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Serenissimo Principe, Padri e SS. EE. Mi comandò la Serenità Vostra e le SS. VV. II., già è passato l'anno, ch' io dovessi andare per ambasciatore al serenissimo re di Spagna per allegrarmi del matrimonio contratto fra la Maestà Sua e la serenissima figliuola dell' Imperatore. lo accettai volentieri il suo comandamento, sì come io doveva; onde espedita la commissione, in otto giorni mi posi in cammino, e a di 7 del mese di giugno mi trovai a Milano, non solo stanco, ma un poco risentito per la fatica del viaggio e per lo gran caldo patito per volermi trovare in tempo a Genova che il sig. don Giovanni d' Austria non fosse partito, avendomi la S. V., dopo l'espedizione per Spagna, commesso ancora ch' io in ogni modo mi trovassi con lui per esortarlo e spronarlo alla presta partita, e al ben operare a benefizio della cristianità. La mia sollecitudine fu indarno per la tardanza del sig. don Giovanni onde ebbi tempo di ristorarmi in quella città alcun giorno, arrivando anzi in Genova tanto per tempo, che con infinito mio travaglio e con incredibile mia pena, veggendo andarsene tanto il tempo, convenni aspettare più d' un mese il suo arrivo. Frattanto trattai e conversai col sig. Gioan Andrea Doria, e quei capitani che aveano a trovarsi in armata, parendomi esser bene contrarre con tutti loro qualche conoscenza e qualche domestichezza; e de' ragionamenti ch' io giudicai di qualche importanza ne diedi conto con mie lettere alla S. V., si come ella memoriosissima ben si può ricordare. Venuto finalmente il sig. don Giovanni, la medesima sera del suo arrivo feci l'ufficio impostomi con quella caldezza che bisognava.

Restai consolato della risposta, e del modo con che la espresse, da che potei scrivere confidentemente di lui quel ch'io scrissi, cioè ch' egli avesse la commissione libera dal serenissimo re suo fratello, e ch' egli fosse per cercar l'occasione di trovar l'inimico. Che quanto io sia stato veridico lo dimostra il fatto (1), e quanto io facessi bene a scrivere confidentemente e risolutamente dell' animo di questo generoso giovane, lo dimostrano le risoluzioni che per questo fece, similmente con confidenza, questo Illustriss. Consiglio in quel tempo, comandando all'eccellentiss. Generale che accettasse, in diffetto di proprj soldati, quegli spagnuoli che dar gli volesse il sig. don Giovanni; con che fu levata ogni ragione del non proceder innanzi in busca dell' inimico. E quanto poi giovasse la sollecitudine mia scrivendo alla S. V., a Roma e in Spagna per l' invernar del sig. don Giovanni in Messina, veggasi considerando quanto penerebbe la S. V., tuttavia sollecitando la sua tornata di Spagna, dove senz' alcun dubbio sarebbe volato per trionfare co' suoi spagnuoli, e per godere degli abbracci e delle laudi del serenissimo re suo fratello per così fatta vittoria.

Ora espeditosi in pochissimi giorni il sig. don Giovanni, e dopo lui Gioan Andrea, io ancora potei partire, avviandomi a Torino, dove convenni aspettare le robe mandate a torre in questa città per provvision del verno sopravegnente, non avendovi provveduto innanzi, pensando aver già sino in quel tempo ripatriato. In quei giorni alloggiai col clariss. messer Jeronimo Lipomano ambasciatore, il quale trovai con molta spesa della tavola e della stalla, onorando con l'una e con l'altra sè stesso e il principe ch' ei rappresenta, prudente nel suo procedere, e domestichissimo e stimatissimo da quel duca. Potrei dir molto in sua laude, ma voglio pure che l' essermi parente questa volta gli sia di alcun pregiudizio, se però può pregiudicar il silenzio a questo gentiluomo già molto ben conosciuto da ciascuna delle SS. VV. II. Fui a visitar in questo tempo quel sig. duca, e de' ragionamenti, che giudicassimo

La vittoria di Lepanto.

