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donna schermo 1 della verità; e tanto ne mostrai in poco di tempo, che il mio segreto fu creduto sapere 2 dalle più persone che di me ragionavano. Con questa donna mi celai alquanti anni e mesi; e per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui, se non in quanto facessero 3 a trattare di quella gentilissima Beatrice; e però le lascerò tutte, salvo che alcuna cosa ne scriverò, che pare che sia lode di lei.

§. VI.

Mette il nome di Beatrice fra quello di sessanta donne le più belle di Firenze in una serventese; e non gli può dar luogo in altro numero che nel nono.

Dico che in questo tempo che questa donna era schermo di tanto amore, quanto dalla mia parte, 4 mi venne una volontà di voler ricordare il nome di quella gentilissima, ed accompagnarlo di molti nomi di donne, e spezialmente del nome di questa gentildonna: e presi i nomi di sessanta le più belle donne della cittade, ove la mia donna fu posta dall' altissimo Sire, 5 e composi una epistola sotto forma di serventese, 6 la quale io non scriverò; e non n'avrei fatto menzione, se non per dire quello che componendola maravigliosamente addivenne, cioè che in alcuno altro numero non sofferse il nome della mia donna stare, se non in sul nove, tra' nomi di queste donne.

1 Difesa, riparo. Dante celava l'amor suo per riverenza a Beatrice. Apprendano i giovani a rispett are la donna.

2 Fu creduto sapersi.

3 In quanto giovassero.

4 Per parte mia, in quanto a me.

5 Dio. Vita Nuova XXII: « Glorioso Sire. » Purg. XV, 112:

« Orando all'alto Sire in tanta guerra. » Inf. XXIX, 56. 6 Figura di componimento epistolare o satirico in terzà rima.

§. VII.

Parte colei di cui faceva difesa al suo amore: e scrive un sonetto, in cui si duole di questo; e ciò per confermare l' altrui credenza.

La donna con la quale io avea tanto tempo celata la mia volontà 1 convenne che si partisse della sopradetta cittade, e andasse in paese lontano: per che io quasi sbigottito della bella difesa che mi era venuta meno, assai me ne disconfortai più che io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che, se della sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte 2 più tosto del mio nascondere, proposi di farne alcuna lamentanza in un sonetto, il quale io scriverò, perciocchè la mia donna fu immediata cagione di certe parole, che nel sonetto sono, siccome appare a chi lo intende; e allora dissi questo sonetto: 3

O voi che per la via d'Amor passate, 4
Attendete, e guardate

S'egli è dolore alcun, quanto il mio, grave;
E priego sol ch' udirmi sofferiate:

E poi immaginate,

S'io son d'ogni dolore ostello e chiave. 5

1 La donna, finto oggetto (schermo) dell'amor suo, onde copriva il verace oggetto, cioè Beatrice.

2 Si sarebbero accorte della mia finzione. Inf. XII, 80: « Siete voi accorti ecc.? »

3 Propriamente è una ballata; ma gli antichi chiamavan rinterzati i sonetti di questa forma.

4 Geremia, Thr. I: O vos omnes, qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus.

5 L'immagine della chiave è superflua e vaga. Purg. VI, 76: « Ahi serva Italia di dolore ostello. »

Amor, non già per mia poca bontate,

Ma per sua nobiltate, 1

Mi pose in vita si dolce e soave,

Ch' io mi sentia dir dietro spesse fiate;
Deh! per qual dignitate 2

Così leggiadro 3 qrfesti lo cor have?
Ora ho perduta tutta mia baldanza, 4
Che si movea d'amoroso tesoro,
Ond' io pover dimoro, 5

In guisa che di dir mi vien dottanza. 6
Si che, volendo far come coloro,

Che per vergogna celan lor mancanza, 7
Di fuor mostro allegranza, 8

E dentro dallo cor mi struggo e ploro.

