Contro il gusto d'oggidì in poesia.
Perchè più tacerò? dicea Macrino, Spolpato e giallo pe' sofferti stenti Fra libri, calamai, fogli e lucerne : Ho lingua,hopenna,ed han misura e suono Anche i miei versi. Oh! son di bile vôto, Uomo di spugna e d'annacquato sangue ? A te l'attacco, di Latona figlio, Mendace Apollo: tu sai pur che un tempo, Alle pendici di tua sagra rupe, Qual di tuo buon seguace e di poëta È l'uffizio, ti chiesi. Il cielo, il mare Mi mostrasti e la terra, e degli abissi Fin le nude ombre ed i più cupi fondi, E dall'alto gridasti: pennelleggia, Imitatore. Agl'infiniti aspetti
Posto in mezzo, temei, come la prima Volta uscita del nido rondinetta L'ampio orror dell'Olimpo intorno teme. Ma chi creder potea che farmi inganno Dovesse Apollo? Ricercai boscaglie, Pensoso imitator, segrete stanze, Incoronate di verdi erbe fonti; Me medesmo obliai. Colla man volsi La notte e il di sceltissimi quaderni Di gran mäestri, e di defunti corpi Venerai chiari nomi e vivi ingegni. Qual d'edifizio diroccato sbuca
Fuor di sfasciumi e calcinacci il gufo, Aline uscii: poche parole, e agli usi Male acconce del mondo in sulla lingua Mi suonarono in prima, Omero e Dante, Dalla chiusa de' denti uscirmi spesso Lasciai conlaude. Oh, di qual tomba antica Fuggi questo di morte i fracidumi Tisico lodatore? udii d' intorno Zufolarmi, ed il suon di larghi intesi Sghignazzamenti, e vidi atti di beffe. N' andai balordo; e di saper qual fosse Bramai di nuovo la poetic' arte, Di cui mal chiesto avea forse ad Apollo. Seppilo alfine. Poesia novella
È una canna di bronzo atta e gagliarda, Confitta in un polmon pieno di vento, Che mantacando, articoli parole E rutti versi. Se aver don potesse Di favella un mulino, una gualchiera, Chi vincerebbe in pöesia le ruote Volte dall'acqua che per doccia corre?
Tanto solo il romor s'ama e il rimbombo! Su la chiavica dunque; un lago sgorghi Rimbalzando, spumando, rintuonando Di poesia. Del Venusin si rida, Di palizzate e di ritegni artista, Che a si ricco diluvio un dì s'
oppose. Ogni uom sia tutto. Il sofocleo coturno Calzi e il socco di Plauto : or la sampog na Di Teocrito suoni, or alla tromba Gonfi le guance, o dalle mura spicchi 1. Pindaro la cetra, o il molle suono
D'Anacreonte fra le tazze imiti; Anzi pur meschi la canora bocca Quel che la magra Antichità distinse. Bello è che a'casi di Medea si rida, E orror mova lo Zanni. È novitate Quel che ancor non s' intese. Alto, poeti : Questa libera età non vuol pastoie: Tutto concede. Oggi cucir si puote Lo scarlato al velluto, augelli e serpi, Polli e volpi accoppiar, pecore e lupi. Bastan festoni d'annodargli: lega Per la coda o pe' piedi; io non mi curo. D'entusiasmo sempre ardente fiamma Chicdeasi un tempo; e senza posa un'alma Star sull' ale vedeasi, e rivoltarsi
Or quinci, or quindi misurata e destra. Era contro a natura. Ah, non può sempre L'arco teso tenersi, e talor fiacca.
Or basta, ch' empia all'uditor gli orecchi Sul cominciar sonoritade e pompa; Poi t'allenta, se vuoi, põeta, e dormi. Tal nella prima ammattonata chiostra Movesi il cocchio, e con picchiar di ruote E ferrate ugne, qual di tuon, fa scoppio; Esce poscia sul fango o sull' arena, E fa viaggio taciturno e cheto. Fu già lungo fastidio e dura legge Studiar costumi: favellava in versi, Quale in selva Amarilli; e sulla scena, Qual nel porto Sigéo, parlava Achille. Or comune linguaggio hanno le piazze, La corte, i boschi, e Nestore e Tersite;
E può la spaventata pastorella
Da notturne ombre, da fragor di nembo, Da folgore di Dio che i marmi rompe, Di sè stessa obbliarsi, ed aver campo Di meditare e proferir sentenze, Filosofica testa, in tal periglio. Trovar può il Re la fidanzata sposa
In preda al sonno all'empio servo in braccio, Egli cheto parlar, faceto il servo. Faceto e di che temi? hai forse il sale A cercar dalle arguzie, ove nudrisce Gioconda urbanità spirti gentili?
No: la Mattea che con la cioppa in capo, Rivendugliola va di casa in casa,
N'è grau maestră, e chi sbevazza, e a coro Fa tra boccali gargagliate e tresche. Quivi è la scuola, e la maniera è quivi De' frizzanti parlari, ambigui detti, Onde tanto si gode e si conforta Venere genitrice, ove s' accenna Sol la domestichezza delle cosce. Si cinguettava, e favellar più oltre Volea Macrin; ma gli tirò l'orecchio Crucciato il lunge-säettante Apollo. Che fai? gli disse; e perchè più bestemmi? Vedi il mio coro. Alzò Macrino gli occhi, E vide le divine alme Sorelle
Preste a fuggirsi, e ad apprestar Parnaso In gelate nevose alpi tedesche, E a vestir d'armonia rigida lingua. Coscienza lo morse: il mento al petto Couficcò, tacque, e confessò che il vero La prima volta gli avea detto Apollo.
Contro alla mollezza del vivere odierno.
Quando leggiam che l'inclite ventraie
Degli Atridi e del figlio di Pelèo Ingoiavan di buoi terghi arrostiti : Oh antica rozzezza! esclamiam tosto Saporiti bocchini e stomacuzzi
Di molli cenci e di non nata carta. Ma perchè ammiriam poi,che il seno opponga Dello Scamandro burrascoso a'flutti L'instancabile Achille, e portin aste Si smisurate i capitani greci?
Non consumava ancor muscoli e nervi Uso di morbidezze : erano in pregio, Non membroline di zerbini inerti, Ma petto immenso, muscoloso e saldo Pesce (1) di braccio, e formidabil lombo. A' mariti s'offerian le nozze, gran Non di locuste ognor cresciute a stento In guaine d'imbusti: era bel corpo L'intiero corpo, ed Imeneo guidava Ai forti sposi, non balene o stringhe, Ma sostanze di vita, e i bene scossi Congiungimenti avean prole robusta. Nasceano Achilli; ed i trastulli primi Delle mani sfasciate eran le folte
(1) Pesce: così chiamasi uno de' muscoli braccio.
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