Con le zanne la schiena, Or questo fianco addenta or quella coscia; L'ira de' greci petti e la virtute. La fuga i carri e le tende cadute, Pallido e scapigliato esso tiranno; Del barbarico sangue i greci eroi, L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva: Mentre nel mondo si favelli o scriva. Prima divelte, in mar precipitando, Spente nell'imo strideran le stelle, Amor trascorra o scemi. La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando Verran le madri ai parvoli le belle Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro, E bacio questi sassi e queste zolle, Deh foss' io pur con voi qui sotto, e molle Così la vereconda Fama del vostro vate appo i futuri Possa, volendo i numi, Tanto durar quanto la vostra duri. II. SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE. Perchè le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga, Dell'antico sopor l'itale menti S'ai patrii esempi della prisca etade Far ai passati onor; che d'altrettali E piangi e di te stessa ti disdegna; Pensier degli avi nostri e de' nepoti. Dove giaccia colui per lo cui verso Ed, oh vergogna! udia Che non che il cener freddo e l'ossa nude Giaccian esuli ancora Dopo il funereo di sott'altro suolo, Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Tutto il mondo t'onora. Oh voi pietosi, onde si tristo e basso Bell'opra hai tolta e di che amor ti rende, Schiera prode e cortese, Qualunque petto amor d'Italia accende. Amor d'Italia, o cari, Amor di questa misera vi sproni, Vèr cui pietade è morta In ogni petto omai, perciò che amari E duolo e sdegno di cotanto affanno Nova favilla indurre abbian valore? Ed acri punte premeravvi al seno. Del furor vostro e dell'immenso affetto? Chi pingerà l'attonito sembiante? Chi degli occhi il baleno? Qual può voce mortal celeste cosa Agguagliar figurando? Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante Lacrime al nobil sasso Italia serba! Come cadrà? come dal tempo rosa Fia vostra gloria o quando? Voi, di che il nostro mal si disacerba, Gl'itali pregi a celebrare intente. . Ecco voglioso anch'io Ad onorar nostra dolente madre Porto quel che mi lice, E mesco all'opra vostra il canto mio, Sedendo u' vostro ferro i marmi avviva. O dell'etrusco metro inclito padre, Se di cosa terrena, Se di costei che tanto alto locasti Cresca, se crescer può, nostra sciaura, E in sempiterni guai Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura. Ma non per te; per questa ti rallegri Degli avi e de' parenti Ponga ne' figli sonnacchiosi ed egri Tanto valor che un tratto alzino il viso. Ahi, da che lungo scempio Vedi afflitta costei, che si meschina Te salutava allora Che di novo salisti al paradiso ! Oggi ridotta si che a quel che vedi, Tal miseria l'accora Qual tu forse mirando a te non credi. Vide la patria tua l'ultima sera. Beato te che il fato A viver non dannò fra tanto orrore; L'itala moglie a barbaro soldato; Non predar, non guastar cittadi e cólti L'asta inimica e il peregrin furore; Tratte l'opre divine a miseranda Non gli aspri cenni ed i superbi regni; Tra il suon delle catene e de' flagelli. Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto Che lasciaron quei felli? Qual tempio, quale altare o qual misfatto? Perchè venimmo a sì perversi tempi? Perchè il nascer ne desti o perchè prima Acerbo fato? onde a stranieri ed empi Roder la sua virtù, di null' aita E di nullo conforto Lo spietato dolor che la stracciava Io non son per la tua cruda fortuna. Italia no; per li tiranni suoi. Padre, se non ti sdegni, Mutato sei da quel che fosti in terra. Squallide piagge, ahi d'altra morte degni, Semivestiti, maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. |