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DELITTI IN FIRENZE

§. 2. Nel 1299 per molte e manifeste baratterie fu deposto e carcerato messer Monfiorito da Coderta, in quell' anno podestà di Firenze. Messer Niccola Acciajuoli, in quel tempo priore, col consenso di messer Baldo d' Aguglione, trasse segretamente dal libro della camera del comune un foglio, dove esposto era un fatto ingiusto, e nel quale trovavasi implicato. Il Monfiorito depose pur questo fatto nel suo processo: onde tutti e tre, per più solenne inquisizione indi fatta, furono condannati. Dante chiama quel Baldo il villano d' Aguglione; e il riprende qual barattiere, insieme ad un Bonifazio di Signa, detto da taluno chiosatore, Fazio giudice de' Mori Ubaldini.

Nel 1301 il marchese Marcello Malaspini di Mulazzo, figlio del marchese Manfredi, trovandosi in val di Magra coi Neri scacciati di Pistoja, fu assalito dai Bianchi uscendone egli alla testa dei detti Neri, con impetuosa battaglia ruppe i Bianchi in campo Piceno. Il

fiume Magra ivi per corto cammino parte il Genovese dal Toscano. Vanni Fucci predice a Dante questa rotta, la quale fu in gran parte cagione che poco tempo dopo, anche i Bianchi di Firenze fossero cacciati dai Neri. Tragge Marte vapor di val di Magra, — Ch'è di torbidi nuvoli involuto, E con tempesta impetuosa ed agra Sovra campo Picen fia combattuto: - Ond' ei repente spezzerà la nebbia,- Sì ch'ogni Bianco ne sarà feruto. E detto l'ho perchè doler ten debbia (1). Frattanto un Carlino de' Pazzi, Fiorentino, che guardava pe' Bianchi di sua fazione il castello di Piano di Trevigne in Valdarno, per grossa somma di danaro lo cedette ai Neri. I Bianchi ch' erano a Pistoja furono costretti a lasciar quell'impresa, e andare al riacquisto d'esso castello: dopo vent'otto giorni il riebbero, avendo corrotto con danaro lo stesso traditore Carlino de' Pazzi. Dante si fa predire la dannazione di costui tuttora vivente da un Uberto Camicion de'Pazzi, pur esso Fiorentino, il quale con tradimento aveva ucciso uno della medesima sua famiglia. (2). Un Riniero `(1) Inf. C. XXIV. 145. (2) Inf. C. XXXII. 68. ;

della detta nobile famiglia de' Pazzi fu assassino famoso (1).

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Appartenne probabilmente alla nobilissima famiglia di Simone, di Corso e di Forese, quel Buoso Donati, di cui è fatto cenno nell' Inf. C. XXX. 44. Morto essendo Buoso Donati, il figlio di lui Simone che non poteva avere tutti i beni del padre, morto senz' avere testato, pregò il fiorentino Gianni Schicchi, già famoso nel suo contraffare le altrui persone, che rappresentasse la persona del morto di lui genitore, e testasse a pieno suo vantaggio. Gianni, postosi a letto, seppe benissimo contraffare la persona di Buoso, e fece il testamento a tutta soddisfazione del figlio: ma inchiuse in quello il lascito a sè medesimo d'una cavalla bianca, che per la sua bellezza era detta la donna della torma, cioè la signora della mandra. Dante vide due ombre smorte e nude, che quali furie crudeli correvano mordendo quelle che loro si paravano innanzi: una d'esse era appunto Gianni o Vanni Schicchi de'Cavalcanti. Il poeta denuncia pure quai ladroni taluni ch'ebbero grado sublime in patria; e ne dà

(1) Inf. C. XIII. 137.

contrassegni distinti di cinque, che sono Cianfa Donati, Agnello Brunelleschi Buoso degli Abati, Puccio Sciancato, e Francesco Guercio Cavalcante (1). Furono costoro cittadini ragguardevoli di Firenze: e sono puniti, non per furti particolari, ma per avere ne'primi carichi distratte a loro pro le imposte, o per essersi in qualsivoglia modo con discapito della repubblica arricchiti. Già si sa che i Donati, i Brunelleschi, e i Cavalcanti erano delle più distinte famiglie di Firenze.

E fu nomato Sassol Mascheroni. Se Tosco se', ben sai omai chi e' fu — (2). Qui l' Anonimo nota:,, Questi essendo tutore d' un suo nipote, per rimanere erede, l'uccise; onde a lui fu tagliata la testa in Firenze

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Un ser Durante de' Chermontesi o Chiaramontesi, essendo Doganiere e Camerlingo della camera del sale, trasse una doga dallo stajo, con cui si regolava la vendita, e s' appropriò tutto il sale che n'avanzava. Perciò que'di sua famiglia son detti que' ch' arrossan per lo stajo (3).

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(1) Inf. C. XXV. 4.
(2) Inf. C. XXXII. 65.
(3) Par. C. XVI. 105.

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A quel che pare, molti in Firenze si abbandonavano allora ad atti disperati. Alcuni commentatori vogliono che lo spirito converso in un cespuglio, il quale non volle far palese il suo nome, sebbene chiesto da Virgilio colle parole: Chi fusti, che per tante punte Soffi col sangue doloroso sermo (1)? fosse M. Rocco de' Mozzi, che, consumato il suo, per non vivere in povertà s' impiccò; ed altri il dicono Lotto degli Agli, pur esso impiccatosi per rimorsi. Dice il Boccaccio che Dante non nominò costui o per non macchiare dell' infamia di cotal morte la famiglia dello sciaurato, ovvero perché intendere si potesse di qualsivoglia dei morti sì fattamente, essendo in que' tempi cotal modo di torsi la vita frequentissimo in Firenze. In seno a tanta corruttela e a tanta disperanza, chi pensava o poneva cuore all' imminente lutto della patria? Dino Compagni, nel secondo libro delle sue Croniche, ci fa palese la generale indolenza:,, Tra per la paura e per l'avarizia, i Cerchi di niente si provvidono, e erano i prin"cipali della discordia: e per non dar

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(1) Inf. C. XIII. 137.

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