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Dello smaltir. D'erbe tritate o frutte,
Fatto bocchin d'isterica donzella,
Pascomi a pena, é il peso ancor m'aggrava.
Non pensata vecchiezza, ecco, m'hai côlto.
Ah, fui ben pazzo, chè negli anni primi
Non previdi gli estremi! Io pur vedea
Mura imbiancate, e prima lisce e forti,
D'ellera intonacarsi, e a poco a poco
In calcinacci sgretolarsi, e sozzo
Farsi tugurio d'infiniti insetti;
E quei che un di magnanimi destrieri
Vedea trar dietro a sè cocchi dorati,
E sbuffar fuoco dalle nari, e intorno
Con briosa andatura innalzar globi
Di polve, al suono di cornetti e trombe,
Non vid' io zoppi cavallacci e bolsi
Della Brenta sugli argini le alzaie
Tirar poi lenti, dalle grida a forza
Cacciati de' solleciti nocchieri,

E dalla furia d'un bastone a' fianchi?
Or muro fuor di squadra e mal condotta
Rozza mi trovo; colle schiene in arco
Vado e baleno, e borbottar mi sento
Dietro alle spalle or guattero, or fantesca
Con labbia enfiate: oh venerandi padri
Di gotte ed ernie, quai da' vostri alberghi
Anticristi o folletti uscir vi fanno
A mozzar gli altrui passi o a fare inciampo
Alle umane faccende? così detto,
M'urtano impazienti e passan oltre.
Io traballo ed esclamo: ohi! divo Apollo,
Io son pur tuo vassallo: io son colui

GOZZI

14

Che coll ale di rondine veloce

Salsi al Parnaso tuo per coglier inni:
Miserere di me! Febo sorride,

Porgi

E mi dice all'orecchio: il Nume io sono
De' poëtici ingegni; ma Natura
È Dea delle calcagna e delle cosce.
Pur se consigli vuoi, porgi l'udito
Al Padre d'Esculapio, al primo ceppo
Di Macäone e Podalirio. Andate
Ad un termine, o genti, e la fangosa
Minutaglia sotterra entra co' regi.
Appagati con tutti; non far conto
Più d'una grinza, anzi squarciata pelle,
Trista vagina del tuo spirto, ancora
Vinto non tutto dall' andar degli anni:
Quanto puoi, lo conforta. I luoghi cerca
Solitarj ed aperti, ove dell' erbe
11 balsamo e de' fiori ne' polmoni
T'entri coll'aria: fuggi il peso e il ghiaccio
De' gravi filosofici pensieri.

Lunge i Boezii e gli Epiteti: leggi
Talor le consonanze de' poëti
Imitatori di natura: lascia

Agli esorcisti le fumanti teste
Dei fantastici vati: è più lo stento
Del penetrare in quell' orrendo buio
Di pensier lambiccati e äeree frasi,
Che il sollievo d' udirgli: essi hanno preso
Pel mio Pindo le nubi, ed il fragore
De' nembi per grandezza di parole.
Ridi di lor frastuono; e se mai fanno,
Come l'argento vivo, insieme palla,

Per commendar di fantasia le furie,
Di' fra tuo cor: questa moderna scuola
È la rabbia de' cani; un due ne morse,
Due quattro, questi sei: pieno è ogni luogo
D'ira, di spuma, di velen, di bava.
Ad Omero, a Virgilio, a Dante, a lui
Che tanto amò l'Avignonese donna,
Spesso s'oppose tal maligna peste ;
Mai non gli estinse. A poco a poco al mondo
Dier di nuovo salute. Si vedranno
Tai meraviglie ancora. Io son profeta.

XVIII.

SUA ECCELLENZA

LA PROCURATESSA

CATERINA DOLFIN TRON

Sullo stesso soggetto.

Donna, a' miei filosofici pensieri
Apri il tuo core ognor benigno; ascolta
Di Guasparri invecchiato i passatempi.
Or che le genti mascherate, in calca
Empion Vinegia di schiamazzi e zolfe,
Con pochi in cerchio io qui m'arresto, dove
Ubbidiente d'una sferza al fischio
Rizzasi un cane. Esso in contegnior danza
Di ritrosa donzella; or con gagliardi
Stinchi in alto si lancia, e in varie fogge,
Imitatore delle umane teste,

Scambia i trastulli del mäestro a' cenni.
Baite la gente palma a palma, e applaude
Al suo gran senno con sonora gioia.
Io gli dico in mio cor: su, salta e godi,
Irsuto ballerin, finchè dagli anni
Sconfitto il corpo, appena avrai bastanti
Lacche per trarti zoppiconi. Addio
Allor, turbe gioconde: attento fiuta
Le spazzature degli alberghi agli usci.
Se un arido ossicin ti viene a'denti,

O qualche orluzzo di muffata crosta,
Rodilo, e la tua povera difendi
Vita così; ma dalle insidie occulte
Fuggi o dall' ire di scagliati sassi.

A cui parli? dirai, Donna, fra mille
La più amica del vero; e chi t'elesse
Predicator dell' avvenire a' cani?
L'antico Esopo. Ei ne' suoi fogli intese,
Favellando di rostri, artigli e grugni,
Avvisar la stordita umana razza.
Chi l'arti da diletto al mondo impara,
Folle è se spera allo sfiorir degli anni
Di man battenti intorno a sè trionfo.
Lo sa colui che in spazioso campo
Solea col polso di bracciale armato,
E volando co' piè, cacciar la palla
Grossa per l'aria impetuoso. Oh quanti
Occhi vedea levati! ob quante bocche
Udia gridar a' suoi gran colpi: Viva!
Or che coll' ernia per le vie cammina,
Più non è noto, e tacito e solingo
Brama i suoi primi poderosi nervi.
Ecco l'arguto inimitabil Sacchi,
Già d'udienze universale amore,
Odesi zufolar orrenda voce

Eagli orecchi intuonar: oimè! tu invecchi; Più non se' quegli, a cui pronta la lingua Era al critico sale, e non ti rende Dispostezza di corpo agli occhi caro: Già infredda il tuo teatro, e la tua vista Di tedio e di sbadigli empie le logge. E che sperate voi, voi rigogliosi

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