Son dell' umana gente Le magnifiche sorti e progressive 12. Che il calle insino allora Dal risorto pensier segnato innanti Abbandonasti, e, vôlti addietro i passi, Del ritornar ti vanti, E procedere il chiami. Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti Ch'a ludibrio talora T'abbian fra sè. Non io Con tal vergogna scenderò sotterra: Imitar gli altri e, vaneggiando in prova, Mostrato avrò quanto si possa aperto: Preme chi troppo all'età propria increbbe. Mi fia comune, assai finor mi rido. Libertà vai sognando, e servo un tempo Vuoi di novo il pensiero, Sol per cui risorgemmo Dalla barbarie in parte, e per cui solo Così ti spiacque il vero Dell'aspra sorte e del depresso loco Che il fe' palese; e, fuggitivo, appelli Magnanimo colui Che, sè schernendo o gli altri, astuto o folle, Fin sopra gli astri il mortal grado estolle. Uom di povero stato e membra inferme, Non chiama sè nè stima E di splendida vita o di valente Non fa risibil mostra; Ma sè di forza e di tesor mendico Magnanimo animale Non credo io già, ma stolto Quel che, nato a perir, nutrito in pene, Dice, A goder son fatto, E di fetido orgoglio Empie le carte, eccelsi fati e nove Non pur quest'orbe, promettendo in terra Di mar commosso, un fiato D'aura maligna, un sotterraneo crollo A gran pena di lor la rimembranza. Ch'a sollevar s'ardisce Gli occhi mortali incontra Al comun fato e che con franca lingua, Confessa il mal che ci fu dato in sorte Quella che grande e forte Mostra sè nel soffrir, nè gli odii e l'ire D'ogni altro danno, accresce Alle miserie sue, l'uomo incolpando Siccom'è il vero, ed ordinata in pria Tutti fra sè confederati estima Valida e pronta ed aspettando aita Stolto crede così qual fora in campo Gl'inimici obliando, acerbe gare E sparger fuga e fulminar col brando Così fatti pensieri Quando fien, come fur, palesi al volgo, Contra l'empia natura Strinse i mortali in social catena Fia ricondotto in parte Da verace saper, l'onesto e il retto Conversar cittadino, E giustizia e pietade altra radice Cosi star suole in piede Quale star può quel c' ha in error la sede. Che, desolate, a bruno Veste il flutto indurato e par che ondeggi, In purissimo azzurro Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle, Il mare, e tutto di scintille in giro E sono immense in guisa Che un punto a petto a lor son terra e mare Veracemente; a cui L'uomo non pur, ma questo Globo, ove l'uomo è nulla, Sconosciuto è del tutto: e quando miro Quegli ancor più senz'alcun fin remoti Nodi quasi di stelle, Ch' a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo E non la terra sol, ma tutte in uno, Del numero infinite e della mole, Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle Essi alla terra, un punto Di luce nebulosa; al pensier mio Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte, Credi tu data al Tutto, e quante volte Sembra tutte avanzar; qual moto allora, Maturità senz'altra forza atterra, D'un popol di formiche i dolci alberghi Con gran lavoro, e l'opre, E le ricchezze ch'adunate a prova In un punto; cosi d'alto piombando, Scagliata al ciel profondo Di ceneri, di pomici e di sassi E di metalli e d'infocata arena |