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CANZONE IX.

Oppresso da tanti affanni, delibera di volersi partire dall'amore di Laura.

Mai non vo' più cantar com'io soleva:

Ch' altri non m'intendeva; ond' ebbi scorno:
E puossi in bel soggiorno esser molesto.
Il sempre sospirar nulla rileva.

Già su per l'alpi neva d'ogni intorno;
Ed è già presso al giorno; ond' io son desto.
Un atto dolce onesto è gentil cosa:
Ed in donna amorosa ancor m' aggrada
Che 'n vista vada altera e disdegnosa,
Non superba e ritrosa.

Amor regge suo imperio senza spada.

Chi smarrit' ha la strada, torni indietro;
Chi non ha albergo, posisi in sul verde;
Chi non ha l'auro o'l perde,

Spenga la sete sua con un bel vetro.

I' die' in guardia a San Pietro; or non più, no:
Intendami chi può, ch' i' m' intend' io.
Grave soma è un mal fio a mantenerlo.
Quanto posso mi spetro, e sol mi sto.
Fetonte odo che 'n Po cadde, e morio;
E già di là dal rio passato è 'l merlo:
Deh venite a vederlo; or io non voglio.
Non è gioco uno scoglio in mezzo l'onde,
E'ntra le fronde il visco. Assai mi doglio
Quando un soverchio orgoglio

Molte virtuti in bella donna asconde.

Alcun è che risponde a chi nol chiama;
Altri, chi'l prega, si dilegua e fugge;
Altri al ghiaccio si strugge;

Altri di e notte la sua morte brama.
Proverbio, ama chi t' ama, è fatto antico.

I' so ben quel ch' io dico. Or lassa andare;
Che conven ch' altri impare alle sue spese.
Un' umil donna grama un dolce amico.

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Mal si conosce il fico. A me pur pare
Senno a non cominciar tropp' alte imprese:
E per ogni paese è buona stanza.
L'infinita speranza occide altrui :
Ed anch'io fui alcuna volta in danza.
Quel poco che m'avanza,

Fia chi nol schifi, s'i' 'l vo' dare a lui.
I'mi fido in colui che 'l mondo regge
E ch'e' seguaci suoi nel bosco alberga,
Che con pietosa verga

Mi meni a pasco omai tra le sue gregge.
Forse ch' ogni uom che legge non s'intende;
E la rete tal tende che non piglia;
E chi troppo assottiglia si scavezza.
Non sia zoppa la legge ov' altri attende.
Per bene star si scende molte miglia.
Tal par gran maraviglia, e poi si sprezza.
Una chiusa bellezza è più soave.

Benedetta la chiave che s'avvolse
Al cor, e sciolse l'alma, e scossa l' ave
Di catena si grave,

E 'nfiniti sospir del mio sen tolse.

Là dove più mi dolse, altri si dole;

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E dolendo addolcisce il mio dolore;

Ond' io ringrazio Amore

Che più nol sento; ed è non men che suole.

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O riposto mio bene; e quel che segue:
Or pace or guerre or tregue,

Mai non m' abbandonate in questi panni.
De' passati miei danni piango e rido;

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Perchè molto mi fido in quel ch' i' odo.
Del presente mi godo, e meglio aspetto;
E vo contando gli anni, e taccio, e grido;
E'n bel ramo m'annido, ed in tal modo,
Ch'i' ne ringrazio e lodo il gran disdetto,
Che l'indurato affetto al fine ha vinto,
E nell' alma dipinto i' sare' udito,
E mostratone a dito; ed hanne estinto.
Tanto innanzi son pinto,

Ch'i' il pur dirò: non foştu tanto ardito.
Chi m'ha'l fianco ferito, e chi 'l risalda,
Per cui nel cor via più che 'n carte scrivo;
Chi mi fa morto e vivo;
Chi'n un punto m' agghiaccia e mi riscalda.

Questa Canzone (che che se ne fosse la causa) è scritta a bello studio in maniera che ella non s'intenda. Per tanto a noi basterà d' intenderne questo solo; e io non mi affannerò di ridurla in chiaro a dispetto del proprio autore. Il Benbo disse che era questa una filza di proverbj senza soggetto continuato, del genere di quelle che gli antichi chiamavano frottole; il Castelvetro la credè una canzone proverbio

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sa, ma di concetti ordinati, e riguardanti l'amor di Laura, e in questa veduta si diede ad interpretarla: il Lelio opinò ch'ella fosse tutta allusiva alla Corte Papale; altri finalmente pensarono che vi si parli del ritiro del Poeta da Avignone in Valchiusa, toccando e di sè medesimo e di Laura e della Corte insieme. Sia comunque, tal gergo, che non s'è finora trovato una chiave per penetrarlo.

MADRIGALE III.

Allegoricamente descrive le circostanze del suo dolce innamoramento.

