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ria fece sonare la campana del comu ne adunato il popolo nella piazza, i priori dell'arti accusarono Corso al tribunale del podestà, ch'era allora Piero della Branca d'Agobbio, di voler tradire il comune. Citato a presentarsi al tribunale, si rifiutò: le forme di giusti zia furono totalmente trascurate: in brevissimo spazio di tempo il giudice passò dalla citazione e dalla informazione alla sentenza, e il dannò in contumacia siccome traditore e ribelle, alla pena capitale. Il popolo corse alla sua casa col gonfalone della giustizia. Rosso dalla Tosa riuscì ad abbattere la parte di Corso, combattendo tra'grandi stessi due fazioni. Corso, siccome di grande animo, e pronto di lingua e di mano, si mise con gli amici alla difesa, e in breve molti de'nimici furono morti: ma vistosi circondato da troppa moltitudine, s'apri la via col ferro, e uscì della città. Raggiunto da'Catalani di Ruberto, nè si potendo, per pregare e promettere, liberar da loro, per non essere ricondotto a spettacolo a Firenze, si lasciò cader di cavallo: preso forte, com'era in quel giorno, di gotta nelle mani e ne'piedi, rimase appiccato alla staffa, e fu dal cavallo strascinato: tosto uno di quegli

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sgherri gli passò la gola d'un colpo di lancia, e fu lasciato ivi. Dante si fa predire la caduta di Corso: il narratore è il fratello di lui, Forese, il quale perciò, sebbene fossero di opposti partiti, non lo nomina mai, e ne parla con misteriosa oscurità. La bestia ad ogni passo va più ratto - Crescendo sempre, infin ch'ella il percote, E lascia il corpo vilmente disfatto - (1). Alcuni " monaci, scrive il Compagni, nel portarono alla badìa; e quivi morì a'dì 15 di settembre 1807, e fu sepolto... Fu cavaliere di grande animo e nome, ,, gentile di sangue e di costumi, di corpo bellissimo fino alla sua vecchiezza, di bella forma con dilicate fattezze, di pelo bianco; piacevole, savio, ornato parlatore; e a gran cose ,, sempre attendea: pratico e dimestico di gran signori e di nobili uomini, e di grandi amistà; e famoso per tutta Italia. Nimico fu de'popoli e dei po popolani, amato da'masnadieri (solda,,ti), pieno di maliziosi pensieri, reo e astuto.,, Il Machiavelli dice di lui che merita di essere numerato tra i rari cittadini che abbia avuto la nostra città.

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(1) Purg. C. XXIV. 85.

Nel detto anno 1307, il cardinale Napoleone degli Orsini in qualità di legato apostolico tentò inutilmente ogni via per far richiamare in Firenze gli esiliati. Tennero questi allora un congresso nella sagrestia della chiesa abaziale di s. Gaudenzio in Mugello. Dante v'intervenne, e ricoverato erasi nel castello di Monte Accinico, od a Cinico, de' signori Ubaldini in Mugello, nel quale quasi tutti i Ghibellini di Firenze eransi ridotti. I Fiorentini guelfi vi posero assedio, e l' ebbero per promessa di quindici mila fiorini d'oro, che poi non pagarono: gli assediati uscirono salvi delle persone, e il castello fu disfatto: gli usciti andavansi quindi rafforzando ora in uno ora in altro castello di quelle montagne. Nel 1308 Federigo conte di Montefeltro capitano per la chiesa, sconfisse nel contado di Jesi gli Anconitani di parte guelfa; e Dante dovette saperne grado a quel grande fautore de'Ghibellini, del quale, al credere del Perticari, aveva egli stesso, essendo soldato guelfo, ucciso il figlio Buonconte nella battaglia di Campaldino. Dante visse pure allora ne' monti presso quelli della Faggiuola; e andossene poi quà e là peregrinando, e per

mitigare il suo cordoglio, e per vaghezza di conoscere intimamente l'umana razza; nel che non dovette attingere pe' suoi guai molta consolazione. Nel 1309 i Fiorentini con sei mila pedoni e quattrocento cinquanta cavalieri Catalani mossero contro gli Aretini venuti a provocarli con Uguccione dalla Faggiuola loro capitano; e dopo avergli sconfitti, devastarono i dintorni medesimi d'Arezzo.

OPERE DI DANTE

Capitolo Quarto

DIVINA COMMEDIA (1)

Poema sacro,

Al quale ha posto mano e cielo e terra.
Par. C. XXV. 1.

§. 1. Si è pensato che Dante attingesse l' idea generale del suo poema dalla Visione d' Alberico di monte Casino, dal Tesoretto del Latini, dalla Novella fran

(1) Dante ebbe in animo d'interpretare la Divina Commedia da sè, ma non in lingua latina, perchè non sarebbe stata serva conoscente nè obbediente di un poema in volgare (dedic, a Cane). Chi sa, sospetta il Foscolo, che qualche frammento, qualche nota di questo Commento non fosse veduto e messo a profitto da Pietro suo figlio, o dall' Anonimo autore dell' Ottimo? « E da che Pietro e l'Anonimo non sempre s' accordano nelle lezioni, e vi ragionano sopra (Poi siete quasi entomata; e altrove) o mutavano a beneplacito, o l'autografo nel quale Dante non aveva eseguite le alterazioni che meditava, ne aveva più d'una e questa conclusione a me pare l'unica vera. La molta dissomiglianza della Nidobentina

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