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dubbia, della onestà de' miei desiderj.
Sa,nol crede. Non solamente crede, ma
sa.- - 6-7. Quello stesso ch'or per
me si vole, Sempre si volse. I miei
desiderj furono sempre così onesti
come sono ora. Per vale da, volse
sta per volle. 4. Tornando a me.
In sogno o in visione.
42. Al por

giù di questa spoglia. Al mio par tir di questo corpo. Nell' ora della mia morte. Por giù vale deporre. 13. Per me. Verso me. Incontro a me. Per condurmi in cielo. Con quella gente nostra. Vuol dir colle anime degli amanti onesti.

SONETTO LXI.

Videla in immagine quale spirito celeste. E' voleva seguitarla: ed ella spari.
Vidi fra mille donne una già tale,

Ch' amorosa paura il cor m'assalse,
Mirandola in immagini non false
Agli spirti celesti in vista eguale.
Niente in lei terreno era o mortale,

Siccome a cui del ciel, non d'altro, calse.
L'alma, ch' arse per lei si spesso ed alse,
Vaga d'ir seco, aperse ambedue l'ale.
Ma tropp' era alta al mio peso terrestre:
E poco poi m' usci 'n tutto di vista;

Di che pensando, ancor m'agghiaccio e torpo.
O belle ed alte e lucide fenestre

Onde colei che molta gente attrista

Trovò la via d'entrare in si bel corpo!

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Gli sta si fisa nel cuore e negli occhi, ch'e' giunge talvolta a crederla viva.

Tornami a mente, anzi v'è dentro, quella
Ch'indi per Lete esser non può sbandita,
Qual io la vidi in su l' età fiorita,
Tutta accesa de' raggi di sua stella.
Si nel mio primo occorso onesta e bella

Veggiola in se raccolta e si romila,,

Ch'i' grido: ell' è ben dessa; ancora è in vita:
E 'n don le cheggio sua dolce favella.

Talor risponde e talor non fa motto.

I', com' uom ch' erra e poi più dritto estima,
Dico alla mente mia: tu se' 'ngannata":
Sai che 'n mille trecento quarantolto,
Il di sesto d'aprile, in l'ora prima,
Del corpo uscio quell' anima beata.

Verso 2. Indi. Cioè dalla mia men-
te. Lete. Fiume dell' obblivione.
3. Qual. Dipende dalle parole tor-
nami a mente. - 4. Cicè tutta splen-
dente dei raggi della stella di amore
che è l'astro di Venere, creduto aver
forza e signoria sopra le persone amo-
rose.-5. Si. Tanto. Nel mio primo
occorso. Nel mio primo scontrarla
colla immaginazione. Ovvero, quale
io la vidi la prima volta in su l'età

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fiorita. 8. Cheggio. Chiedo. Sua
dolce farella. Qualche sua parola.
Che mi faccia udir la sua voce.
10. Più dritto estima. Più diritta-
mente, veramente, sanamente, giudi-
ca. Riconosce il vero.
gannata. T inganni.

11. Se' 'n

12. Che 'n

mille trecento quarantotto. Che nell'anno mille trecento quarantotto.13. In l'ora. Nell'ora.— -14. Uscio. Uscì.

SONETTO LXIII.

Natura, oltr'al costume, riunì in lei ogni bellezza, ma fecela tosto sparire.

Questo nostro caduco e fragil bene,

Ch'è vento ed ombra ed ha nome beltate,
Non fu giammai, se non in questa etate,
Tutto in un corpo; e ciò fu per mie pene.
Che natura non vol, nè si convene,

Per far ricco un, por gli altri in povertate:
Or verso in una ogni sua largitate:
Perdonimi qual è bella, o si tene.
Non fu simil bellezza antica o nova;
Nè sarà, credo; ma fu si coverta,
Ch' appena se u'accorse il mondo errante.
Tosto disparve: onde 'l cangiar mi giova
La poca vista a me dal cielo offerta
Sol per piacer alle sue luci sante.

