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Amore lo amareggia di troppo, e non può gustar più le sue rare dolcezze.

Mie venture al venir son tarde e pigre,

La speme incerta; e 'l desir monta e cresce;
Onde 'l lassar e l'aspettar m'incresce;
E poi al partir son più levi che tigre.
Lasso, le nevi fien tepide e nigre,

E 'I mar senz' onda, e per l'alpe ogni pesce;
E corcherassi 'l Sol là oltre ond' esce
D'un medesimo fonte Eufrate e Tigre;
Prima ch'i' trovi in ciò pace nè tregua,
O Amor o Madonna altr' uso impari;
Che m'hanno congiurato a torto incontra:
E s'i' ho alcun dolce, è dopo tanti amari,
Che per disdegno il gusto si dilegua.
Altro mai di lor grazie non m'incontra.

Sonetto composto in occasione poco diversa da quella che diede materia al precedente.

Verso 1. Mie venture. Le mie fortune. Cioè le grazie che io ricevo da Laura. 2. E'l desir monta e cresce. Per la speranza. 3. Onde, cioè per questo accrescimento del desiderio, mi pesa parimente l'aspettar le grazie di Laura e il lasciar d'aspettarle. 4. Son. Le mie venture. Levi. Veloci. Preste. 5. Fien. Saranno. Nigre. Nere. 6. Senz'onda. Senza ondeggiamento. Senza moto. E per l'alpe ogni pesce. E i pesci vivranno su per li

monti. - 7-8. E il Sole tramonterà in oriente. Là oltre, vuol dire verso colà, colà intorno, in quel d'intorno.

10. O Amor. O prima che Amore. Madonna. Laura. - 44. I quali, cioè Amore e Madonna, hanno congiurato a torto contro di me.- 12. E se io ho talvolta un poco di dolce, questo viene dopo tanto amaro. — 13. Per disdegno. Pel dispetto ch'io ho di aver tanto aspettato, e patito. Il gusto. Di quel dolce. Si dilegua. Si riduce a nulla.

- 14. Altre grazie di Amore e di Laura, fuorchè queste tarde e brevi che ho dette, non mi toccano mai.

BALLATA IV.

Vorrà sempre amarla, benchè non vedesse mai più i suɔi occhi, nè i suoi capelli.

Perchè quel che mi trasse ad amar prima,

Altrui colpa mi toglia,

Del mio fermo voler già non mi svoglia.
Tra le chiome dell' ôr nascose il laccio
Al qual mi strinse, Amore;

E da' begli occhi mosse il freddo ghiaccio
Che mi passò nel core

Con la virtù d'un subito splendore,

Che d'ogni altra sua voglia,

Tolta m'è poi di que' biondi capelli,

Sol rimembrando, ancor l' anima spoglia.

10

E'l volger di duo lumi onesti e belli

Lasso, la dolce vista;

Col suo fuggir m'attrista:

Ma perchè ben morendo onor s' acquista,
Per morte nè per doglia

Non vo' che da tal nodo Amor mi scioglia.

Versi 1-3. Quantunque per colpa d'altri, cioè per crudeltà di Laura, mi sia tolto quello onde ebbe origine l'amor mio, cioè la vista delle chiome e degli occhi della medesima Laura, ciò non mi rimuove dal mio fermo proponimento di amar colei. 4-5. Amore nascose tra quelle chiome d'oro il laccio al quale egli mi prese.

6. Mosse. Neutro. Venne. Il freddo ghiaccio. Il tremito e lo smarrimento dell' amore. 8. Virtù. Potenza. Splendore. Dei detti occhi. 9-10. Che anche al presente spoglia

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l'anima mia d'ogni altra sua voglia, solo che ella, cioè l'anima mia se ne ricordi, cioè si ricordi di quello splendore. 13. E'l volger. E il girare. Lumi. Occhi. 15-17. Ma siami pur tolta la vista di quelle chiome, e mi fuggano pur quegli occhi; che io per qualunque dolore ne debba ricevere, e se anche ne avessi a morire, non voglio perciò essere liberato di questo amor mio, perocchè il morire per una bella cagione è cosa onorata e gloriosa.

SONETTO XXXVIII.

Non abbia più privilegj quel Lauro, che di dolce e gentile gli si fece spietato.

L'arbor gentil che forte amai molt anni,

Mentre i bei rami non m'ebber a sdegno,
Fiorir faceva il mio debile ingegno
Alla sua ombra, e crescer negli affanni.

Poi che, securo me di tali inganni,

Fece di dolce sè spietato legno,
I'rivolsi i pensier tutti ad un segno,
Che parlan sempre de' lor tristi danni.
Che porȧ dir chi per Amor sospira,

S'altra speranza le mie rime nove

Gli avesser data, e per costei la perde?
Nè poeta ne colga mai, nè Giove

La privilegi; ed al Sol venga in ira
Tal che si secchi ogni sua foglia verde.

Verso 1. L'arbor gentil. Il lauro, cioè Laura. Forte. Grandemente. 2. Mentre. Finchè. 5. Securo me. Essendo io sicuro. Non temendo io punto. 6. Il detto albero, di cortese legno che era, si fece spietato. 7. Ad un segno. Cioè a dolermi. 8. Che. I quali pensieri.-9-11. Che potranno dire gl' innamorati gli amanti, se mai per quei versi nei quali io significava la benignità di Laura, avessero concepita qualche speranza di ricevere dalle loro donne un trat

tamento diverso da quello che oggi è fatto a me dalla mia, ed ora, sentendo la mutazione di costei, perderanno quella tale speranza? Non potranno dire altro se non quello che porta il terzetto seguente. Porà sta per potrà. 12-14. Nè Giove la privilegi. Nè Giove la faccia immune dall' esser tocca dal fulmine. Il pronome la si riferisce ad arbore, la qual voce può essere femminina e mascolina, e in questo Sonetto è femminina. Venga in ira. Diventi odiosa.

