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HARVARD COLLEGE LIBRARY

FROM THE LIBRARY OF
ABBÉ H. THEDENAT
JAN. 6, 1921
SALISBURY FUND.

Tip. Guigoni.

DI

GIACOMO LEOPARDI

CENNI

DI DOMENICO CAPELLINA.

In sul cominciare del secolo decimonono due scuole diverse si contendevano il campo dell'italiana poesia. Invaghita l'una della mirabile forma degli antichi, non considerava nelle cose altro che il lato poetico di esse, e indifferente quanto alla sostanza de' soggetti, si accendeva facilmente per tutti quelli che sperava si potessero acconciamente vestire di quell'antica leggiadria. Per essa la poesia non era una delle più grandi manifestazioni dell' umano pensiero, ma un'arte che solo doveva avere lo scopo di piacere altrui colla bellezza delle forme e del colorito, senza curarsi di alcun profondo morale concetto, senza rivelare la coscienza del poeta e dei tempi.

L'altra invece, rifuggendo dalla gaiezza e dalla vivacità di tempi che più non erano, pareva che più non sentisse la poesia, un giorno così potente, della esteriore bellezza, ma, guidata da una nuova musa, la Malinconia, tutta si concentrasse in sè medesima, ascoltando attentamente le segrete voci del cuore, il,

sommesso fremito delle anime che sentivano i dolori del presente e cercavano anelanti di scoprire i misteri dell'avvenire. Era la prima l'estremo canto di un'età giovane e spensierata che si era lanciata nelle braccia della sensibile natura, come in quelle d'un amante, ed aveva sulla sua lira celebrato le vaghe sembianze dell'amor suo e l'ebbrezza dei giovanili abbracciamenti: era la seconda il pensiero dell'età matura che cessava dagl'impeti focosi e, mutatasi in severa meditazione, riandava il passato, studiava il presente e si lanciava nel futuro in traccia di una luce novella, poichè le terribili vicende che scossero l'umanità in sul finire del passato secolo pareva che avessero spento ogni luce anteriore. E questa, poichè era la voce dei tempi e la coscienza di un'età adulta, rimase l'unica signora del campo, ed invano si ricercherebbe oggidi presso le più colte nozioni d'Europa altra poesia che quella la quale sgorga dal senò della meditazione, e l'immaginazione e la fantasia rivolge a rivelare l'interna lotta dell'uomo, la tremenda battaglia dell'intelligenza colla materia, dello spirito, che sente il bisogno dell'assoluto, col finito, che da ogni parte il circonda.

La poesia e la filosofia derivano dalla medesima fonte, cioè dall' umano pensiero che cerca di spiegare sè medesimo e quanto è soggetto alle sue cognizioni. Sintetica la prima, analitica la seconda, camminano di pari passo nel succedersi delle età e sempre si vestono di uniformi sembianze.

Quando l'Italia moderna usci dalla notte del medio evo, la sua filosofia, educata nei monasteri e nei templi, aveva riunito le dottrine platoniche colla teologia cristiana, ed allora la poesia fu platonica e religiosa con Dante, col Petrarca e col Tasso. Si volsero quindi gl' intelletti all'esperienza, non più contenti all'autorità

di Platone, di Aristotile e dei più moderni maestri; interrogarono la natura e i fenomeni di lei per iscoprire le leggi che la governavano, e il metodo sperimentale passò dalle scienze naturali alle intellettive e creò il Sensismo; e la poesia al mondo sensibile si rivolse, e nelle opere degli antichi poeti più non si fece a ricercare che quanto di sensibile vi era, cioè la forma e la bellezza esteriore. Ma ben presto si accorsero le menti che il Sensismo non. era capace di sciogliere alcuno dei grandi problemi intorno ai quali si affaticò in ogni tempo il pensiero dell' umanità, ẹ fuori della materia cercarono la spiegazione di quelli per due vie diverse; l'una delle quali conduce al riposo dello spirito nel vero rivelato, l'altra guida al dubbio e allo sconforto dell'intelligenza che dispera di trovare quell'unico oggetto in cui possa acquetarsi, la verità cioè, che ne è la propria essenza. E tali due vie percorse anch'essa la poesia, e ne uscirono due scuole, l'una ispirata dalla religione, l'altra dallo scetticismo e dal dolore.

A quest'ultima appartiene Giacomo Leopardi; benchè per l'altezza dell'ingegno suo possa dirsi piuttosto una grande individualità solitaria che, pure in sè riunendo il pensiero di una gran parte dell'età sua, si innalza gigantescamente sovr'essa e pare che rappresenti sè medesimo soltanto e riempia le anime di terrore nello stesso tempo e di meraviglia coll' audace sfida ch'egli lancia in faccia all'umanità ed ai sogni più cari di quella. La quale individualità, che è carattere proprio di tutti gli intelletti che sono in alto grado forniti di lirica potenza e che prendono le ispirazioni loro dall'interno commovimento e le cose esteriori significano soltanto con quell'impronta che dall'individuale loro pensiero hanno presa, più che in ogni altro, si ravvisa nel Leopardi, che visse una vita

tutta sua particolare, e vide la società e l'esistenza sotto un aspetto diverso da quello che agli altri sogliono rappresentarsi. Il perchè è necessario che della sua vita noi diciamo alcuna cosa per quella parte almeno che potè concorrere a formare in lui il pensatore ed il poeta.

Nacque egli a Recanati nelle Marche il 1798 dal conte Monaldo Leopardi e dalla marchesa Adelaide Antici, e fu educato nella casa paterna da maestri che gl' insegnarono le umane lettere e la filosofia. Il secondo di questi lo accompagnò fino all'età di 14 anni; ma egli, toccato appena il decimo, erasi accorto che l'insegnamento che gli veniva dato da altri non bastava a saziare l'animo suo, e cominciò a cercare da sè medesimo quel pascolo della mente che più gli conveniva. Trovandosi per buona ventura in casa una ricca biblioteca, si chiuse entro di quella ed attese con invitta costanza agli studi imparando, senza aiuto di maestri la lingua francese, la spagnuola e l'inglese non solo, ma ancora l'ebraica, talchè eccitò la maraviglia di alcuni dotti ebrei anconitani coi quali prese a disputare, e la greca, della quale invaghitosi smisuratamente, spese sette anni continui in istudi filologici e giunse al segno di non temere il paragone non pure dei filologhi italiani, chè per disgrazia nostra non sarebbe gran vanto, ma ancora dei più insigni fra i dotti delle più colte nazioni d'Europa. In mezzo a queste sue occupazioni intorno alle lingue antiche ed alle straniere letterature, egli non dimenticava il bellissimo idioma della sua patria, del quale apprendeva nei classici il difficile magistero e a cui si addestrava con traduzioni prosastiche e poetiche de'più bei brani degli antichi maestri, venendo con essi a gara di perfezione e congiungendo nel suo stile la semplicità greca col fare ingenuo, che tanto le somi

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