Verso 4. Ciò. Che esso nella nostra età si trovasse tutto in un corpo. -5. Che. Perocchè. Si riferisce alle parole non fu giammai tutto in un corpo. Vol. Vuole. 7. Or. Ma

questa volta. Versò. Cioè la Natura. In una. Cioè in Laura. Largitate. Liberalità. 8. Qual. Qualunque donna. Si tene. Si tiene, cioè si reputa, bella. 9-10. Non ci cbbe

mai al mondo, o vogliasi ai tempi moderni o vogliasi in antico, e non ci avrà, credo, mai, una bellezza simile a questa (cioè alla bellezza di Laura): ma ella visse si ritirata e nascosta. Coverta sta per coperta.-12-14.Onde 'l cangiar mi giova La poca vista a me dal ciclo offerta Sol per

piacer alle sue luci sante. Onde, cioè per essere sparita dal mondo quella bellezza, io sono contento di venir perdendo per la età la debole e imperfetta vista che il Cielo mi avea conceduta acciò solamente che io vedessi gli occhi di Laura, e procacciassi di piacer loro.

SONETTO LXIV.

Disingannato dall' amor suo di quaggiù, rivolgesi ad amarla nel cielo.

O tempo, o ciel volubil, che fuggendo
Inganni i ciechi e miseri mortali ;
O di veloci più che vento e strali,
Or ab esperto vostre frodi intendo.
Ma scuso voi, e me stesso riprendo :
Che natura a volar v'aperse l' ali;

A me diede occhi: ed io pur ne' miei mali
Li tenni; onde vergogna e dolor prendo.

E sarebbe ora, ed è passata omai,

Da rivoltarli in più secura parte,

E poner fine agl' infiniti guai.

Nè dal tuo giogo, Amor, l'alma si parte,
Ma dal suo mal; con che studio, tu 'l sai:
Non a caso è virtute, anzi è bell' arte.

-

Verso 1. Volubil. Girevole. Rotante. 2. I ciechi e miseri mortali. Che non si accorgono del vostro fuggir così ratto, e par che si aspettino di avere a viver sempre.4. Ab esperto. Per esperienza. Per prova.— 7-8. Pur ne' miei mali Li tenni. Vuol dire: non attesi ad altro che a cose nocevoli all' anima mia. Pur vale solamente.-10. Vuol dire: di pensare agli affari della salute eterna.—

44. Poner. Porre. 12. L' alma. L' alma mia. 15-14. Ma solo si parte da Laura; e questo ancora, tu sai con che studio ella il fa, cioè sai che ella non si parte da Laura per alcuna propria diligenza o per alcuno sforzo, ma per necessità e per caso, cioè per esser colei partita dal mondo. Or la virtù non si acquista già per caso, ma per volontà e per disciplina.

SONETTO LXV.

Ben a ragione e'tencasi felice in amarla, se Dio se la tolse come cosa sua.

Quel che d'odore e di color vincea

L'odorifero e lucido oriente,

Frutti, fiori, erbe e frondi; onde 'l ponente
D'ogni rara eccellenzia il pregio ávea;

ro.

Dolce mio lauro, ov' abitar solea

Ogni bellezza, ogni virtute ardente,
Vedeva alla sua ombra onestamente
Il mio Signor sedersi e la mia Dea.
Ancor io il nido di pensieri eletti

Posi in quell' alma pianta; e 'n foco e 'n gelo
Tremando, ardendo, assai felice fui.
Pieno era 'l mondo de' suoi onor perfetti;
Allor che Dio, per adornarne il cielo,
La si ritolse: e cosa era da lui.

Verso 1. Quel. Quel dolce mio lau

Veggasi il verso quinto. - 2. Odorifero. Perchè i paesi orientali produsono copia grande e squisite qualità di odori. Lucido. Perchè dalle parti dell'oriente viene il giorno,-3. Frutti, fiori, erbe, e frondi. Cioè dell' orien

Ei sol,

te. Dipende da vincea. Il ponente. Essendo nata Laura in paese occidentale. — 4. Il pregio. Il maggiore, il primo, il principal vanto.-8. Il mio signor. Amore. La mia Dea. Laura. — 14. La si ritolse. Se la riprese. Cosa era da lui. Era cosa da lui, cioè degna del cielo.

