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Sta a Voi venire a viver tra noi, provvedere alla vostra salute, compiacere i vostri amici. Mi diceste una volta che 18 francesconi al mese bastavano al vostro vivere: ebbene 18 francesconi al mese Voi avrete per un anno, a cominciare, se vi piace, dal prossimo aprile. Io passerò in vostre mani, con anticipazione da mese a mese, la somma suddetta; ma non avrò altro peso ed ufficio che passarla: nulla uscirà di mia borsa: chi dà, non sa a chi dà; e Voi che ricevete, non sapete da quali. Sarà prestito, qualora vi piaccia di rendere le ricevute somme; e sarà meno di prestito, se la occasione di restituire mancherà: nessuno saprebbe a chi chiedere; Voi non sapreste a chi rendere. Nessuna legge vi è imposta. Voglia il buon destino d'Italia che Voi, ripigliando salute, possiate scrivere opere degne del vostro ingegno; ma questa mia speranza non è obbligo vostro.

Il Leopardi accettò il pudico e liberale benefizio, e, rimettendo i ringraziamenti a pochi giorni, « per ora vi dirò solo >> , aggiunse (2 aprile), << che la vostra lettera, dopo sedici mesi di notte orribile, dopo un vivere dal quale Iddio scampi i miei maggiori nemici, è stata a me come un raggio di luce, più benedetto che non è il primo barlume del crepuscolo nelle regioni polari ». E il 29 aprile si mise in via. A Recanati ei non sarebbe tornato mai più.

XVI.

Giacomo torna a Firenze (maggio 1830).

tina dei

L'edizione fioren

Canti ». Il De Sinner. Giacomo deputato

di Recanati.

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A Roma, autunno 1831 e inverno 1832.

Ritorno a Firenze, primavera 1832.

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Dopo una breve sosta a Bologna, dopo aver passata la tourmente sugli Appennini », il 10 maggio 1830 il poeta era di nuovo a Firenze.

Vi fu accolto come un caro redivivo. « Mi trovo affollato di visite », scrive il 12 al padre, « e tutti mi fanno complimenti sulla mia buona ciera ». E il 18, alla Paolina: « Pochi mesi fa, corse voce in Italia che io fossi morto, e questa nuova destò qui un dolore tanto generale, tanto sincero, che tutti me ne parlano ancora con tenerezza, e mi dipingono

quei giorni come pieni d'agitazione e di lutto». Soggiungeva: « Giudicate quanto io debba apprezzare l'amicizia di tali persone... Scriverò presto a mamma » . E scrisse difatto,

il 28, questa lettera, ch'era rimasta finora inedita: '

Cara mamma, Sono stato ammalato del reuma che ho portato meco, nè più nè meno di quel ch'io fossi costì in quei brutti assalti ch'io ne pativa. Ora sto meglio, e ieri fui a pranzo in villa dal ministro Corsini, che manda ogni giorno a informarsi della mia salute. Ricevo la cara loro dei 18. Godo assaissimo che le febrette del papà siano cessate. Volesse Iddio che i miei mali fossero di sola fantasia perchè la mia ciera è buona. Pare impossibile che si accusi d'immaginaria una così terribile incapacità d'ogni minima applicazione d'occhi e di mente, una così completa infelicità di vita, come la mia. Spero che la morte, che sempre invoco, 2 fra gli altri infiniti beni che ne aspetto, mi farà ancor questo, di convincer gli altri della verità delle mie pene. Mi raccomandi alla Madonna, e Le bacio la mano con tutta l'anima.

3

Per consiglio degli amici, mandò in giro, con la data del luglio, un manifesto per raccogliere sottoscrizioni alla ristampa delle prime sue poesie con aggiuntevi le nuove. « Laconicamente », dichiarava al Pèpoli: «ho un bisogno grandissimo di denari, se voglio star fuori di casa: Materia da coturni e non da socchi!». Alla metà di dicembre, mercè il concorso e i buoni uffici di quanti l'amavano, ei raccolse settecento nomi, e vendette per cento e otto zecchini il suo manoscritto all'editore Piatti. Ai Canti premise la magnifica e tristissima lettera dedicatoria, che ha la data del 15 decembre, e a questa lettera i due versi del Petrarca: « La mia favola breve è già compita, E fornito il mio tempo a mezzo gli anni »>.

AGLI AMICI SUOI DI TOSCANA.

