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della pubblica quiete, giacchè trovavasi ambasciatore presso Bonifazio VIII. Difficile cosa è tuttavia il proferire giudizio tra lui e la sua patria. Se egli stesso credette di comportarsi da saggio magistrato, quando consigliò, e procurò, e decretò la cacciata de' capi delle due fazioni, non doveva poi attendersi mag. gior rispetto nel caso che l' una delle due fazioni si rimanesse prevalente. Sarebb'egli mai vero che due parole avessero bastato a provocar contro Dante quell'animosità, che potè poi tornargli a tanto nocumento? Tutti sanno che inviato una volta a Bonifazio VIII per pubblica urgenza, all'atto di risolversi dell'andata, disse agli amici: s'io vò, chi resta? s'io resto, chi va? Queste parole che pur potevansi attribuire a conoscenza delle proprie virtù, ed a sentimenti di carità e di fede verso la patria, gli vennero imputate ad arroganza, per modo da cagionarsene l'odio congiurato poscia alla sua ruina. Così avvisa Domenico Aretino nel suo Fonte. Cujus exilii causa fuit, prout communis habet assertio florentina, quia dum in patria magnus esset, honoratusque civis plurimum, nescio quo adversante numine instigatus, exigente dissensione inter

summum pontificem et comune Florentiæ, dum de legandis habilibus oratoribus in consilio ageretur, inter quos ipse unus erat; debuit continuando ista verba proferre: Si vado, quis remanet? et si maneo, quisnam ibit? Quo dicto ita cunctorum adstantium animos inflammavit quod omnes in perniciem sui verterit. Fuit temporis habilitas addita etc. Di ciò pare che non avvertito o non ricordevole si fosse lo stesso Dante, mentre asseverava non aversi a ripetere la sua sciagura se non dal suo immenso amore per Firenze.,, Noi, a cui il mondo è patria, si come a pesci il mare » quantunque abbiamo bevuto l'acqua d'Arno avanti che avessimo denti, e. che amiamo tanto Fiorenza, che per averla amata patiamo ingiusto esiglio, nondimeno le spalle del nostro giudizio più alla ragione che al senso ap" poggiamo (1). „

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(1) Volg. Eloq. lib. 1. c. 6.

EVENIMENTI

DALL'ESILIO DI DANTE SINO ALLA MORTE

DI CORSO DONATI

Capitolo Terzo

PETRACCO DI PARENZO

S. I. La citata sentenza dei 10 marzo 1302 dannava pure ad essere arso vivo, se venisse nelle forze del comune, Petracco, figliuolo di Parenzo, originario del castello d' Ancisa, posto sulla strada d'Arezzo, quattordici miglia lontano da Firenze. Era egli allora notajo delle Riformagioni, che così chiamavasi l'archivista delle deliberazioni della signoria: bandito con Dante, si stabilì in Arezzo, con la moglie Brigida, o, come altri vogliono, Eletta o Lieta de' Canigiani. Benedetto XI mandò paciere in Toscana il cardinale Niccolò da Prato, uomo savio, grazioso, é di grande scienza; il quale giunse in Firenze il dì 10 marzo del 1303. Essendo egli di progenie ghi

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bellina, voleva ridurre in Firenze i Bianchi fuorusciti ; nè avea trovato il popolo a ciò mal disposto. Petracco fu uno dei deputati dai Bianchi a trattare col dominante partito, e per esso, col cardinale di Prato, nella cui balìa posta erasi la repubblica. I priori commisero nel cardinale e in quattro chiamati dal papa il dare esecuzione alla pace, cioè a Martino della Torre di Milano, ad Antonio da Fostierato di Lodi, ad Antonio de'Brusciati da Brescia, e a Guidotto de'Bugni di Bergamo. Così narra Dino l'occorsa conciliazione. „, A dì 26 d'aprile 1304, raunato il popolo sulla piazza di santa Maria Novella, le famiglie nimiche con rami d'ulivo in mano si pacificarono; ed intervenne per molti fuorusciti ser Petracco di ser Parenzo dall'Ancisa. Le com,,pagnie del popolo faceano gran festa sotto il nome del cardinale da Prato con le insegne avute da lui sulla piazza di s. Croce. Allora i Guelfi a rendere odioso al popolo il cardinale, e mandare a vôto la buona opera, falsando il suggello del cardinale, chiamarono con lettera in suo nome i Bianchi e i Ghibellini di Bologna. Giunti gli uni e gli altri in Piano di Mugello, il

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popolo si tenne tradito dal cardinale il quale dovette perciò dimettersi della sua pacifica missione, e ritirarsi a Prato sua patria: nè quindi potè più aver luogo la pace.

Di Petracco e d'Eletta nacque Francesco Petrarca il 21 luglio 1304 in Arezzo, nel borgo dell'orto, e non già come tennero alcuni nel castello d' Ancisa. Francesco mutò prestamente il patronimico Petracco, derivato per idiotismo di pronuncia da Pietro, nel sonoro cognome di Petrarca. Il Petrarca dice di avere avuti i natali nel dì 20 luglio del 1304 in sull'aurora, e di avere nove anni più del Boccaccio: non è quindi improbabile che Giovanni nascesse o nel luglio o nel principiare l'agosto del 1313. Dal luogo di sua nascita fu Giovanni Boccaccio appellato il Certaldese; ed ei solo bastò a fare illustre quella terra i cui originarii parvero meno degni della fiorentina cittadinanza. Ma la cittadinanza, ch' è or mista Di Campi, di Certaldo, e di FigPura vedeasi nell'ultimo ar

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(1).

(1) Par. C. XVI. 50.

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