SONETTO LXVI.

che la piange, e'l cielo, che la possiede, la conobbero mentre visse.

Lasciato hai, Morte, senza sole il mondo
Oscuro e freddo, Amor cieco ed inerme,
Leggiadria ignuda, le bellezze inferme,
Me sconsolato ed a me grave pondo;
Cortesia in bando ed onestate in fondo:

Dogliom' io sol, nè sol ho da dolerme;
Che svelt' hai di virtute il chiaro germe.
Spento il primo valor, qual fia il secondo?
Pianger l'aer e la terra e 'l mar devrebbe

L'uman legnaggio, che, senz' ella, è quasi
Senza fior prato, o senza gemma anello.
Non la conobbe il mondo mentre l'ebbe:
Conobbil' io, ch' a pianger qui rimasi,
E 'l Ciel, che del mio pianto or si fa bello.

Verso 4. Ed a me grave pondo.
E grave peso a me stesso.-6. Nè sol.
Nè solo io. Ho da dolerme. Ho cagion
Ai dolermi.-7. Che. Perocchè. Svel-
thai. Haisvelto.-9. Pianger. Com-

piangere. Devrebbe. Dovrebbe.-14.E 'l Ciel. E conobbela il Cielo. Del mio pianto. Per la cagione del mio pianto, che è la morte di Laura, volata a far bello il cielo.

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SONETTO LXVII.

Si scusa di non averla lodata com' ella merita, perchè gli era impossibile.

Conobbi, quanto il Ciel gli occhi m'aperse,
Quanto studio ed Amor m'alzaron l' ali,
Cose nove e leggiadre, ma mortali,
Ch 'n un soggetto ogni stella cosperse.
L'altre tante, si strane e si diverse
Forme altere, celesti ed immortali,
Perchè non furo all' intelletto eguali,
La mia debile vista non sofferse.
Onde quant' io di lei parlai nè scrissi,
Ch'or per lodi anzi a Dio preghi mi rende,
Fu breve stilla d'infiniti abissi:

Che stilo oltra l'ingegno non si stende;

E per aver uom gli occhi nel Sol fissi,
Tanto si vede men, quanto più splende.

Versi 1-2. Quanto. Per quanto. In quanto.-4. Che. Accusativo. Le quali cose. In un soggetto ogni stella cosperse. Tutte le stelle, tutti i cieli, cosparsero, cioè congiuntamente sparsero, posero, in un soggetto solo, cioè in Laura.-5-6. Vuol dir le bellezze spirituali ed immortali di Laura.-7. All'intelletto eguali. Cioè atte ad esser comprese dal mio intendimento.

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9. Nè. O. E.-10. Che. Dipende da
lei, che sta nel verso antecedente. Per
lodi anzi a Dio preghi mi rende. Mi
contraccambia le lodi che io le porsi,
pregando per me innanzi a Dio.
11 Breve. Picciola.
- - 12. Perocchè
lo stile, la penna, non può più di quello
che portano le facoltà dell'ingegno. -
13. Per aver uom. Per quanto uno ab.
bia, tenga.-14. Splende. Cioè il sole.

SONETTO LXVIII.

La prega di consolarlo almen con la dolce e cara vista della sua ombra.

Dolce mio caro e prezioso pegno,

Che natura mi tolse e 'l Ciel mi guarda,
Deh come è tua pietà ver me si tarda,
O usato di mia vita sostegno?

Già suo' tu far il mio sonno almen degno
Della tua vista, ed or sostien ch' i' arda
Senz'alcun refrigerio : e chị 'l ritarda?
Pur lassù non alberga ira nè sdegno;
Onde quaggiuso un ben pieloso core

Talor si pasce degli altrui tormenti,

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