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io falutaffi tutti gli fedeli d'Amore: e pregandogli, che giudicaffono la mia vifione, fcriffi loro ciò, che io aveva nel mio fonno veduto: e cominciai allora quefto Sonetto:

A ciafcun alma prefa, e gentil core,

Nel cui cofpetto viene il dir prefente,
In ciò che mi riferivan fuo parvente,
Salute in lor Signore, cioè Amore.
Già eran quafi, ch' atterzate l'ore

Del tempo, ch'ogni stella è nel lucente,
Quando m'apparve amor fubitamente,
Cui effenzia membrar, mi dà orrore.
Allegro mi fembrava Amor, tenendo

Mio core in mano, e nelle braccia avea Madonna, involta in un drappo dormendo. Poi la fvegliava, e d'efto core ardendo Lei paventofa umilmente pafcea, Appreffo gir lo ne vedea piangendo.

Quefto Sonetto fi divide in due parti. Nella prima parte faluto, e domando refponfione. Nella feconda fignifico, a che fi dee rispondere, La feconda parte comincia quivi: Già eran quafi. A quefto Sonetto fu rifpofto da molti, e di diverse sentenzie, tra'

1 A quefto Sonetto fu rif pofto da molti, e di diverse Jentenzie, tra' quali fu rifponditore quelli, cui io chiamo primo degli amici miei: e diffe allora un Sonetto, il quale comincia:

Vedefti al mio parere ogni valore; ec. Coftui, che da Dante fu

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quali fu rifponditore quelli,cui io chiamo primo degli amici miei,e diffe allora un Sonetto,il qual comincia: Vedefti, al mio parere, ogni valore, ec.

E quefto fu quafi il principio dell'amiftà tra me, e lui, quand' egli feppe, che io era quegli, che gli aveva ciò mandato. Il verace giudicio del detto Sonetto non fu veduto allora per alcuno, ma ora è manifefto alli più femplici.

Vedefti al mio parere ogni valore,

E tutto gioco, e quanto bene uom fente,
Se fufti in pruova del signor valente,
Che fignoreggia il mondo dell' onore :
Poi vive in parte, dove noja more,
E tien ragion nella piatofa mente:
Si va foave ne' fonni alla gente,
Che i cor ne porta fanza far dolore.
Di voi lo cor fe ne portò, veggendo

Che voftra donna la morte chiedea:
Nodrilla d'efto cor, di ciò temendo.
Quando t'apparve, che fen gia dogliendo,
Fu dolce fonno, ch'allor fi compiea,
Che'l fuo contrario lo venia vincendo.

Quefto Sonetto fu ftampato
intero dal Sermartelli, nel-
la fua Edizione della Vita
Nuova, con aver mutate
l'antecedenti parole, e fat-
te dire: e diffe quefto Sonet-
to. ne' MSS. fi trova fola-
mente accennato; per la
qual cofa ho ftimato bene di
riportarlo in quefto luogo:
ed intanto dire, che non a-
vendo Dante palefato il no
me di quello amico fuo, da
quefto Sonetto ne può cia-
fcuno venire in chiaro, per

Da

ritrovarfi inferito tralle rime del prefato Guido in alcuni Codici MSS. che Rime di Diverfi contengono. Edoltre a ciò ve ne fono altre teftimonianze, che per brevità fi tralafciano. Alcun'altra particolarità intorno a quefto Guido fi porrà nell' Annotazione alla Pag. 51.

I quand' egli feppe, che io era quegli, che gli aveva ciò mandato. mandato, cioè comandato. Franz. mandé.

*

Da quefta vifione innanzi cominciò il mio fpiri to naturale ad effere impedito nella fua operazione perocchè l'anima era tutta data nel penfare di que ta gentiliffima: ond'io divenni in picciol temp poi di sì frale, e debole condizione, che a molt amici pefava della mia vifta: e molti, pieni d'invi dia, già fi procacciavano di faper di me, quello che io voleva del tutto celare ad altri. Ed io accor gendomi del malvagio addomandare, che mi face vano per la volontà d'Amore, il quale mi comandava fecondo 'l configlio della ragione, rifpondeva loro, che Amore era quegli, che m'avea così 'governato: diceva d'Amore, perchè io portava nel vifc tante delle fue infegne, che quefto non fi potea ricoprire. E quando mi domandavano, per cui t'ha così disfatto quefto Amore? ed io forridendo gli guardava, e nulla dicea loro.

