accoglienze! la brigata venne, E la cera era al verde. Ah! tardo giuuse E freddo il cioccolatte. Occhio infiugardo, Nulla vedi o non curi: e se balcone O benigna fessura di parete
Mi lasciasse veder quel che si cela, Per tal misfatto io vedrei forse il goffo Di sua pace pregarla, e che conceda Al desio marital giocondo scherzo.
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