SONETTO XXXIX.

Benedice tutto ciò che fu cagione ed effetto del suo amore verso di lei.
Benedetto sia 'l giorno e'l mese e l'anno

E la stagione e 'l tempo e l'ora e 'l punto
E'l bel paese e 'l loco ov' io fui giunto
Da duo begli occhi, che legato m'hanno:
E benedetto il primo dolce affanno

Ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
E l'arco e le saette ond' io fui punto,
E le piaghe ch' infin al cor mi vanno.
Benedette le voci tante ch' io,

Chiamando il nome di mia Donna, ho sparte,
E i sospiri e le lagrime e 'l desio;

E benedette sien tutte le carte

Ov'io fama le acquisto, e 'l pensier mio,
Ch'è sol di lei, si ch'altra non v' ha parte.

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SONETTO XL.

Avvedutosi delle sue follie, prega Dio che lo torni ad una vita migliore.

Padre del Ciel, dopo i perduti giorni,
Dopo le notti vaneggiando spese

Con quel fero desio ch' al cor s'accese
Mirando gli atti per mio mal si adorni;
'Piacciati omai, col tuo lume, ch' io torni
Ad altra vita ed a più belle imprese;
'Si ch' avendo le reti indarno tese,

Il mio duro avversario se ne scorni.
Or volge, Signor mio, l' undecim' anno.
Ch'i' fui sommesso al dispietato giogo,
Che sopra i più soggetti è più feroce.
Miserere del mio non degno affanno;

Riduci i pensier vaghi a miglior luogo;
Rammenta lor com' oggi fosti in croce.

Verso 4. Mirando. Mirando io. Pel mirar che io feci. Per avere io mirato.

Dipende dalle parole s'accese. Gli atti. I sembianti di Laura. Adorni. Vaghi. – 3. Piacciali omai, col tuo lume. Piacciati omai di fare colla tua grazia. -7-8. Sicchè il diavolo resti confuso e scornato di avermi tese le reti inva- 9. Volge. Finisce. Era l'anniversario della morte di Cristo e del

no.

l'innamoramento del Poeta.-10.Sommesso. Sottoposto. Giogo. D'Amore.-14. Vuol dir che Amore è più crudele verso quelli che lo servono più devotamente e con più fede.-12. Miserere. Abbi misericordia. Non degno. Non meritato da me, o non conveniente all'esser mio, ovvero procedente da cose vane. -13. Vaghi. Erranti. Luogo. Via. Oggetto.

BALLATA V.

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14. Come. Che.

Prova che la sua vita è nelle mani di Laura, da che potè dargliela con un saluto.

Volgendo gli occhi al mio nuovo colore,
Che fa di morte rimembrar la gente,
Pietà vi mosse; onde, benignamente
Salutando, teneste in vita il core.
La frale vita ch' ancor meco alberga,
Fu de' begli occhi vostri aperto dono
E della voce angelica soave.

Da lor conosco l'esser ov' io sono ;
Che, come suol pigro animal per verga,
Cosi destaro in me l'anima grave.

10

Del mio cor, Donna, l'una e l'altra chiave
Avete in mano; e di ciò son contento,
Presto di navigar a ciascun vento;
Ch'ogni cosa da voi m'è dolce onore.

Verso 1. Volgendo. Volgendo voi. 2. Che riduceva a mente la morte a chi lo vedeva. Cioè, che pareva effetto di morte, che era simile al colore di un morto, 4. Salutando. Salutandomi.

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voce. Come suol. Come suol destarsi. -10. Deslaro. Destarono. Cioè susci tarono, ravvivarono. Grave. Oppres sa. Languente. - 14. L'una e l'altra chiave. La chiave dell' allegrezza e quella della tristezza. Vuol dire il Poeta che Laura può a sua voglia rallegrarlo e attristarlo, ucciderlo e tornarlo in vita.-13. Pronto a vivere in ciascuno stato che a voi piaccia di darmi. -14. Ogni cosa da voi. Ogni cosa che mi venga da voi.

1

SONETTO XLI.

Persuade Laura a non voler odiare quel core, dond' ella non può più uscire.

Se voi poteste per turbati segni,

Per chinar gli occhi o per piegar la testa,
O per esser più di altra al fuggir presta,
Torcendo 'l viso a' preghi onesti e degni,
Uscir giammai, ovver per altri ingegni,

Del petto, ove dal primo lauro innesta
Amor più rami: i' direi ben che questa
Fosse giusta cagione a' vostri sdegni:
Che gentil pianta in arido terreno

Par che si disconvenga; e però lieta
Naturalmente quindi si diparte.
Ma poi vostro destino a voi pur vieta
L'esser altrove, provvedete almeno
Di non star sempre in odiosa parte.

Verso. Per turbati segni. Per dimostrazioni di sdegno e dispetto. Con usarmi atti e maniere aspre e scortesi. 3. D'altra. Di qualunque altra. D'ogni altra. -4. A' preghi. A' miei preghi.5-8. Se voi poteste, dico, o coi sopraddetti ovvero con altri modi, uscir giammai del mio cuore, dove si moltiplicano tutto dì gli affetti verso di

voi, cioè trarmi dall'animo l'amor che io vi porto; in tal caso io confesserei che voi aveste buona ragione di trattarmi scortesemente come fate.-9. Che. Perocchè. Gentil pianta. Come siete voi. In arido terreno. Come è il mio cuore. -10-11. E però lieta Naluralmente quindi si diparte. E perciò naturalmente è volonterosa di partirsi

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