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fetizzare a Cangrande Ghibellino di professione, e che poi de' Ghibellini Lombardi fu capo fatto, ch' egli sarebbe signore di quella parte d'Italia che da Montefeltro insino a Feltre nella Marca Trivigiana si stende. Per l'una parte mi appoggiava alla profezia dello Scotto; e per l'altra vedeva io bene i maneggi e i trattati e le mire degli Scaligeri, e l'amicizia che teneano co'rubelli dello Stato pontificio, co' quali furono anche talvolta collegati. Onde in que' vocaboli sua nazione sarà tra Feltro e Feltro, non nascita e non Verona sua patria, ma volli significare che la popolazione, la nazione da lui signoreggiata tra Feltre e Montefeltro si stenderebbe. Vedi ora se con tal cognizione intendi meglio que' versi, di cui tu mi chiedi ragione.

Molti son gli animali, a cui s'ammoglia,
E più saranno ancora infin che 'l Veltro
Verrà che la farà morir di deglia.
Questi non ciberà terra, nè peliro;
Ma sapienza, e amore, e virtute,
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.
Di quell'umile Italia fia salute,

Per cui morio la vergine Cammilla, Eurialo, e Turno, e Niso di ferute. E questi tre ultimi versi sono la spiegazione di quanto io intendeva dell' ultimo Feltro, che per Montefeltro nominai, pronosticandogli, come tu vedi, che sarebbe salute della Romagna. Bello fu

che la profezia fu presso che verificata, poichè signore di Trevigi e della Marca Trivigiana divenne, lo che notò Giovanni Villani con queste parole: e fu adempiuta la profezia di Maestro Scotto, che il Cane di Verona sarebbe signore di Padova e di tutta la Marca Trivigiana. Quanto poi al restante, come detto si è, fu capo de' Ghibellini Lombardi, fece lega co' rubelli dello Stato pontificio, distese il suo dominio in Lucca, e in molti luoghi della Toscana; e se il Veltro non giunse dove volea, ne mostrò almeno tanta voglia, ch'io potea ragionevolmente profetizzare in suo

favore.

:

Messere Alighieri mio, risposi io allora, sta bene, e il senso di questi versi è a me chiarissimo; e veggo che i co mentatori, e coloro che vi leggono a salti o dormendo, vi fanno spesso aver torto, quando avete ragione; ma io ho sentito dire a certuni, che avendo voi detto questi non ciberà terra, nè peltro, abbiate dato nel basso. E tale ap punto dev'esser, rispose Dante, perchè volendo io quivi parlare con isvilimento di que' principi, o tirannelli d'Italia, che s'ingoiavano le ricchezze e i lerreni de' sudditi loro, non potea meglio mostrare la bassezza loro, che avvilendo i vocaboli di quelle cose intorno alle

quali erano occupati. Vedi all'incontro che dopo di aver nominato con tanta meschinità il cibo di cui si pascevano, presento altrui con un verso dalle tarde giaciture ingrandito, il nobilissimo alimento di Cangrande, il quale di sapienza, di amore e di virtù si cibaya. Oh Doni, Doni, questa varietà è quella che fa bello lo stile, e l'adattarlo ad ogni proposito, e il vestire ogni cosa con quell'armonia di verso che ad essa conviene; non la continua sonorità, e il ragionare de' topi con quell' altezza (1) con cui si parlerebbe del Vesuvio che caccia fuori i fiumi del fuoco.

Queste sono, Zatta inio dabbene, le cose ch' io andava sotto a quell'olmo fantasticando, e che al presente ho in questa lettera ordinate con un cert' ordine capriccioso e da mio pari; quando sentii dietro alle mie spalle proferire queste parole; Poh! quando fu mai il mio costume di censurare? Vedi capriccio! Io mi volsi a queste parole, e vidi Virgilio, che pianamente avea ricolto il libro da me posato in terra, e parea che come uomo sopra pensiero lo considerasse. Stetti osservandolo un pezzo ch'egli ora si stringeva nelle spalle, ora inarcava le ciglia, ora le labbra; e talvolta con un Poh! con un Oh! lungo lungo mostrava la sua maraviglia,

poi rileggeva, e ad ogni poco rifaceva gli atti medesimi; pure finalmente lo svegliai, come udirete un' altra volta, che vi manderò intero il dialogo che avemmo insieme.

(1) Bellissima è la descrizione di tal furia del Vesuvio fatta dal P. Saverio Bettinelli a c. 78 delle sue Poesie. È gran peccato che i topi e gl' insetti abbiano luogo tra le altre nobili circostauze quivi dipinte. Credo che il Doni alluda a questo passo.

DIALOGO PRIMO

VIRGILIO E IL DONI

IL DONI

Virgilio!

VIRGILIO

Anton Francesco!

IL DONI

Tu ci fai di queste beffe! mandi sulla terra le censure, le fai stampare, e non ci dici nulla?

VIRGILIO

Hai tu letto? Tu hai dunque letto eh?

IL DONI

Sì, e con molta diligenza.

VIRGILIO

Se tu hai letto, non potrai credere ch'io sia stato autore di questi fogli.

IL DONI

Io ci veggo in froute il tuo nome, non ne voglio saper altro.

VIRGILIO

Se io non fossi pacifico, tu mi faresti diventare un aspide. Si può dare fortunaccia somigliante alla mia? Quando era vivo, vi furono di quelli che davano fuori i miei versi per frutti del loro capo, e si facevano onore del mio; e ora che son morto, mi appiccano com

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