importanti al proposito di questa guerra, ne dessimo conto con nostre lettere, giudicando che dovessero esser cari alla S. V. per uscire da un tal principe, che non solo è gran principe e affezionatissimo alle cose di questo Sereniss. Dominio, ma soldato e capitano intendentissimo, come esercitato ed allevato da quel gran capitano che fu l'imperator Carlo V. Ora venute le robe, io partii; e passando per Francia, con molto travaglio e con molto pensiero per suspicione degli Ugonotti che si dicevano stare alle strade, finalmente piacque a Dio condurmi sano alla corte del sereniss. re di Spagna (1). Ma per essere Sua Maestà all' Escuriale, luogo di suo riposo, e sopraggiungendo il parto della regina (2), non potei espedirmi se non nel termine di un mese; dopo il quale avuta l'udienza ed eseguita la commissione, si come io doveva, e si come scrivessimo il clarissimo messer Leonardo Donato (3) ed io, presi licenza, prendendo poi l'altro viaggio, pur commessomi dalla S. V. per sue lettere, per Portogallo, per invitare quel serenissimo re ad entrare nella lega (4).

(1) Dalla Relazione del Cortigiano abbiamo che il viaggio fu pel mezzodi della Francia, la quale attraversarono sino a Bajona, e che di là partitisi il 27 ottobre, giunsero a Madrid, per Tolosa, Vittoria, Burgos, Aranda e Buitrago, il dì 9 novembre.

(2) 14 decembre 1571 partori la regina il principe Ferdinando, che morì giovanissimo, come vedremo.

(3) L'ambasciatore ordinario presso Filippo II, della cui legazione sarà discorso a suo luogo.

(4) Il cortigiano del Tiepolo, nella citata sua relazione, descrive il ricevimen to del di 8 decembre colle seguenti parole:

Era S. M. venuta nella camera de' grandi, che suol essere d'ordinario sua anticamera, ed appoggiato ad un tavolino fuor del baldacchino, stava aspettando gli ambasciatori, come suol fare in tempo di solennità. Entrarono gli ambasciatori nostri ambedue (il Tiepolo e il Donato) e restarono le porte aperte ad ognuno. E fatte le solite riverenze, alle quali S. M. trasse più d'una volta la berretta di capo, si accostarono al re, col quale, dopo essersi coperti, parlarono. Le parole di S. M. in risposta furono così basse che non si poterono udire da noi, che eravamo vicinissimi. Volle il clarissimo che noi, che eravamo venuti seco d'Italia, baciassimo le mani al re; dal quale con molta cortesia fossimo ricevuti, abbracciandoci, e non concedendoci in modo alcuno le mani, con tutto che ne facessimo grand' istanza a S. M. Era S. M. vestita con calzoni di velluto argentino, con calzette di seta e giuppone di raso dell'istesso colore, e vestiva di sela nera con molta politezza. Aveva cappotto di damasco foderato di zibellini, e sopra esso la collana del Tosone, che gli cingeva le spalle, larga più di due difì, tutta di preziosissime gemme legate in oro, che faceva vista mirabile. Portava la berretta, secondo l'uso comune, velluto nero, con una piccola catena d'oro intorno.

di

Il re volle mostrare al Tiepolo lo stendardo ottomano preso alla battaglia

Trovai quel re in Almeida luogo di suo piacere, il quale visitai subito; e con lui, e con quelli del suo consiglio, feci l'uffizio commessomi. Ma perch' io vidi l'aiuto promesso poco giovare a tanto bisogno, pensai ad altro che io stimai più importante, procurando e ottenendo che quel re mandasse suo ambasciatore in Persia al Soffi; e ne scrissi alla Serenità Vostra, dandone avviso al clariss. ambasciatore in Spagna e al nunzio di Sua Santità, affinchè potessero i collegati mandar loro commissioni e lettere col medesimo ambasciatore, onde egli desse (rappresentandoli tutti) maggior forza al suo uffizio; sperando io molto più per tal mezzo, che sarà di gravità e certo, che per alcun altro che si fosse usato per altra via, che saria stato difficilissimo, incerto e di poca stima.

