Come prefazione alla ristampa dei Canti, che nel 1836-37, con l'aiuto del fido Ranieri, veniva preparando per l'editore parigino Baudry (Epist. III, 39-42; Nuovi documenti, 267-71; LUISO, Ranieri e L., 2-5), il Leopardi avrebbe messa la seguente NOTIZIA INTORNO ALLE EDIZIONI DI QUESTI CANTI. << I due primi furono pubblicati in Roma nel 1818, con una lettera a Vincenzo Monti. Il terzo, con una lettera al conte Leonardo Trissino, nel 1820 in Bologna. Dieci Canti, cioè i nove primi e il diciottesimo, in Bologna nel 1824, con ampie Annotazioni, e copia d'esempi antichi, in difesa di voci e maniere dei medesimi Canti accusate di novità. Altri Canti pure in Bologna nel 1826: i quali coi sopraddetti dieci, e con altri nuovi, in tutto ventitre, furono dati susseguentemente dall' autore in Firenze nel 1831. Diverse ristampe di questi Canti, o tutti o parte, fatte dalle edizioni di Bologna o dalla Fiorentina, in diverse città d'Italia, essendo state senza concorso dell'autore, non hanno nulla di proprio. Undici componimenti non più stampati furono aggiunti nell' edizione di Napoli del 1835, e gli altri riveduti dall'autore e ritocchi in più e più luoghi. Dei Frammenti, i due primi erano già divulgati, gli altri non ancora. Le poche note poste appiè del volume furono cavate quasi tutte dalle edizioni precedenti. In questa parigina sono aggiunti per la prima volta i Canti XXXIII e XXXIV, finora non istampati ». Il Canto XXXIII è il Tramonto della Luna; il XXXIV, La ginestra. (Scritti letterari, II, 387). I. ALL' ITALIA. O patria mia, vedo le mura e gli archi Ma la gloria non vedo, Non vedo il lauro e il ferro ond' eran carchi I nostri padri antichi. Or fatta inerme,. Nuda la fronte e nudo il petto mostri. Oimè quante ferite, Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio, Chi la ridusse a tale? E questo è peggio, Tra le ginocchia, e piange. Piangi, che ben hai donde, Italia mia, E nella fausta sorte e nella ria. Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno; Che, rimembrando il tuo passato vanto, Non dica: già fu grande, or non è quella? Perchè, perchè? dov'è la forza antica, Dove l'armi e il valore e la costanza? Chi ti discinse il brando? Chi ti tradi? qual arte o qual fatica O qual tanta possanza Valse a spogliarti il manto e l'auree bende? Come cadesti o quando Da tanta altezza in cosi basso loco? Nessun pugna per te? non ti difende Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo Combatterò, procomberò sol io. Dammi, o ciel, che sia foco Agl'italici petti il sangue mio. Dove sono i tuoi figli? Odo suon d'armi E di carri e di voci e di timballi: In estranie contrade Pugnano i tuoi figliuoli. Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi, E fumo e polve, e luccicar di spade Nè ti conforti? e i tremebondi lumi Ma da nemici altrui Per altra gente, e non può dir morendo: Alma terra natia, La vita che mi desti ecco ti rendo. Oh venturose e care e benedette L'antiche età, che a morte Per la patria correan le genti a squadre; E voi sempre onorate e gloriose, O tessaliche strette, > Dove la Persia e il fato assai men forte Narrin siccome tutta quella sponda De' corpi ch' alla Grecia eran devoti. Allor, vile e feroce, Serse per l'Ellesponto si fuggia, E sul colle d'Antela, ove morendo Guardando l'etra e la marina e il suolo. E il petto ansante, e vacillante il piede, Beatissimi voi, Ch' offriste il petto alle nemiche lance Per amor di costei ch' al Sol vi diede; Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira. Nell'armi e'ne' perigli Qual tanto amor le giovanette menti, Qual nell'acerbo fato amor vi trasse? Come si lieta, o figli, L'ora estrema vi parve, onde ridenti Parea ch'a danza e non a morte andasse Tartaro, e l'onda morta; Nè le spose vi foro o i figli accanto Senza baci moriste e senza pianto. Ma non senza de' Persi orrida pena Come lion di tori entro una mandra Or salta a quello in tergo e sì gli scava |