Sayfadaki görseller
PDF
ePub

più in su della fama e della gloria e degli uomini e di tutto il mondo. Ha sentito qualche cosa questo mio cuore, per la quale mi par pure ch' egli sia nobile, e mi parete pure una vil cosa voi altri uomini, ai quali se per aver gloria bisogna che m' abbassi a domandarla, non la voglio; chè posso ben io farmi glorioso presso me stesso, avendo ogni cosa in me, e più assai che voi non mi potete in nessunissimo modo dare.

S'intende che in quel voi altri uomini ei non voleva compreso colui al quale la lettera, non già quell' apostrofe, era diretta! E anzi, non ricevendone più notizie, gli riscrive il 13 febbraio, chiedendogli angosciato: «M'abbandonerete anche voi così solo e abbandonato come sono?». Il Giordani s'affrettò a rispondere, a volta di corriere (il 21), scusandosi premurosamente dell'involontario ritardo, e soggiungendo:

Mi accorate, mostrandovi così malinconico. Oh se io potessi rallegrarvi! Per carità fatevi coraggio: voi mi atterrate, quando mi vi mostrate in languore e patimento. Credevo di vedervi in maggio: ma bisogna soddisfare a mio fratello, che non vuole aspettare; e bisogna andar prima a Venezia. Ad ogni modo ci vedremo in quest'anno; e sarò prima da voi che in Roma, e per questa sola cagione passerò per la via di Loreto, e non per la più breve di Toscana... Vi raccomando la salute, e l'allegria. Se alla salute è indispensabile assolutamente l'uscire un poco di costì, m'inginocchierò a vostro padre; e forse si troverà modo a conseguirne questa grazia. Intanto non vi abbandonate così alla tristezza. Eh, se vi toccasse di patire quel che ho patito io, e tanti altri, che fareste allora? Sappiate godere tanti vantaggi che avete.

Il Giordani o davvero non intendeva bene, o fingeva di non intendere. E Giacomo cerca di spiegarsi meglio (2 marzo).

Della salute sic habeto. Io per lunghissimo tempo ho creduto fermamente di dover morire alla più lunga fra due o tre anni. Ma di qua ad otto mesi addietro, cioè presso a poco da quel giorno ch'io misi piede nel mio ventesimo anno..., ho potuto accorgermi, e persuadermi, non lusingandomi, o caro, nè ingannandomi,, chè il lusingarmi e l'ingannarmi pur troppo è impossibile, che in me veramente non è cagione necessaria di morir presto, e purchè m'abbia infinita cura, potrò vivere, bensì strascinando la vita coi denti, e servendomi di me stesso appena per la metà di quello che facciano gli altri uomini, e sempre in pericolo che ogni piccolo accidente e ogni minimo sproposito mi pregiudichi, o mi uccida... Questa ed altre misere circostanze ha posto la fortuna intorno alla mia vita, dandomi una cotale apertura d'intel

letto perch'io le vedessi chiaramente e m'accorgessi di quello che sono, e di cuore perch' egli conoscesse che a lui non si conviene l'allegria, e, quasi vestendosi a lutto, si togliesse la malinconia per compagna eterna e inseparabile. Io so dunque e vedo che la mia vita non può essere altro che infelice: tuttavia non mi spavento, e così potesse ella esser utile a qualche cosa, come io procurerò di sostenerla senza viltà. Ho passato anni così acerbi, che peggio non par che mi possa sopravvenire: con tutto ciò non dispero di soffrire anche di più.... Quanto alla necessità di uscire di qua, con quel medesimo studio che m'ha voluto uccidere, con quello tenermi chiuso a solo a solo, vedete come sia prudenza, e lasciarmi alla malinconia, e lasciarmi a me stesso che sono il mio spietatissimo carnefice. Ma sopporterò, poichè sono nato per sopportare; e sopporterò, poichè ho perduto il vigore particolare del corpo, di perdere anche il comune della gioventù.