Espeditomi poi da quella corte, in due giorni fui a Lisbona, città principalissima del regno, e presa quella più certa informazione ch'io abbia potuto delle cose di quel serenissimo re, finalmente mi posi in cammino per ritornare alla desideratissima patria. Che quanto egli mi sia paruto lungo, lo può considerare chi alcuna volta desiderasse bramosamente qualche gran cosa. Certo io confesso, che portato dal desiderio ordinario, che suol esser in tutti gli uomini, di rivedere casa sua e la sua città, i giorni mi son paruti secoli, e il numero loro ho stimato alcuna volta avanzare l'infinità; ma ciò tanto più pel desiderio di godere con la Serenità Vostra, e con le SS. VV. II., coi parenti, cogli amici, e finalmente con tutta la città, la grande allegrezza della maravigliosa vittoria ottenuta dal grandissimo Dio. Certo che l'allegrezza di tanto successo ha causato in me grandissimi affetti; ma sia certa V. S. che l'averla goduta coi tre gentiluomini solamente ch'erano meco mi ha scemato assai di godimento; perchè come il dolore partecipato si fa minore, così per l'altra parte l'allegrezza quanto più si spande, e vien comunicata con più persone e più care, tanto si fa maggiore. Può adunque la Serenità Vo

di Lepanto, e che fa poi allogato nell' Escuriale; e così lo descrive il cortigiano: È questo stendardo di tela bianca, con molti caratteri arabi dorati dall'una parte e dall'altra. E di forma quadrangolare, lungo cinque braccia, e tre largo.

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stra da questo ottimamente comprendere quanta sia stata la mia sollecitudine nel ritorno; la quale nondimeno non ha potuto esser tanta, ch'io non abbia consumato, dal di ch' io partii da Lisbona sino al mio giungere, quasi tre mesi, tanto è lontano il paese e tanto malagevole il viaggio al quale piacque alla S. V. inviarmi. Ma sia lodata la infinita benignità di Dio ch'io abbia potuto ritornare; e ritornando rinnovare la mia allegrezza, rallegrandomi ora come faccio con ogni miglior mio spirito con la S. V. e con ciascuna delle SS. VV. II. di tanta vittoria, dalla quale io spero certissimo di vedere, a benefizio e gloria di questa felicissima Repubblica, risultare progressi corrispondenti a sì gran principio; onde s'accrescan per questo le lodi al grande Iddio, con la bontà della vita, con la giustizia, e con quella temperanza che sopra ogni cosa tanto è necessaria nelle felicità di questo mondo. E tanto basti aver detto del mio viaggio, dell' industria e della mia ubbidienza verso la Serenità Vostrá.

Resta ch'io, seguendo il buon costume di questa Eccellentiss. Repubblica, venga alla parte che tocca a lei, riferendo quello ch' io abbia notato in queste ambascierie importare al benefizio della S. V., in questo tempo massimamente d'una guerra si ardente, e la maggiore forse che abbia avuto mai questo Serenissimo Dominio; perchè pare che dal fine, o buono o reo, siano per risultare estremi d'importanza grandissima. E perchè tal costume fu introdotto dalla prudenza de' nostri padri affine che questo Eccellentiss. Senato, informato delle cose de' principi, per tale informazione potesse più sicuramente consigliare e deliberare, pare che sia uffizio principalissimo di chi riferisce attendere a due cose; l'una, a far scelta delle cose solamente che appartengono a stato, non perdendo il tempo intorno alle curiosità, le quali si devono lasciare per altro luogo e per altro tempo; e l'altra, a disporre e distribuire con tale ordine le cose, e così chiaro, che quanto va egli dicendo, e le SS. VV. II. intendendo, tanto anche, per vigor dell' ordine, sia conservato facilmente nella memoria, onde infine tanto resti informato quest' Illustriss. Consiglio, e tanto ne sappia, finito l'uffizio, quanto

RELAZIONI VENETE.

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