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vi bisognasse; perchè io ho troppa fretta, e sono sempre stato avvezzo a scrivere in furia; nè mai ho avuto pazienza aʼmiei giorni; e tanto meno ne ho di qua, dove sono divenuto più mobile e più leggieri di quello ch'io soleva essere. Pregovi bene, se voi conoscete qualche dottore in medicina non molto pratico, informatevi per poterni mandare col mezzo di qualche persona che presto venga di qua il li bro delle dette Lettere Virgiliane, se sono uscite, perchè io possa venire a ragio namento ben fondato e con una intera coguizione della cosa. State sano, e stampate allegramente. Addio.

LETTERA SECONDA

Dalla buona memoria di N. N. ho ricevuto il libro contenente le consapute Lettere così fedelmente suggellato con ceralacca e con quelle cordelline, come appunto lo ebbe da voi. Lo sbrigai subitamente dall' invoglia, e lo lessi con quell'avidità che una donna grossa suol divorare cosa da lei fantasticamente desiderata. In verità quel sig. Abate Frugoni, quel sig. Conte Algarotti, e quel Padre Saverio Bettinelli sono tre intelJetti mossi dalle Muse, e questo secolo risplenderà felicemente fra gli altri per tre così egregi e solenni poeti. Sono ri

pieni di entusiasmo poetico, di vivaci, leggiadri e naturali pensieri, vestiti con entusiasmo, vivacità, leggiadria, natural mente, tanto che ha fatto benissimo chí que' componimenti insieme congiunse, che sono veramente in vigore poetico quegli autori tre fratelli carnali. Rallegratevi per parte mia col sig. Pietro Bassaglia che gli ha pubblicati, più che per qualunque altro libro ch'egli abbia fino a qui dato alla luce, non lasciandovi fuori la traduzione dell'Accademia delle scienze.

Ma non essendo questa la materia di che vi debbo parlare al presente, vi dico che ho lette in esso libro con molta at tenzione quelle Lettere, che sotto il nome di Publio Virgilio Marone a' Legisla tori della nuova Arcadia vengono indirizzate. Dico sotto il nome, perchè io da varie conghietture da me fatte credo di potervi giurare con la miglior coscienza del mondo, che Virgilio non sognasse, non che altro, di scriverle mai. Oh! come mai potremmo attaccarle a Virgilio? Io credo pure che voi sappiate che questa buona e dottissima, ombra fu educata sempre nel mondo tra filosofi pe. netrantissimi, fra que'chiari e nobili poeti che fiorirono a' giorni suoi, ch'egli visse nella sorte più grande che mai fosse al mondo, e che amicissimo fu sopra tutto

di Orazio, acuto censore di libri quanto ognun sa, che viveano a' tempi suoi Spurio Mezio Tarpa, finissimo critico, eletto ad esaminare que' componimenti che aveano concorrenza nel premio, e il padre di que' due Pisoni a' quali Orazio scrisse la sua poetica.

Siquid tamen olim Scripseris in Maecï descendat judicis aures, Et patris, et nostras.

Horat. de Arte poet. v. 386.

Egli è pure impossibile che uomo di tale ingegno, allevato fra ingegni sì grandi, non sentisse a dire almeno da Tucca e da Varo, che qual persona vuol censurare un libro, massime se va per le mani degli uomini da quattro secoli e più indietro con riputazione ed onore, debbe con diligenza leggerlo dall' un capo all'altro. Che se mai tale pazienza di leggere e di considerare fu necessaria in libro alcuno, necessarissima si rende nei libri poetici che sono una catena di avvertenze, di sottigliezze e di astuzie che reggono la fantasia e il delirio poetico, per fare di mille vaneggiamenti e immaginazioni un corpo intero e semplice legandole insieme. Per modo che chi lasciasse fuori uno di que'legami, scompiglierebbe l'opera tutta, e non potrebbe darne altro giudicio che mozzo e scom pigliato. Si, fratel mio, i componimenti

poetici, parlo de' buoni, sono così in. teri e di un pezzo, che il considerarne alcuna parte non basta per dar giudizio del tutto, ma a tutte dee riflettere, e confrontarle l'una all'altra per vedere se ne nasce quella semplice unità che, fornita dagli ardimenti poetici, fa la perfezione di un' opera. Virgilio, dunque, scrittore egli ancora, egli ancora poeta, che dovea essersi raccomandato più volte a Tucca e a Varo che l'ascoltassero attentamente quando leggeva loro l'Eneide, che avrà mille volte detto loro per chè avea scritto più così che così, e che sapeva molto bene quanto sia il pregio dell' interezza e unità di uu' opera, non poteva risolutamente nel dar giudizio del la Commedia di Daute scrivere agli Arcadi queste parole: Ma giunto poi, saltando assai carte senza leggerle, a Francesca di Arimino, al conte Ugoli no, e a qualche altro passo sì fatto, oh che peccato! gridai, che si bei pezzi in mezzo a tanta oscurità e stravaganza siano condannati, Chi scrisse ebbe ragione di dire che in esso poema vi sia molta oscurità, perchè veramente i luoghi più oscuri ch' io possa immaginare in un libro sono quelli che non si leggono; e le maggiori stravaganze le trova in un poema chi balzando de un pezzo all'altro senza leggere gl' intervalli, che

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formano gli appicchi fra gli uni e gli altri e il ripieno di tutta la tela, non riflette al tutto. Egli mi darebbe l'animo in tal forma, leggendo il primo verso della poetica di Orazio e l'ultimo, lasciando fuori tutto il restante, di provarvi che non si dà cosa più stravagante al mondo di un poema che incomincia da una testa umana e termina in una san

guisuga. Vedete quanto sia facile il dar torto ad un poema senza leggere il tutto. Io ne lascio giudici voi, se la mia conghiettura sia fondata bene, e s'egli sí possa mai credere che Virgilio dopo di avere leggendo, anzi non leggendo, mozzato o sparpagliato un poema, si fosse mai rivoltato ad Omero per dirgli: guai a noi, se questo poema fosse più rego lato! Come mai può dare giudizio del filo e della regola di un poema chi lo ha letto a lanci e a salti? perchè posto ch' egli potesse dire, questo squarcio piace o no, non potrebbe però egli in buona coscienza affermare universalinente che regolato o non regolato fosse, poichè questo dal tutto e non dalle smozzicature dipende.

Ma molto più della prima conghiettura movemi la seconda a credere che l'autore di quelle Lettere non sia Virgilio. Sdeguasi egli nella seconda Lettera [a c. 7] che Dante lo prendesse per suo compa

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