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CANTO SESTO.

Meta al fuggir le inviolate schiere
Di Topaia ingombrâr le quattro porte,
Non che ferir, potute anco vedere

Non ben le avea dei granchi il popol forte.
Cesar che vide e vinse, al mio parere,
Men formidabil fu di Brancaforte,
Al qual senza veder fu co' suoi fanti
Agevol il fugar tre volte tanti.

Tornata l'oste a' babbi intera e sana,
Se qualcuno il fuggir non fu mortale,
Chiuse le porte fur della lor tana
Con diligenza alla paura eguale.
E per entrarvi lungamente vana
Stata ogni opra saria d'ogni animale,
Si che molti anni in questo avria consunto
Brancaforte che là tosto fu giunto,

Se non era che quei che per nefando
Inganno del castello eran signori,
E ch'or più faci al vento sollevando
Sedean lassù nell'alto esploratori,
Visto il popolo attorno ir trepidando
E dentro ritornar quelli di fuori,
Indovinar quel ch'era e, fatti arditi,
I serragli sforzâr mal custoditi.

E, con sangue e terror corsa la terra,
Aprîr le porte alla compagna gente,

207

Che, qual tigre dal carcer si disserra
O da ramo si scaglia atro serpente,
Precipitaron dentro e senza guerra
Tutto il loco ebber pieno immantinente.
Il rubare, il guastar d'una nemica
Vincitrice canaglia il cor vel dica.

Più giorni a militar forma d'impero
L'acquistata città fu sottoposta,
Brancaforte imperando, anzi nel vero
Quel ranocchin ch'egli avea seco a posta,
A ciò che l'alfabetico mistero

Gli rivelasse in parte i di di posta,
E sempre che bisogno era dell'arte
D'intendere o parlar per via di carte.

Tosto ogni atto, ogn'indizio, insegna o motto
Di mista monarchia fu sparso al vento,
Raso, abbattuto, trasformato o rotto.
Chi statuto nomava e parlamento
In carcere dai lanzi era condotto,
Che, del parlar de' topi un solo accento
Più là non intendendo, in tal famiglia
Di parole eran dotti a maraviglia.

Leccafondi, che noto era per verɔ
Amor di patria e del civil progresso,
Non sol privato fu del ministero

E del poter che il re gli avea concesso,
Ma dalla corte e dai maneggi intero
Bando sostenne per volere espresso
Di Senzacapo, e i giorni e le stagioni
A passar cominciò fra gli spioni.

Rodipan mi cred'io che volentieri
Precipitato i granchi avrian dal trono,
Ma trovar non potendo di leggeri
Chi per sangue a regnar fosse si buono,
Spesi d'intorno a ciò molti pensieri,
Parve al re vincitor dargli perdono

E re chiamarlo senz'altro contratto,
Se per dritto non era, almen per fatto.
Ma con nome e color d'ambasciatore
Inviògli il buon baron Camminatorto,
Faccendier grande e gran raggiratore
E in ogni opra di re dotto ed accorto,
Che per arte e per forza ebbe, valore
Di prestamente far che per conforto
Suo si reggesse il regno, e ramo o foglia
Non si movesse in quel senza sua voglia.
Chiuso per suo comando il gabinetto,

Chiuse le scole fur che stabilito

Aveva il conte, come sopra ho detto,
E d'esser ne' caratteri erudito

Fu, com'ei volle, al popolo interdetto,
Se di licenza special munito

A ciò non fosse ognun; perchè i re granchi
D'oppugnar l'abbici non fur mai stanchi.
Quindi i reami lor veracemente

Fur del mondo di sopra i regni bui.
Ed era ben ragion, chè chiaramente
Dovean veder che la superbia, in cui
La lor sopra ogni casa éra eminente,
Non altro avea che l'ignoranza altrui
Dove covar; che dal disprezzo, sgombra
Che fosse questa, non aveano altr'ombra.

Lascio molti e molti altri ordinamenti
Del saggio nunzio, e sol dirò che segno
Della bontà de' suoi provvedimenti
Fu l'industria languir per tutto il regno,
Crescer le usure, impoverir le genti,
Nascondersi dal Sol qualunque ingegno,
Sciocchi o ribaldi conosciuti e chiari
Cercar solo e trattar civili affari;
LEOPARDI. Poesie.

14

La qual sospizion come più tosto
S'avea tolta dal cor di Brancaforte
Condannava i trattati, e i chiari detti
Torceva inopinabili concetti.

Privo l'accordo del real suggello.
Nè re de'topi alcun riconosciuto,
A sè poco gravar, ma che il castello
Con maraviglia grande avria veduto
Da genti granchie ritener che in quello
Entrar per solo accordo avean potuto,
Se non sapesse ai popoli presenti
Esser negati i dritti delle genti;

Anzi i dritti comuni e di natura:
Perchè frode, perfidia e qual si sia
Pretta, solenne, autentica impostura
È cosa verso lor lecita e pia,

E quelli soppiantar può con sicura
Mente ogni estrania o patria monarchia,
Che popol e nessun tornan tutt' uno,
Se intier l'ammazzi, non ammazzi alcuno.
Quanto al proposto affar, che interrogato
Capo per capo avria la nazione,

Non essendo in sua man circa lo stato
Prender da sè deliberazione,

E che quel che da lei fosse ordinato
Faria come per propria elezione,
Caro avendo osservar, poi che giurollo,
Lo statuto. E ciò detto, accommiatollo.
L'altra mattina al general consiglio
Il tutto riferi personalmente,

E la grandezza del comun periglio
Espose e ragionò distesamente,

E trovar qualche via, qualche consiglio,
Qualche provvision conveniente
Spesse volte inculcò, quasi sapesse
Egli una via, ma dir non la volesse.

Arse d'ira ogni petto, arse ogni sguardo;

E come per l'aperta ingiuria suole
Che negl' imi precordii anche il codardo
Fere là dove certo il ferir dole,
Parve ancora al più vile esser gagliardo
Vera vendetta a far non di parole.
Guerra scelta da tutti e risoluto
Fu da tutti morir per lo statuto.
Commendò Rodipan questo concorde
Voler del popol suo con molte lodi,
Morte imprecando a quelle bestie sorde
Dell'intelletto e pur destre alle frodi;
Purchè, disse, nessun da sè discorde
Segua il parlar non poi gli atti de' prodi:
E soldatesche ed armi e l'altre cose
Spettanti a guerra ad apprestar si pose.
Di suo vero od al ver più somigliante
Sentir, del quale ogni scrittore è muto,
Dirovvi il parer mio da mal pensante,
Qual da non molto in qua son divenuto,
Chè per indole prima io rette e sante
Le volontà gran tempo avea credute,
Nè d'appormi cosi m'accadde mai
Nè di fallar poi che il contrario usai.
Dico che Rodipan di porre sciolta
La causa sua dalla comun de' topi
In man de'granchi avea per cosa stolta,
Veduto, si può dir, con gli occhi propri
Tanta perfidia in quelle genti accolta
Quanta sparsa è dagl'Indi agli Etiopi,
E potendo pensar che dopo il patto
Similmente lui stesso avrian disfatto.

Ma desiato avria che lo spavento
Della guerra de' granchi avesse indotto
Il popolo a volere esser contento

Che il seggio dato a lui non fosse rotto,

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