Amici miei cari, sia dedicato a voi questo libro, dove io cercava, come si cerca spesso colla poesia, di consacrare il mio dolore, e col

1 Ora è pubblicata negli Scritti vari inediti, dalle carte napoletane, Firenze, 1906, pag. 429.

2 Si ripensi alle Ricordanze: « E quando pur questa invocata morte Sarammi allato... ».

3 Fu ristampato dal Mestica tra gli Scritti letterari di G. L., vol. II, pag. 375-76.

quale al presente (nè posso già dirlo senza lacrime) prendo comiato dalle lettere e dagli studi. Sperai che questi cari studi avrebbero sostentata la mia vecchiezza, e credetti colla perdita di tutti gli altri beni della fanciullezza e della gioventù, avere acquistato un bene che da nessuna forza, da nessuna sventura mi fosse tolto. Ma io non aveva appena vent'anni, quando da quella infermità di nervi e di viscere, che privandomi della mia vita, non mi dà speranza della morte, quel mio solo bene mi fu ridotto a meno che a mezzo; poi, due anni prima dei trenta, mi è stato tolto del tutto, e credo oramai per sempre. Ben sapete che queste medesime carte io non ho potute leggere, e per emendarle m'è convenuto servirmi degli occhi e della mano d'altri. Non mi so più dolere, miei cari amici; e la coscienza che ho della gran.dezza della mia infelicità, non comporta l'uso delle querele. Ho perduto tutto: sono un tronco che sente e pena. Se non che in questo tempo ho acquistato voi: e la compagnia vostra, che m'è in luogo degli studi, e in luogo d'ogni diletto e di ogni speranza, quasi compenserebbe i miei mali, se per la stessa infermità mi fosse lecito di goderla quant' io vorrei, e s'io non conoscessi che la mia fortuna assai tosto mi priverà di questa ancora, costringendomi a consumar gli anni che mi avanzano, abbandonato da ogni conforto della civiltà, in un luogo dove assai meglio abitano i sepolti che i vivi. L'amor vostro mi rimarrà tuttavia, e mi durerà forse ancor dopo che il mio corpo, che già non vive più, sarà fatto cenere. Addio. Il vostro Leopardi.

Cedette anche al filologo svizzero Luigi De Sinner, ch'era venuto a conoscerlo in Firenze, tutti i suoi manoscritti filologici, perchè trovasse il modo di redigerli, completarli e farli pubblicare in Germania: quel valentuomo, narrava Giacomo alla sua cara Pilla (15 novembre 1830), lo aveva < trombettato in Firenze per tesoro nascosto, per filologo superiore a tutti i filologi francesi », e prometteva di così trombettarlo per tutta l'Europa. Dalla stampa di quelle schede, che gli eran costate « lavori immensi », a Giacomo si lasciavano sperare « danari e un gran nome ». Ma al De Sinner non fu possibile mettere insieme con quegli appunti se non un volumetto di Excerpta ex schedis criticis Jacobi Leopardi, che fu edito a Bonn nel Museo Renano, e poi a parte, il 1834, con piccolo e tardivo vantaggio finanziario. Comunque, del proemio pieno di benevolenza e dei criterii onde la scelta fu fatta il Leopardi si mostrò molto grato al suo « carissimo e prezioso amico ». E dell' immutabile ed operoso affetto di quest' altro dotto straniero verso il nostro grande infelice, non dobbiamo ch'essergli grati anche noi, e

benedirne la memoria. 1 Il Saggio sugli errori popolari degli antichi Giacomo avrebbe desiderato « venderlo tal qual è in anima e in corpo, cioè anche per il nome », convinto com'era che da quel libro non gli potesse venire onore alcuno. ?

Intanto, nel marzo del 1831, la piccola patria aborrita gli dava una solenne testimonianza di stima. Radunato, per invito del Governo provvisorio di Macerata e provincia, il Consiglio comunale, il 19 di quel mese (e tra i consiglieri era anche il conte Monaldo), per eleggere il deputato distrettuale da spedire all'Assemblea Nazionale di Bologna, « sentito il desiderio unanime dei signori consiglieri» il gonfaloniere proponeva il conte Giacomo; e, «non ostante la ripetuta generale acclamazione», portata la scelta allo scrutinio segreto, « per la completa sua legalità », essa« ottenne ventuno voti favorevoli, nessun voto contrario ». Ma Giacomo rimase deputato, com' a dire, in partibus; giacchè l'assemblea era convocata pel 20, e il 21 in Bologna erano entrati gli Austriaci ! 3

Il 19 maggio, « il suo tenero Giacomo poteva vantarsi col padre di stare « straordinariamente bene per la straordinaria bontà della stagione, che da tre mesi e mezzo era

1 Cfr. le lettere di Giacomo al De Sinner, da Napoli, 25 gennaio e 6 aprile 1836. Anche: D'OVIDIO, Saggi critici, pag. 652-3; e ZUMBINI, Saggi critici, Napoli 1876, p. 46-8.

