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E non so s' io mi speri

Vederla anzi ch' io mora;

10

Però ch' ad ora ad ora

S'erge la speme, e poi non sa star ferma,

Ma ricadendo afferma

Di mai non veder lei che 'l Ciel onora,
Ove alberga onestate e cortesia,

E dov' io prego che 'I mio albergo sia.

Verso 1. Queste parole son dette per modo di parentesi, - 9. S' io mi speri. Se io debba sperare.-10. Anzi che. Prima che.. Perocchè tratto tratto. - 14. Di mai non veder lei.

Canzon, s' al dolce loco

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15

Che io non vedrò mai più colei. Che. Accusativo. 15. Ove. Nella quale. -16. E nella quale, cioè nell'animo della quale, io prego il Cielo che mi conceda di abitare.

La Donna nostra vedi,
Credo ben che tu credi

Ch'ella ti porgerà la bella mano,
Ond' io son si lontano.

Non la toccar; ma reverente a' piedi
Le di ch' io sarò là tosto ch'io possa,

O spirto ignudo, od uom di carne e d' ossa.

Verso 1. Al dolce loco. Nel dolce luogo. Intende semplicemente del luogo dove era Laura. - 5. Onde. Dalla qual 6. A' piedi. Stando a' piedi

mano.

di Laura. 7. Le di. Dille. Tosto
ch' io possa. Subito che io potrò.
8. O in anima sola, cioè morto, o in
corpo e in anima, cioè vivo.

SONETTO XXIV.

Si lagna del velo e della mano di Laura, che gli tolgon la vista de' suoi begli occhi.

Orso, e' non furon mai fiumi, nè stagni,

Nè mare, ov' ogni rivo si disgombra;

Nè di muro o di poggio o di ramo ombra;
Nè nebbia, che 'l ciel copra, e 'l mondo bagni;
Né altro impedimento, ond' io mi lagni,

Qualunque più l'umana vista ingombra,
Quanto d'un vel che due begli occhi adombra,
E par che dica: Or ti consuma e piagni.
E quel lor inchinar, ch' ogni mia gioia
Spegne, o per umiltate o per orgoglio,

Cagion sarà che 'nanzi tempo i' moia.
E d'una bianca mano anco mi doglio,

Ch' è stata sempre accorta a farmi noia,
E contra gli occhi miei s'è fatta scoglio.

Verso 1. Orso. Parla ad uno di no-
me Orso, che fu conte dell'Anguillara.
E'. Egli. Qui è parola riempitiva.
2. Si disgombra. Si scarica.-5-7.In
somma non fu mai al mondo nessun
ostacolo, fra tutti quelli che maggior
mente impediscono la nostra vista, del
quale io mi lagnassi tanto, quanto mi

lagno di un velo.

8. Struggiti pure

e piangi di desiderio e di dolore.
9. Lor, Di quegli occhi. Inchinar.
Chinarsi. - 10. O per umiltate o per
orgoglio. Dipende dal verbo inchinar
del verso precedente. 13. Accoria.
Desta e ingegnosa. Noia. Dispiacere.
- 14. S'è fatta. È divenuta.

SONETTO XXV.

Rimproverato di aver tanto differito a visitarla, ne adduce le scuse.

lo temo si de' begli occhi l'assalto,

Ne' quali Amore e la mia morte alberga,
Ch'i' fuggo lor come fanciul la verga;
E gran tempo è ch'io presi 'I primier salto.
Da ora innanzi faticoso od alto

Loco non fia, dove 'l voler non s'erga,
Per non scontrar chi i miei sensi disperga,
Lassando, come suol, me freddo smalto.
Dunque s'a veder voi tardo mi volsi,

Per non ravvicinarmi a chi mi strugge,
Fallir forse non fu di scusa indegno.
Più dico; che 'I tornare a quel ch' uom fugge,
E 'l cor che di paura tanta sciolsi,
Fur della fede mia non leggier pegno.

Il Poeta si scusa con Laura di essere stato lungo tempo senza visitarla.

