NOTIZIE STORICHE DI FRA DOMENICO na, CAVALCA. D omenico Cavalca da Vico Pisano dell' Ordine de' Predicatori, fu uno de' principali padri della nostra lingua. Nello Specchio della Croce manuscritto, che conservasi nella Chigiana in Roma, è annotato, ch' egli era della famiglia Gaetani da Pisa. Afferma i Salviati nella prefazione al Decameron del Boccaccio da lui riformato, ch' egli fiorisse tra gli anni 1320, e 1340. Scrisse molto in lingua Toscae con tanta abbondanza di buoni vocaboli e con tal pulita e scelta maniera, che tutte le sue opere furono accettate dalli Compilatori del Vocaborio della Crusca. Coltivò parimenti la volgar poesia, ed in Roma nella sopraddetta Libreria nel cod. 557. vedonsi parecchie suc Laudi e Serventesi uniti a quelli del B. Jacopone, cui egli avanza. Fu religioso di santa vita, e dottissimo in teologia e filosofia ; e fu particolarmente eccellente moralista. Credesi morto nel 1342. Le rime di questo autore sono circa materie morali e sacre, e sono state raccolte da M. Bottari alla fine del Dialogo di S. Gregorio, e della Disciplina degli Spirituali, opere del Frate Cavalca. SONETTI. I. Molti sconfitti, e pochi vincitori♦ Considerando me' di questa guerra, Vidi molte stoltizie e molti errori Per li qual lo nimico sì ci atterra, Onde non perde mai, se non chi erra, Che Dio non fa, che noi siam perditori Gravansi alquanti di troppo grav' arme Prendendo asprezze si fuor di misura, Che l'alma impedisce, e 'l corpo inferma Per molto e saggio amor si vince; parme, Che nostre asprezze diavol poco cura: Sola discrezion tien guerra ferma . II. Per troppo esser discreti e dilicati Molti 'n esta battaglia son perdenti Ch' a resister ben ben non son valenti Nè quanto fa bisogno sono addati . Dio non permette, che mai siam tentati Più che ci veggia a sostener potenti ; Se non fossimo dunque negligenti, D' ogni battaglia sarem coronati. Veggiam che per guerir d' infermitade, E per fuggir alcun mal temporale, Pate l'um tanta asprezza e tanta pena ; Che se per Dio facesse la metade E per campar la colpa e 'l vero male Camprebbe dal nimico e sua catena . Vol. III. X III. Son alcun altri superbi ingannati ; Contra li cuori a Dio umiliati Nullo nimico puote prevalere, IV. Parmi quest' altra singular pazzia Gran colpi danno in voto stando agiati; La pazienza giammai non si trova Stia dunqua fermo l'uomo e non si muova, Che senza pena a virtù non si saglie: Tant' è l'uom buon , quanto sa patir male ས. Stolta presunzione è indugiare Di prender l'arme infin, che vien lo botto De' l'uom, ch'è saggio, dunque provvedere Di che e quando possa esser tentato Per che ajuto e com' possa star forte. Che resistenzia buona non può fare L'uom assalito, s' egli è disarmato. Questa pazzia molti conduce a morte. VI. L'uomo assalito ch'è saggio di guerra, Da quella parte si suol riparare, Onde ve' che 'l nimico vuol entrare : |