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Tutto.

E non lassa in me dramma

Che non sia foco e fiamma.

La luce

Petrarca, Canz. x. 1.

Son. 14.

Che m'arde e strugge dentro a parte a parte.

Ubbidire.

Tanto m'aggrada il tuo comandamento,
Che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi;
Più non t'è uopo aprimi il tuo talento.

Tanto m'è bel, quanto à te piace:

Tu se' signore, e sai ch'io non mi parto
Dal tuo volere, e sai quel che si tace.

Or va, chè un sol volere è d'ambedue.

Inf. u. 79.

Inf. xix. 37.

Inf. 11. 139.

(Tre maniere ad esprimere l'atto d'una volonterosa e affettuosa ob

bedienza, una sopra l'altra bellissima e gentilissima. Ranalli.)

Del suo voler... Fan sacrificio a te.

D'ubbidir desideroso.

Purg. XI. 18.

Inf. x. 43.

(D' ubbidire desiderosa. Boccaccio, Gior. vii. nov. 8.)
Ogni tuo dir d'amor m'è caro cenno.

Ed io che tutto a' piedi

De' suoi comandamenti era devoto.
In la sua volontade è nostra pace.
Il trapassar del segno. (disobbedienza)
Ubbidisti tosto Alle...

Purg. xx11. 27.

Purg. XXXII. 106.

Par. 111. 85. Par. xxvi. 117.

Inf. 11. 133; Par. xxi. 22.

Ubbriaco.

Con le gambe avvolte,

A guisa di cui vino o sonno piega.

Purg. xv. 122.

Uccidere.

Noi che tignemmo il mondo di sanguigno.

Inf. v. 90.

Che su nel mondo la morte ti porse.
A morte dienno...

Dalle braccia fiere di... ebbe la morte.
Quivi fu' io da quella gente turpa
Disviluppato dal mondo fallace.

Inf. xii. 18. Inf. xviii. 90.

Purg. vs. 13.

Par. xv. 145.

Che fecer di Montagna il mal governo. Inf. xxvii. 47.

( uccisero crudelmente)

Che questo è 'l colpo di che Amor m'ha morto.

Petrarca, Canz. viii. 6.

(Morire, usato attivamente con eleganza in luogo di uccidere.) Poscia gli ancide come antica belva. Purg. xiv. 133. 60; xv. 107; xvi. 12; xx. 90, 115; xxxii. 44. Egli alza ad or ad or la mano, e sfida La debole mia vita esto perverso, Che disteso e riverso

Mi tiene in terra d'ogni guizzo stanco.
E vide in mezzo star con viso smorto
Il giovine dannato ad esser morto.

Canz. IX. 4.

Ariosto, xxv. 8.

Ma pria che l'alma dalla carne sleghi.
Piacciati questa afflitta anima sciorre
Dalla sua scorza ormai putrida e rancia.
E in terra il manda a dar l'ultimo crollo.

IV. 26.

IV. 34.

Ix..80; xiv. 122; xv. 87.

Nè d'accecarlo contentar si volse
Il colpo fier, s' ancor non lo registra
Tra quegli spirti che con suoi compagni
Fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.

Grida Aquilante, e fulminar non resta,
E la spada gli pon dritto alla strozza:
E giurando minaccia che la testa
Ad Orrigille e a lui rimarrà mozza.

Mette su l'arco un de' suoi strali acuti,
E nascoso con quel sì ben lavora,
Che fora ad uno Scotto le cervella,
E senza vita il fa cader di sella.

Volgonsi tutti gli altri a quella banda,
Ond' era uscito il calamo omicida...
Lo strale arriva, e gli passa la gola,

XIII. 36.

XVIII. 81.

(Quivi perdei la vista, e la parola Nel nome di Maria fini, e quivi Caddi. Purg. v. 102 E gli levò la vita e la parola. Ar. IX. 61 - Vocem animamque rapit. Æn. x. 347 Cum verbis guttura Colchis Abstulit. Ov. Met. vii. 7.)

Poi con la spada dalla immonda scorza
Sciogli lo spirto immaculato e bianco,
E le mie luci eternamente ammorza.

Con esso un colpo il capo fesse e il collo,
Ch'elmo non v'era, e non vi fu riparo.
Pervenne Argeo, senza pur dare un crollo,

XXI. 23.

Della misera vita al fine amaro. xxi. 49. V. xxi. 59, 60, 61.

Del capo lo scema. (gli dispicca la testa)
Dardinello il cima.

Gli levò dal busto il capo netto.
Lo... spaccia.

Giunge più innanzi, e ne ritrova molti
Giacere in terra, anzi in vermiglio lago
Nel proprio sangue orribilmente involti,...
E vede dagli busti i capi sciolti,
E braccia e gambe con crudele imago.
Chi. fugge l'un pericolo, rimane
Nell'altro, e paga il fio d'ossa di polpe.