1 Non già per mio merito ma per sua grazia.

2 Per qual virtù o per qual dono.

3 Gentile, nobilmente affettuoso.

4 L'ardire o il coraggio che sentiva per la presenza della donna (amoroso tesoro) di cui si faceva schermo.

5 Mi sento misero, gramo, afflitto.

6 Timore, sospetto. Voce stantia come dotta (Inf. XXX, 110) da cui deriva.

7 Il proprio fallo o la interiore miseria.

8 Allegrezza. - Non istimi il lettore novello che Dante, o per il verso o per la rima, abbia sforzato le parole o scambiatone le desinenze, fuorchè usando delle figure comuni insieme ai poeti ed al popolo. Quindi se trova dottanza, allegranza, e poi statura per atteggiamento, e conoscia da conosciva, ed altrettali o desinenze, o forme, o sensi fuor d'uso, tenga a mente che così si favellava a' suoi dì. Questa ballata è giovanile; c'è versi di getto duro, come il quarto della seconda stanza del primo sonetto. Qui poi traspare lo stento della finzione di chi non favellando, com'è suo costume, colla lingua d'Amore, si affatica di dir pensieri che non sono nel core.

§. VIII.

Muore poco appresso un' amica della sua Beatrice,

e ne piange in due sonetti la morte.

Appresso il partire di questa gentildonna, fu piacere del Signore degli angeli 1 di chiamare alla sua gloria una donna giovine e di gentile aspetto molto, la quale fu assai graziosa in questa sopradetta cittade; lo cui corpo io vidi giacere senza l'anima in mezzo di molte donne, le quali piangevano assai pietosamente. Allora ricordandomi che già l'avea veduta fare compagnia a quella gentilissima, non potei sostenere 2 alquante lagrime; anzi piangendo mi proposi di dire alquante parole della sua morte in guiderdone di ciò che alcuna fiata l'avea veduta con la mia donna. E di ciò toccai alcuna cosa nell'ultima parte delle parole che io ne dissi, siccome appare manifestamente a chi le intende: e dissi allora due sonetti, dei quali comincia il primo: Piangete amanti; il secondo: Morte villana.

Piangete, amanti, poichè piange Amore, 3
Udendo qual cagion lui fa plorare:
Amor sente a pietà donne chiamare, 4
Mostrando amaro duol per gli occhi fuore.

Perchè villana morte in gentil core

Ha messo il suo crudele adoperare, 5

Guastando ciò che al mondo è da laudare 6

In gentil donna, fuora dell' onore.

1 L'altissimo Sire, Dio.

Ritenere, raffrenare.

3 Beatrice. Sicule Muse incominciate il pianto » Mosco; e Catullo ridendo: Lugete Veneres Cupidinesque.

4 Questo verso è un grido di dolore.

Le sue mani crudeli.

6 Gioventù e bellezza son da laudare in gentil donna dopo dell'onore; poichè « non fur giammai

« Senz'onestà mai cose belle e care. » Petrarca, p. II, s. CCIV.

Udite quant' Amor le fece orranza;

Ch' io 'l vidi lamentare in forma vera
Sovra la morta immagine avvenente.

E riguardava vêr lo ciel sovente,
Ove l'alma gentil già locata era,

Che donna fu di si gaia sembianza.

Morte villana di pietà nemica,

Di dolor madre antica,

Giudicio incontrastabile gravoso,

Poi ch' hai data materia al cor doglioso,
Ond' io vado pensoso,

Di te biasimar la lingua s'affatica.

E se di grazia ti vuoi far mendica, 3
Convenesi ch' io dica

Lo tuo fallir d'ogni torto tortoso; 4
Non però ch' alla gente sia nascoso,
Ma per farne cruccioso 5

Chi d'amor per innanzi si nutrica. 6
Dal secolo hai partita 7 cortesia,

E ciò che in donna è da pregiar, virtute

In gaia gioventute;

Distrutta hai l'amorosa leggiadria.

1 Sincope di onoranza, da onranza per assimilazione.

2 Quest' apostrofe alla morte ha concetto e sentimento biblico. Ariosto, Orlando, VII, 37: « Gli avea tronca

« L'alta necessità la vita lieta. >>

3 Vuoi mendicar grazia.

4 Reo di tutti i torti. Il prendere l'aggettivo dal sostantivo, l'avverbio dal verbo ecc. congiungendoli per addoppiare la forza, è modo della favella ebraica. Inf. I, 5: « Selva selvaggia.

5 Tristo, indignato.

6 Chi per l'avvenire vive d'amore, ama.

7 Hai allontanata dal mondo.

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