Verso 1. Si. Talmente. - 3. Lor. Quelli, cioè i detti occhi. 4. Ch'io presi 'l primier salto. Che ho cominciato a fuggirli. 5-8. E da ora innanzi per non incontrarmi con quello che disperge i miei sensi, cioè mi tolie l'uso dei sensi, lasciandomi stupido come un sasso, cioè per non incontrar quegli occhi, m' inerpicherò ancora, a un bisogno, su per qualunque luogo più difficile ed alto. Cioè

fuggirò sempre quegli occhi a tutto po-
tere.-9. Voi. Voi, Laura. Tardo mi
volsi. Tardi sono tornato.-14. Que-
sto non è stato forse un mancamento
indegno di scusa. — 12. Più dico. E
dico di più. Che 'l tornare. Come ho
fatto io. Ch' uom fugge. Che si fugge.
Che si teme. Che io fuggiva.
45. E
l'avermi io, per tornare a vedervi, di-
scacciata dal cuore quella tanta paura
che io aveva degli occhi vostri.
14. Sono stati non piccolo segno della
mia costanza in amarvi.

SONETTO XXVI.

Quando Laura parte, il cielo tosto si oscura, ed insorgono le procelle.

Quando dal proprio sito si rimove

L'arbor ch' amò già Febo in corpo umano,
Sospira e suda all'opera Vulcano,

Per rinfrescar l'aspre saette a Giove;
Il quale or tona, or nevica ed or piove,
Senza onorar più Cesare che Giano;
La terra piagne, e 'l Sol ci sta lontano
Che la sua cara amica vede altrove.
Allor riprende ardir Saturno e Marte,
Crudeli stelle; ed Orione armato
Spezza a' tristi nocchier governi e sarte.
Eolo a Nettuno ed a Giunon, turbato,
Fa sentire, ed a noi, come si parte
Il bel viso dagli angeli aspettato.

Versi 1-2. Quando il Lauro, cioè
Laura, si parte dal suo luogo. La so-
stanza di questo Sonetto e del susse-
guente, chè tutti e due, come ancora
quello che viene appresso, hanno le me-
desime rime, si è che mentre Laura è
lontana, l'aria è turbata e tempestosa,
e che ella si racquieta e si rasserena
quando quella ritorna. 3. All' ope-
ra. Al lavoro.-4. Rinfrescar. Kin-
novare. L'aspre saette. I fulmini.
6. Senza aver più rispetto al mese di
luglio, chiamato così dal nome di Giu-

ar.

lio Cesare, che a quel di gennaio, detto
dal nome di Giano.-7. Ci sta lonta-
no. Sta lontano da noi. - 8. La sua
cara amica. Dafne, cioè Laura.
10 Crudeli stelle. Pianeti di maligno
influsso. Orione. Costellazione, chia-
mata da Virgilio nembosa, e da Orazio
infesta ai navigatori. Armato. Di tem-
peste.-11. Tristi. Miseri. Governi.
Timoni.-12-14. I venti fanno sen-
tire al mare,
all'aria ed a noi che il bel
viso di Laura, aspettato in cielo dagli
angeli, si parte di qua.

SONETTO XXVII.

Al ritorno di Laura, si rasserena il cielo, e si ricompone in placida calma.

Ma poi che 'l dolce riso umile e piano

Più non asconde sue bellezze nove;
Le braccia alla fucina indarno move
L'antiquissimo fabbro siciliano:
Ch'a Giove tolte son l'arme di mano
Temprate in Mongibello a tulle prove;
E sua sorella par che si rinnove

Nel bel guardo d' Apollo a mano a mano.
Del lito occidental si muove un fiato

Che fa securo il navigar senz' arte

E desta i fior tra l'erba in ciascun prato.
Stelle noiose fuggon d'ogni parte,

Disperse dal bel viso innamorato,
Per cui lagrime molte son già sparte.

Verso 1. Poichè. Quando. Riso. Volto. 2. Nove. Mirabili. Senza pari. 3-4. Vulcano si affatica indarno. Cioè, il lavoro dei fulmini è vano. - 5. Che. Perocchè. -6. In Mongibello. Nell' Etna. 7-8. E pare che la sorella di Giove, cioè Giunone, che significa l'aria, si rinnovi a poco a poco, cioè si ristori, si rifaccia,

ai raggi del sole; che vuol dire che l'aria si rasserena.-9. Del lilo occi dental. Da ponente. Un fiato. Un venticello. 10. Senz' arte. Eziandio senz'arte. Senza che vi bisogni usar l'arte.-12. Noiose. Maligne. D'ogni. Da ogni. 15. Innamorato. Amoroso. Che innamora. 14. Son già sparte. Sono state sparse.