E due e tre volte nell'orribil fronte,
Alzando, più che alzar si possa, il braccio
Il ferro del pugnale a Rodomonte

Tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squallide rive d'Acheronte,

Sciolta dal corpo più freddo che ghiaccio
Bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa,

XXIV. 5.

XVIII. 52.

XXIII. 60.

XXXIII. 61.

XXVII. 21.

XXVII. 27.

Che fu si altiera al mondo e sì orgogliosa.

XLVII. 140.

(Ferrum adverso sub pectore condit Fervidus: ast illi solvuntur fri

gore membra, Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras. Virg. En. XII. 950.)

Sciolto era l'elmo, e disarmato il collo, Si che lo tagliò netto come un giunco. Cadde, e diè nel sabbion l'ultimo crollo Del regnator di Libia il grave trunco. Corse lo spirto all'acque, onde tirollo Caron nel legno suo col graffio adunco.

XLII. 9.

Che su nel mondo la morte ti porse.

A morte dienno ...

Dalle braccia fiere di... ebbe la morte.
Quivi fu' io da quella gente turpa

Disviluppato dal mondo fallace.

Inf. xii. 18. Inf. xviii. 90.

Purg. vi. 13.

Par. xv. 145.

Che fecer di Montagna il mal governo. Inf. xxvii. 47.

{ uccisero crudelmente)

Che questo è 'l colpo di che Amor m'ha morto.

Petrarca, Canz. viii. 6.

(Morire, usato attivamente con eleganza in luogo di uccidere.) Poscia gli ancide come antica belva. Purg. xiv. 133. 60; xv. 107; xvi. 12; xx. 90, 115; xxxII. 44. Egli alza ad or ad or la mano, e sfida La debole mia vita esto perverso, Che disteso e riverso

Mi tiene in terra d'ogni guizzo stanco.
E vide in mezzo star con viso smorto
Il giovine dannato ad esser morto.

Canz. IX. 4.

Ariosto, xxv. 8.

Ma pria che l'alma dalla carne sleghi.
Piacciati questa afflitta anima sciorre
Dalla sua scorza ormai putrida e rancia.
E in terra il manda a dar l'ultimo crollo.

IV. 26.

IV. 34.

Ix. 80; xiv. 122; xv. 87..

Nè d'accecarlo contentar si volse
Il colpo fier, s'ancor non lo registra
Tra quegli spirti che con suoi compagni
Fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.

Grida Aquilante, e fulminar non resta,
E la spada gli pon dritto alla strozza:
E giurando minaccia che la testa
Ad Orrigille e a lui rimarrà mozza.

Mette su l'arco un de' suoi strali acuti,
E nascoso con quel sì ben lavora,
Che fora ad uno Scotto le cervella,
E senza vita il fa cader di sella.

Volgonsi tutti gli altri a quella banda,
Ond' era uscito il calamo omicida...
Lo strale arriva, e gli passa la gola,

XIII. 36.

XVIII. 81.

(Quivi perdei la vista, e la parola Nel nome di Maria fini, e quivi Caddi. Purg. v. 102 E gli levò la vita e la parola. Ar. ix. 61 - Vocem animamque rapit. Æn. x. 347 Cum verbis guttura Colchis Abstulit. Ov. Met. vii. 7.)

Poi con la spada dalla immonda scorza
Sciogli lo spirto immaculato e bianco,
E le mie luci eternamente ammorza.

Con esso un colpo il capo fesse e il collo,
Ch'elmo non v'era, e non vi fu riparo.
Pervenne Argeo, senza pur dare un crollo,

XXI. 23.

Della misera vita al fine amaro. XXI. 49. V. xxi. 59, 60, 61.
Del capo lo scema. (gli dispicca la testa)
Dardinello il cima.

Gli levò dal busto il capo netto.
Lo... spaceia.

Giunge più innanzi, e ne ritrova molti
Giacere in terra, anzi in vermiglio lago
Nel proprio sangue orribilmente involti,...
E vede dagli busti i capi sciolti,
E braccia e gambe con crudele imago.
Chi. fugge l'un pericolo, rimane
Nell'altro, e paga il fio d'ossa di polpe.

E due e tre volte nell'orribil fronte,
Alzando, più che alzar si possa, il braccio
Il ferro del pugnale a Rodomonte
Tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squallide rive d'Acheronte,

Sciolta dal corpo più freddo che ghiaccio
Bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa,

XXIV. 5.

XVIII. 52.

XXIII. 60.

XXXIII. 61.

XXVII. 21.

XXVII. 27.

Che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.

XLVII. 140.

(Ferrum adverso sub pectore condit Fervidus: ast illi solvuntur fri

gore membra, Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras. Virg. En. XII. 950.)

Sciolto era l'elmo, e disarmato il collo, Si che lo tagliò netto come un giunco. Cadde, e diè nel sabbion l'ultimo crollo Del regnator di Libia il grave trunco. Corse lo spirto all'acque, onde tirollo Caron nel legno suo col graffio adunco.

XLII. 3.

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