Queste lettere, veri capilavori d'eloquenza, rattristavano e insieme esaltavano il Giordani; che s'arrabattava a escogitar nuovi balsami di parole per lenire quelle ferite cotanto dolorose. Gli scriveva ancora (16 marzo):

Vorrei che per un poco di tempo voi aveste meno ingegno e meno eloquenza, acciocchè meno di forza avesse la vostra malinconia, e io dall' espressione di lei meno dolore... Ad ogni modo, contra questo male, che il più fiero di tutti, bisogna armarsi; e resistergli, e impedirgli i progressi, e vincerlo (che è vincibile) e liberarsene. Ma, come fare? direte voi. Benchè io sia stato malinconico al pari di voi, ed ora non sia allegro, ho nondimeno grande speranza di potervi confortare e consolare, e farvi trovare il vigore per superare questa malattia. Una certa disposizione malinconica è naturale agl'ingegni, ed è necessaria al far cose non ordinarie; ma l'eccesso uccide.... Intanto abbiatevi cura: fate moto, prendete aria; e non v' immergete tanto negli amari pensieri. Certo il muovervi di costà un poco mi pare necessario: vedremo se si potrà ottenerlo... Mi rattrista la necessità di tardare la mia venuta; e di non potere correr subito portando un poco di refrigerio al purgatorio d' un' anima dolcissima.

Questa visita, tanto annunziata, sarebbe stata « come l'aurora alle tenebre » (24 aprile); e Giacomo continua a sospirarla. Intanto, « come una distrazione utile a toglierlo da tanta eccessiva assiduità di studi », il Giordani gli dà una strana briga: di procurare a una marchesa sua cugina, dilettante di agronomia, un po' di semente dell'erba sulla, con le istruzioni necessarie a coltivarla! (17 maggio). Eran gli anni in cui anche il Manzoni era tutto preso da quegli esperimenti d'agricoltura e di giardinaggio, ch'ei sapeva cari

al Fauriel e alla signora Condorcet. E il Leopardi fece del suo meglio per accontentare l'amico e la dama (1 giugno). Tuttavia gli ricordava (25 maggio): << Siamo alla fine di maggio, e fra luglio e questo c'è solamente un mese. Che? non verrete più in luglio? Ho paura che non tocchi a me a pagar la spesa delle vostre tardanze, e a proporzione che guadagna la Lombardia perda la Marca. Per Dio non fate che sia vero, chè non è giusto ». E il Giordani si ripromette, e ripromette, d'essere a Recanati « certamente entro luglio », e vagheggia, e fa vagheggiare, lunghi colloqui» in cui << d'infinite cose » parlerebbero « lungamente» (16 giugno). Ma un mese dopo, è ancora allo stesso punto, di promettere per « circa la metà di agosto ». Il 6 agosto, da Bologna, annunzia: «Ora sono in Bologna; ma verso la fine del mese voglio essere in Recanati ». Giacomo, che non ne può più degli indugi e delle dilazioni, gli risponde, il 14:

[ocr errors]

Io v'aspetto impazientissimamente, mangiato dalla malinconia, zeppo di desiderii, attediato, arrabbiato, bevendomi questi giorni o amari o scipitissimi, senza un filo di dolce nè d'altro sapore che possa andare a sangue a nessuno. Certo ch'avendo aspettato tanto tempo la vostra visita, adesso ch'è vicina, ogni giorno mi pare un secolo; nè sapendo come riempirli (e quando anche per ordinario sapessi, ogni cosa mi dee parer vana rispetto alla conversazione vostra), sudo il cuore a sgozzarli. Direte: e lo studio? In questi giorni io sono come chi ha l'ossa péste dalla fatica o dal bastone: tanto ho l'animo fiacco e rotto, che non son buono a checchessia.