Nova angeletta sovra l' ale accorta

Scese dal cielo in sulla fresca riva
Lå ond' io passava sol per mio destino.
Poi che senza compagna e senza scorta
Mi vide, un laccio che di seta ordiva,
Tese fra l'erba ond' è verde il cammino.
Allor fui preso; e non mi spiacque poi;
Si dolce lume uscia degli occhi suoi.

me,

Verso 1. Nova. Mirabile. Di fordi natura, non più veduta fra noi. Sovra l'ale accorta. Modo di dire significativo dell' avvedimento e della prontezza della spirito di Laura rappresentata sotto figura di angeletta, e però alata. 2. In su la fresca riva. Di Sorga. Ovvero intende generalmente le campagne e i luoghi abitati o frequentati da Laura, o pur

questo mondo, questa vita. - 3. Là
onde, cioè per dove, per la qual riva,
io, per mio destino, passava solo.
4. Compagna. Compagnia. Scorta.
Guida. 6. Ond' è. Della quale, per
la quale, era.-7. Fui preso. Cioè,
al laccio tesomi da quella angeletta,
il
quale significa le bellezze e le virtù
di Laura. Non mi spiacque poi. Di
essere stato preso.

Ama,

SONETTO LXXI.

teme, e vorrebbe fuggire dagli occhi di Laura, che poi vede da per tutto.

Non veggio ove scampar mi possa omai:
Si lunga guerra i begli occhi mi fanno,
Ch' io temo, lasso, no 'l soverchio affanno
Distrugga 'l cor, che triegua non ha mai.
Fuggir vorrei; ma gli amorosi rai,

Che di e notte nella mente stanno,
Risplendon si, ch' al quintodecim' anno
M' abbaglian più che'l primo giorno assai:
E l'immagini lor son si cosparte,

Che volver non mi posso ov' io non veggia
O quella o simil, indi accesa, luce.

Solo d'un lauro tal selva verdeggia,
Che 'l mio avversario con mirabil arte
Vago fra i rami, ovunque vuol, m'adduce.

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Verso 1. Ove scampar mi possa. Dove io mi possa salvare. Dove salvarmi.3-4. No'l soverchio affanno Distrugga'l cor. Cheil troppo affanno non disfaccia, non uccida, non riduca al niente il mio cuore. 5. Gli amorosi rai. Cioè gli occhi di Laura. 6. Nella mente. Nella mia mente. 9. Si cosparte. Si fattamente sparse per ogni dove. 10. Volver. Volgere. Ov'io non veggia. In parte alcuna nella quale io non vegga. Da niun lato sicchè io non vegga. 11. O la luce di quegli occhi, o altra luce simi

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le, accesa e derivata da quella.
12. Un lauro solo, cioè Laura, pro-
duce una tal selva, cioè ha tante im-
magini e somiglianze di se. Tante im-
magini di Laura, tante cose atte a rap-
presentarmela al pensiero, alla fanta-
sia, sono sparse dintorno. 43. Il
mio avversario. Amore. 14. Do-
vunque gli piace, in qual si sia luogo,
conduce tra i rami della detta selva
me vago, cioè vagante, errante. Vuol
dire in qual si sia luogo e occasione
mi riduce alla mente, mi suscita nella
fantasia, la immagine di Laura.

il

SONETTO LXXII.

Volgesi lieto a salutar quel terreno dove Laura cortese lo salutò.

Avventuroso più d'altro terreno,

Ov' Amor vidi già fermar le piante,
Ver me volgendo quelle luci sante,
Che fanno intorno a sè l'aere sereno;
Prima poria per tempo venir meno

Un'immagine salda di diamante,
Che l'atto dolce non mi stia davante,
Del qual ho la memoria e 'l cor si pieno:
Nè tante volte ti vedrò giammai,

Ch'i' non m'inchini a ricercar dell' orme
Che 'l bel piè fece in quel cortese giro.
Ma se'n cor valoroso Amor non dorme,
Prega, Sennuccio mio, quando 'l vedrai,
Di qualche lagrimetta o d'un sospiro.

cioè

Verso 1. D'altro. D'ogni altro. - 2. Quello dove io vidi Amore, cioè Laura, fermare il passo; ovvero, dove io vidí Amore fermar le piante, passo, di Laura. 1 5. Poria. Potrebbe. Per tempo. Per lunghezza di tempo. Per corso di tempo. Venir meno. Consumarsi. Disfarsi.-6. Salda. Solida.-7. Che. Prima, dico, che egli avvenga che. L'atto dolce. Di Laura, detto di sopra. Cioè l'atto di fermarsi e volgere uno sguardo al Poeta. -9. Ti vedrò. Segue a parlare a quel terreno. 41. Giro. Cioè tratto, spa

zio, circuito di terreno. Ovvero significa il movimento degli occhi o della persona di Laura in quella occasione. -12. Valoroso. Nobile, egregio, quale è quello di Laura.-13. Prega. Pregalo, cioè prega il cuor di Laura, che viene a dire: prega Laura. Un medesimo pronome, cioè il pronome il, espresso in questo verso una volta sola, cioè davanti a vedrai, serve in un tempo a due verbi, cioè alla voce vedrai ed alla voce prega. Sennuccio mio. Sennuccio Del Bene, nome di un amico del Poeta.

SONETTO LXXIII.

Se Amore lo turba, si ra serena pensando agli occhi e alle parole di Laura.

Lasso, quante fiate Amor m'assale,

Che fra la notte e 'l di son più di mille,

Torno dov' arder vidi le faville

Che 'l foco del mio cor fanno immortale.

Ivi m'acquelo: e son condotto a tale,

Ch' a nona, a vespro, all' alba ed alle squille
Le trovo nel pensier tanto tranquille

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