Un giorno avvenne, che quefta gentiliffima fedeva in parte, ove s'udivano parole della Reina della gloria, ed io era in luogo, dal qual vedea la mia beatitudine: e nel mezzo di lei, e di me, per la retta linea, fedea una gentil donna di molto piacevole afpetto, la quale mi mirava fpeffe volte, maravigliandofi del mio fguardare, che pareva, che fopra lei terminaffe; onde molti s'accorfero del fuo mirare; ed intanto vi fu pofto mente, che partendomi di quefto luogo, mifenti' dire appreffo: vedi, come cotal donna distrugge la perfona di coftui? e nominandola intefi, che diceano di colei, che mezza era ftata nella linea retta, che moveva dalla gentiliffima Beatrice, e terminava negli occhi miei. Allora mi

I Amore era quegli, che m'avea così governato, *go

con

vernate, cioè concio: fatto di me un tal governo.

confortai molto, afficurandomi, che'l mio fegreto non era comunicato il giorno altrui per mia vifta; ed immantanente penfai di far di quefta gentil donna schermo della verità: e tanto ne moftrai in poco di tempo, che'l mio fegreto fu creduto fapere dalle più perfone, che di me ragionavano. Con questa donna mi celai alquanti anni, e mefi, e per più far credente altrui, feci per lei certe cofette per rima, le quali non è mio intendimento di fcriver quì, fe non inquanto faceffe, a trattar di quella gentiliffima Beatrice; e però le lafcerò tutte, fe non che alcuna ne fcriverò, che pare, che fia lode di lei.

Dico, che in quefto tempo, che questa donnà era fchermo di tanto amore, quanto dalla mia parte mi venne una volontà di volere ricordar lo nome di quella gentiliffima, ed accompagnarlo di molti nomi di donne, efpezialmente di quefta gentil donna: e prefi li nomi di feffanta, le più belle donne della Città, ove la mia donna fu pofta dallo altiffimo Sire: e compofi una piftola fotto forma di ferventefe, la quale io non iscriverò, e non n'avrei fatta menzione, fe non per quello, che ponendola, maravigliofamente addivenne, cioè, che in alcuno altro numero non fofferse il nome della mia donna ftare, fe non in ful nono, tra' nomi di queste donne.

La donna, colla quale io aveva tanto tempo celata la mia volontà, convenne, che fi partiffe della fopraddetta Città, e andaffe in paefe lontano. Perchè io quafi sbigottito della bella difefa, che m'era venuta meno, affai me ne sconfortai, più che io medefimo non avrei creduto dinanzi : e penfando, che, fe della fua partita io non parlaffi alquanto dolorofamente, le perfone farebbero accorte piuttosto del

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mio nafcondere; propuofi adunque di fare alcun lamentanza, in un Sonetto, lo quale io fcriverò perciocchè la mia donna fu immediata cagione certe parole, che nel Sonetto fono, ficcome appa re a chi lo 'ntende; ed allora diffi quefto Sonetto:

O voi, che per la via d'Amor passate,

Attendete, e guardate,

S'egli è dolore alcun, quanto 'l mio grave
E priego fol, ch'a udir mi Joffriate;
E poi immaginate,

S'io fon d'ogni dolore oftello, e chiave.
Amor, non già per mia poca bontate,
Ma per fua nobiltate,

Mi pofe in vita si dolce, e foave;
Ch'i mi fentia dir dietro fpeffe fiate:
Dio! per qual dignitate

Cost leggiadro questi lo cor ave?
Ora bo perduta tutta mia baldanza,
Che fi movea d'amorofo teforo;
Ond' io pover dimoro,

In guifa, che di dir mi vien dottanga s Sicchè, volendo far come coloro,

Che per vergogna celan lor mancanza ;
Di fuor moftro allegranza:

E dentro dallo cor mi ftruggo, e ploro.

Quefto Sonetto ha due parti principali; che nella prima intendo di chiamare gli fedeli d'Amore per quelle parole di Jeremia Profeta: Ovos omnes, qui tranfitis per viam, attendite, & videte fi eft dolor ficut dolor meus ; e pregare, che mi fofferino d'udire.

1 Dio al, deh! dallo antico per Deo.

Nel

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