Membrando questa desiata madre,
Diceano: oh non le nubi e non i venti, Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene, O patria nostra. Ecco da te rimoti, ́ Quando più bella a noi l'età sorride, A tutto il mondo ignoti,
Moriam per quella gente che t'uccide. Di lor querela il boreal deserto
E conscie fur le sibilanti selve. Cosi vennero al passo,
E i negletti cadaveri all'aperto Su per quello di neve orrido mare Dilacerar le belve;
E sarà il nome degli egregi e forti Pari mai sempre ed uno
Con quel de' tardi e vili. Anime care, Bench'infinita sia vostra sciagura, Datevi pace; e questo vi conforti Che conforto nessuno
Avrete in questa o nell'età futura. In seno al vostro smisurato affanno Posate, o di costei veraci figli, Al cui supremo danno
Il vostro solo è tal che s'assomigli. Di voi già non si lagna
La patria vostra, ma di chi vi spinse A pugnar contra lei,
Si ch'ella sempre amaramente piagna E il suo col vostro lacrimar confonda. Oh di costei ch' ogni altra gloria vinse Pietà nascesse in core
A tal de' suoi ch' affaticata e lenta
Di si buia vorago e si profonda La ritraesse! O glorioso spirto, Dimmi: d'Italia tua morto è l'amore? Di: quella fiamma che t'accese, è spenta? Di: nè più mai rinverdirà quel mirto Ch'alleggiò per gran tempo il nostro male? Nostre corone al suol fien tutte sparte?
Che ti rassembri in qualsivoglia parte? In eterno perimmo? e il nostro scorno Non ha verun confine?
Io mentre viva andrò sclamando intorno: Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio; Mira queste ruine
E le carte e le tele e i marmi e i templi; Pensa qual terra premi; e se destarti Non può la luce di cotanti esempli, Che stai? levati e parti.
Non si conviene a si corrotta usanza
Questa d'animi eccelsi altrice e scola: Se di codardi è stanza,
Meglio l'è rimaner vedova e sola.
QUAND'EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE DELLA REPUBBLICA.
Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni A questo secol morto, al quale incombe Tanta nebbia di tedio? E come or vieni Si forte a' nostri orecchi e sì frequente, Voce antica de' nostri,
Muta si lunga etade? e perchè tanti Risorgimenti? In un balen feconde Venner le carte; alla stagion presente I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi Detti degli avi. E che valor t'infonde, Italo egregio, il fato? O con l'umano Valor forse contrasta il fato invano?
Certo senza de' numi alto consiglio
Non è ch'ove più lento
E grave è il nostro disperato obblio, A percoter ne rieda ogni momento Novo grido, de' padri. Ancora è pio Dunque all'Italia il cielo; anco si cura Di noi qualche immortale:
Ch' essendo questa o nessun' altra poi L'ora da ripor mano alla virtude Rugginosa dell' itala natura,
Veggiam che tanto e tale
È il clamor de' sepolti, e che gli eroi Dimenticati il suol quasi dischiude, A ricercar s'a questa età si tarda Anco ti giovi, o patria, esser codarda. Di noi serbate, o gloriosi, ancora Qualche speranza? in tutto
Non siam periti? A voi forse il futuro Conoscer non si toglie. Io son distrutto Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi, Ai tetti vostri inonorata, immonda
Plebe successe; al vostro sangue è scherno E d'opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne lodi
Nè rossor più nè invidia; ozio circonda I monumenti vostri; e di viltade Siam fatti esempio alla futura etade. Bennato ingegno, or quando altrui non cale De' nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui fato aspira Benigno si che per tua man presenti Paion que' giorni allor che dalla dira Obblivione antica ergean la chioma, Con gli studi sepolti,
I vetusti divini, a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
Magnanimi allegràr d'Atene e Roma.
Oh tempi, oh tempi avvolti
In sonno eterno! Allora anco immatura
La ruina d'Italia, anco sdegnosi Eravam d'ozio turpe, e l'aura a volo Più faville rapia da questo suolo. Eran calde le tue ceneri sante,
Della fortuna, al cui sdegno e dolore Fu più l'averno che la terra amico. L'averno: e qual non è parte migliore Di questa nostra? E le tue dolci corde Susurravano ancora
Dal tocco di tua destra, o sfortunato Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce L'italo canto. E pur men grava e morde Il mal che n' addolora
Del tedio che n'affoga. Oh te beato, A cui fu vita il pianto! A noi le fasce Cinse il fastidio; a noi presso la culla Immoto siede, e su la tomba, il nulla. Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Ligure ardita prole,
Quand' oltre alle colonne, ed oltre ai liti, Cui strider l'onda all'attuffar del sole
Parve udir su la sera 2, agl' infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del Sol caduto, e il giorno
Che nasce allor ch' ai nostri è giunto al fondo;
E rotto di natura ogni contrasto,
Ignota immensa terra al tuo viaggio
Fu gloria, e del ritorno
Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto L'etra sonante e l'alma terra e il mare Al fanciullin, che non al saggio, appare. Nostri sogni leggiadri ove son giti
Dell'ignoto ricetto
D'ignoti abitatori, o del diurno
Degli astri albergo, e del rimoto letto Della giovane Aurora, e del notturno Occulto sonno del maggior pianeta? 3 Ecco svaniro a un punto,
E figurato è il mondo in breve carta; Ecco tutto è simile, e discoprendo, Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta Il vero appena è giunto,
O caro immaginar; da te s'apparta Nostra mente in eterno; allo stupendo Poter tuo primo ne sottraggon gli anni; E il conforto perì de' nostri affanni. Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo Sole splendeati in vista,
Cantor vago dell'arme e degli amori, Che in età della nostra assai men trista Empièr la vita di felici errori :
Nova speme d'Italia. O torri, o celle, O donne, o cavalieri,
O giardini, o palagi! a voi pensando,
In mille vane amenità si perde
La mente mia. Di vanità, di belle
Fole e strani pensieri
Si componea l'umana vita: in bando
Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
E spogliato alle cose? Il certo e solo. Veder che tutto è vano altro che il duolo. O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa Tua mente allora, il pianto
A te, non altro, preparava il cielo. Oh misero Torquato! il dolce canto
Non valse a consolarti o a sciorre il gelo Onde l'alma t'avean, ch'era si calda, Cinta l'odio e l'immondo
Livor privato e de' tiranni. Amore, Amor, di nostra vita ultimo inganno, T'abbandonava. Ombra reale e salda Ti parve il nulla, e il mondo
Inabitata piaggia. Al tardo onore
G. LEOPARDI, I Canti.
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