2 Scriveva al De Sinner, da Firenze, il 17 febbraio 1831: « Pour ce qui est de l'Essai sur les erreurs populaires, je consentirais à le vendre même pour le nom, c'est-a-dire à ce qu'il fût publié sous le nom d'un autre; car, croyez-moi, sans le réfondre entièrement, il est impossible de le rendre capable de nous faire honneur ». E circa il 20 maggio, insisteva ancora: «Non ostante l'indulgenza colla quale voi giudicate del Saggio su gli errori popolari, io sinceramente persisto a credere che il venderlo tal qual è in anima e in corpo, cioè anche per il nome, sia il migliore, e forse il solo uso che possa farsene. E se ciò si potesse presentemente far con profitto, io ve ne pregherei. V' assicuro ch'io sono intimamente convinto che da quel libro non possa venirmi onore alcuno; e però la questione è di trarne la maggior somma possibile di danaro ».

3 Cfr. CARDUCCI, Studi, saggi e discorsi, Bologna 1898, p. 398 ss. Tra gli Scritti varii inediti di G. L., p. 453-54, sono state ora pubblicate le due caratteristiche lettere di Monaldo, 19 e 21 marzo, per persuadere Giacomo di non accettare l'onorevole ufficio.

perfetta e non interrotta primavera ». Ma, ripigliava, « nè occhi nè testa non hanno ricuperato un solo menomissimo atomo delle loro facoltà, perdute certamente per sempre ». L'estate gli giovò non poco, così che tutti gli dicevano che ei fosse « diventato come un altro ». Tuttavia l'impossibilità di applicare rimaneva sempre la stessa, così che riuscivano inutili tutti i tentativi, ch'ei pur faceva « ostinatamente ogni giorno, per leggere o scrivere ».

Il 1° d'ottobre, Giacomo partì improvvisamente, in compagnia del Ranieri, per Roma, dove giunse, « dopo un noioso e faticoso viaggio », il 5. « Mi trovo come uno straniero in questo paese », scriveva al Vieusseux, « dopo aver lungamente considerata la Toscana quasi mia patria, e questi costumi mi riescono più assurdi ch'io non credeva ». E al fratello: « Non è il minor dei dolori che provo in Roma, il vedermi quasi ripatriato tanta parte di canaglia recanatese, ignota in tutto il resto del globo, si trova in questa città ». Nel novembre, vi si ammalò; e riavutosi, cominciò a inveire contro il « pavimento infame, infernale », delle vie di Roma, e contro le enormi distanze. Il 22 dicembre, scriveva al padre: « queste distanze non fanno per me, e le carrozze o i fiacres molto meno ». Sospirava, ohimè, di tornare a Firenze; ma e dopo? Il pauroso fantasma di Recanati si riaffacciava alla fantasia sgomenta. Scrive al De Sinner, il 24:

Io tornerò certamente a Firenze alla fine dell'inverno, per restarvi tanto quanto mi permetteranno i miei piccoli mezzi, già vicini ad esaurirsi mancati i quali, l'abborrito e inabitabile Recanati mi aspetta, se io non avrò il coraggio (che spero avere) di prendere il solo partito ragionevole e virile che mi rimane.

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L'8 marzo 1832, si vede costretto a chiedere, per la prima volta, danari al padre. « Se trovassi qui danari in prestito >> soggiunge subito, « volentierissimo farei un debito piuttosto che molestarla; ma chi vorrebbe prestare a me, conosciutissimo per quel che sono? ». E il 17 replicava :

Oggi parto per Firenze. Torno a raccomandarmi a Lei, trovandomi propriamente coll'acqua alla gola, perchè non ho potuto ritardar neppur di un giorno di più la mia partenza; e dall'altra parte, arriverò a Firenze con tanto danaro quanto mi potrà bastare a vivere una setti

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