SONETTO XXVIII.

Infintantochè Laura è assente, il cielo rimane sempre torbido ed oscuro.

Il figliuol di Latona avea già nove
Volte guardato dal balcon sovrano

Per quella ch' alcun tempo mosse in vano
I suoi sospiri, ed or gli altrui commove.
Poi che cercando stanco non seppe ove

S'albergasse, da presso o di lontano;
Mostrossi a noi qual uom per doglia insano,
Che molto amata cosa non ritrove.
E cosi tristo standosi in disparte,

Tornar non vide il viso che laudato
Sarà, s'io vivo, in più di mille carte.
E pietà lui medesmo avea cangiato,
Si che i begli occhi lagrimavan parte:
Però l'aere ritenne il primo stato.

Versi 1-2. Il Sole si era già nove volte affacciato all'oriente, cioè levato. -3-4. Per quella. Per cercar quella, cioè Dafne, che qui è tutt' uno con Laura. Ch'alcun tempo mosse in vano I suoi sospiri. Per la quale già, un tempo, egli sospirò in vano. Gli altrui.

Quelli di un altro. Cioè i miei. - 6. Da presso o di lontano. Se vicino o lontano. Laura passava tutto giorno in casa di un suo parente infermo, e però il Sole non la poteva vedere.-7. Insano. Uscito di senno. 8. Mollo amata cosa. Cosa molto amata.-9. E

cosi. E però. In disparte. Cioè coperto di nuvole. -10. Tornar non vide il viso. Non si accorse quando Laura tornò fuori.-12. Lui medesmo. Ancor lui. Intendi il bel viso. Avea cangiato. Cioè

re.

fatto mesto: perocchè l'infermo era morto.-13. I begli occhi. Di Laura. Parte. Intanto. Insieme. 14. Cioè: restò annuvolato come era prima che Laura tornasse fuori.

SONETTO XXIX.

Alcuni piansero i loro stessi nemici, e Laura nol degna neppur d'una lacrima.

Quel ch'in Tessaglia ebbe le man si pronte
A farla del civil sangue vermiglia,

Pianse morto il marito di sua figlia,
Raffigurato alle fattezze conte:
E'l pastor ch'a Golia ruppe la fronte,
Pianse la ribellante sua famiglia,
E sopra 'l buon Saul cangiò le ciglia;
Ond' assai può dolersi il fiero monte.
Ma voi, che mai pietà non discolora,

E ch'avete gli schermi sempre accorti
Contra l'arco d' Amor, che 'ndarno tira:
Mi vedete straziare a mille morti;

Nè lagrima però discese ancora
Da' be' vostr' occhi; ma disdegno ed ira.

Verso 1. Quel. Intendi Giulio Cesa

2. Farla. Cioè la Tessaglia. 3. Il marito di sua figlia. Pompeo, che era suo genero. —4. Raffigurato. Riconosciuto. Alle fattezze. Della sua testa, mandata a Cesare da Tolomeo re di Egitto. Conte. Note a esso Cesare. -5. Cioè Davide. - 6. La ribellante sua famiglia. La morte di Assalonne, suo figliuolo ribelle.-7-8. E mostrò segni di cordoglio per la morte del valoroso Saulle; a cagione del qual cordo

glio, bene ha di che dolersi l'infausto monte di Gelboe, che è il luogo dove Saulle si uccise. Accenna le imprecazioni dette da Davide a quel monte per questo caso.- -10. Gli schermi. I ripari. Accorti. Apparecchiati. Pronti. -12. A mille morti. Da mille morti. O piuttosto, fino a mille morti, con pena uguale a mille morti; come si dice straziare a morte, cioè straziare mortalmente, fino a morte, fieramente.-13. Nè lagrima però. Nè lagrima alcuna perciò.

SONETTO XXX.

È lo specchio di Laura che gli fa soffrire il duro esilio dagli occhi suoi.

Il mio avversario, in cui veder solete

Gli occhi vostri, ch' Amore e 'l Ciel onora,
Con le non sue bellezze v' innamora,

Più che 'n guisa mortal soavi e liete.

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