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Ma sola fu sua gran benignitate: 1
Chè luce della sua umilitate
Passò li cieli con tanta virtute,
Che fe' maravigliar l'eterno Sire
Sì che dolce desire

Lo giunse di chiamar tanta salute, 2
E fella di quaggiù a sè venire;
Perchè vedea ch' esta vita noiosa

Non era degna di sì gentil cosa.
Partissi della sua bella persona

Piena di grazia l'anima gentile,
Ed essi gloriosa in loco degno.
Chi non la piange quando ne ragiona,
Core ha di pietrà sì malvagio e vile,
Ch' entrar non vi può spirito benegno. 3
Non è di cor villan si alto ingegno,
Che possa immaginar di lei alquanto;
E però non gli vien di pianger voglia.
Ma n' ha tristizia e doglia

Di sospirare e di morir di pianto,
E d'ogni consolar 4 l'anima spoglia,
Chi vede nel pensiero alcuna volta
Qual ella fu, e com' ella n'è tolta.
Dannomi angoscia li sospiri forte,

Quando il pensiero nella mente grave
Mi reca quella che m' ha il cor diviso;
E spesse fiate pensando alla morte,
Me ne viene un desio tanto soave,
Che mi tramuta lo color nel viso.
Quando l'immaginar mi tien ben fiso,
Giungemi tanta pena d'ogni parte,

1 Bontà, pregio intrinseco di abiti virtuosi.

2 Donna così santa. « Tanta maraviglia. » V. N. XXII.

3 Benigno.

4 Consolazione.

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Che dalle genti vergogna mi parte:
Poscia, piangendo, sol nel mio lamento
Chiamo Beatrice, e dico: or se' tu morta?
E, mentre ch' io la chiamo, mi conforta.
Pianger di doglia, e sospirar d'angoscia.
Mi strugge il core, ovunque sol mi trovo.
Si che ne increscerebbe a chi 'l vedesse;
E qual'è stata la mia vita, poscia
Che la mia donna andò nel secol novo,
Lingua non è che dicer lo sapesse:
E però, donne mie, per ch' io volesse, 1
Non vi saprei ben dicer quel ch' io sono:
Si mi fa travagliar l'acerba vita,

La quale è sì invilita,

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Che ogni uom par che mi dica; io t'abbandono;
Vedendo la mia labbia 2 tramortita.

Ma qual ch' io sia, la mia donna sel vede,
Ed io ne spero ancor da lei mercede.
Pietosa mia canzone, or va' piangendo,
E ritrova le donne e le donzelle,

A cui le tue sorelle

Erano usate di portar letizia;

E tu, che sei figliuola di tristizia,
Vatten disconsolata a star con elle.

§. XXXIII.

Scrive ancora un sonetto in servigio d' un parente di lei,

quale glielo avera

chiesto per altra donna che dicea morta, tacendogli di Beatrice.

Poichè detta fu questa canzone, si venne a me uno,

1 Per quanto io volessi dire.

2 Volto, aspetto. Inf. VII, 7; Purg. XXIII, 47.

il quale secondo li gradi dell'amistà, era amico a me immediatamente dopo il primo; e questi fu tanto distretto di sanguinità con questa gloriosa, che nullo 2 più presso l'era. E poichè fu meco a ragionare, mi pregò che io gli dovessi dire alcuna cosa per una donna che s'era morta; e simulava sue parole, acciocchè paresse che dicesse d'un altra la quale morta era cortamente; 3 ond' io accorgendomi che questi dicea solo per quella benedetta, dissi di fare ciò che mi domandava il suo prego. Ond' io poi, pensando a ciò, proposi di fare un sonetto, nel quale mi lamentassi alquanto, e di darlo a questo mio amico, acciocchè paresse che per lui l'avessi fatto; e dissi allora questo sonetto:

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Venite a intender li sospiri miei,

O cor gentili, che pietà il desia;
Li quali sconsolati vanno via;

E s'e' non fosser, di dolor morrei.
Perocchè gli occhi mi sarebbon rei 4
Molte fiate più ch' io non vorria,
Lasso di pianger sì la donna mia,
Che affogherieno il cor, piangendo lei.
Voi udirete lor 5 chiamar sovente

La mia donna gentil, che se n'è gita
Al secol degno della sua virtute;

E dispregiar talora questa vita

In persona dell' anima dolente, 6
Abbandonata dalla sua salute.

1 Consanguineo, fratello di Beatrice. Commento.

2 Niuno. Inf. V, 103. « Della prima nullo dubita. » Conv. IV, 24. 3 Di corto, di recente.

4 Gli occhi sarebbero schivi di lagrime in guisa che queste, non isfogando, affogheriano il cuore; e, se non mi recasser sollievo i sospiri, di dolor morrei.

5 Udirete i sospiri.

6 Come voce e messaggi dell' anima dolente.

§. XXXIV.

Per meglio servire all' inchiesta, e continuare lo sfogo del proprio dolore, aggiunge al sonetto due stanze d'una canzone.

Poichè detto ebbi questo sonetto, pensandomi chi questi era, cui lo intendeva dare quasi come per lui fatto, vidi che povero mi pareva lo servigio e nudo a così distretta persona di questa gloriosa. E però, anzi ch' io gli dessi questo sonetto, dissi due stanze di una canzone, l'una per costui verace mente, e l'altra per me; avvegnachè paia l'una e l'altra per una persona detta, a chi non guarda sottilmente; ma chi sottilmente le mira, vede bene che diverse persone parlano; in ciò che l'una non chiama sua donna costei, e l'altra sì, come appare manifestamente. Questa canzone e questo sonetto gli diedi, dicendo io che per lui solo fatto l'avea.

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E' si raccoglie nelli miei sospiri
Un suono di pietate,

Che va chiamando Morte tuttavia.
A lei si volser tutti i miei desiri.
Quando la Donna mia

Fu giunta dalla sua cridelitate; 1
Perchè il piacere della sua beltate, 2
Partendo sè dalla nostra veduta,
Divenne spirital bellezza grande,
Che per lo cielo spande

Luce d'Amor, che gli Angeli saluta,
E lo intelletto loro alto e sottile
Face maravigliar: tanto è gentile!

§. XXXV.

Al compiersi dell'anno dal di della morte di Beatrice,
egli ne scrive un sonetto di commemorazione.

du famiglia del texto. Surg. XV. 24

Cour. 16.20

(p 500)

In quel primo giorno, nel quale si compiea l'anno che questa donna era fatta delle cittadine di vita eterna, io mi sedeva in parte nella quale, ricordandomi di lei, disegnava un Angelo sopra certe tavolette; e mentre io 'l disegnava, volsi gli occhi, e vidi lungo me uomini a' quali si convenia di fare onore. E' riguardavano quello ch' io facea; e secondo che mi fu detto poi, essi erano stati già alquanto, anzi che io me n' accorgessi. Quando li vidi, mi

1 Morte crudele. Sostantivo (crudelitate) che contiene nel suo seno l'aggettivo e il nome. Ricorda: « Si adunino a cotale tristizia. » e: « venite da tanta pietate? » e: « mi giunse tanta umiltà di veder lei.

2 La grazia piacente che fa maravigliar lo intelletto alto e sottile degli Angeli.

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