Da Bologna il Giordani non riusciva a staccarsi; e il 26 procrastina nuovamente la sua visita. Dice: «Se non muoio tra pochi dì, tra pochi dì ci vedremo: in principio di settembre; qualche giorno più tardi che non avrei creduto: mi ritiene grave malattia d'un'amica amabilissima, dalla quale non so allontanarmi senza lasciarla incamminata al guarire » . E Giacomo di rimando (31 agosto): « Nei mali o vostri o di un'amica vostra io non compatisco ma patisco; si che per quanto arda e spasimi di vedervi, per quanto sia fatto im

1 Cfr. il mio studio sul Decennio dell'operosità poetica del Manzoni, innanzi al volume III delle Opere di A. M., Milano, Hoepli, 1907, pagina XXXV e ss.

pazientissimo, e i giorni mi paiano secoli, e proprio non sappia come ingoiarli; con tutto ciò non vi posso pregare che v'affrettiate di consolarmi. Basterà che quando potrete, vi ricordiate dell' amor mio, ed ascoltiate l'amor vostro ».

[ocr errors]

X.

Il Giordani a Recanati. I colloqui con Giacomo e i sospetti di Monaldo. L'accusa del Gioberti e del Capponi in danno del Giordani.

Nella seconda metà del settembre 1818, finalmente, il Giordani sali a Recanati, e smontò in un alberguccio, donde fece recapitare un biglietto ai conti Leopardi. Pare che il messo lo consegnasse, come del resto era naturale, al conte padre, il quale, nel desiderio di far forza all'illustre visitatore perchè accettasse l'ospitalità in casa sua, si affrettò ad andare all'albergo; ma non tanto che non vi fosse prevenuto da Giacomo, che avendo saputo dell'arrivo, vi era corso a precipizio. Del che ebbe poi a rimproverarlo il padre, giacchè quella, come riferi poi Carlo, era la prima volta ch'egli osava uscir di casa senza la compagnia dell' aio o di qualche persona di famiglia.

1

A Recanati l'insigne piacentino non si trattenne che cinque giorni solamente. E Monaldo gli si mostrò sempre cortesissimo, e lasciò che Giacomo e Carlo conversassero con lui liberamente, anzi che lo accompagnassero pur nelle sue gite per gli ameni dintorni: tanto la carità del natio loco lo strinse! Un giorno, che rimase memorabile nelle immaginazioni paurose delle donne di casa, ei permise che andassero insieme fino a Macerata! Di che cosa i due giovanetti e

1 Cfr. i Ricordi, giudizi, ragguagli ecc. pubblicati dal Viani, nel III vol. dell' Epistolario leopardiano, pag. 427-28.

2 II PIERGILI (Le tre lettere di G. L. intorno alla divisata fuga, pag. 12 n.) riferisce d'aver saputo dalla contessa Ippolita Mazzagalli, cugina e coetanea di Giacomo, che « Giordani chiese ed ottenne da

l'uomo maturo discorressero, a noi, che abbiamo sott'occhi l'Epistolario, non è difficile indovinarlo: degli studi, certo, di poesia, dell'Italia, e anche del modo da tenere per indurre il conte cocciuto e la taccagna contessa a lasciare che i figli uscissero del nido. Ma via via, quando, dopo quella visita e quei colloqui, Giacomo gli diede quella solenne prova di ribellione, Monaldo si venne persuadendo, messo forse sulla buona strada dalle suggestioni della moglie bigotta, che l'ospite fosse una specie di Mefistofele, capitato su Recanati a posta per rapire e conquistare l'anima ingenua di quell'imberbe Faust. Quei colloqui gli apparvero allora cospirazioni, e vi fiutò non so che di settario, di misterioso, di diabolico. Così che quando fu sorpreso dal tentativo di fuga, ei non dubitò un momento di farne risalire la colpa tutta ai suggerimenti malvagi dell'ingrato. E il 3 d'aprile del 1820 scriveva all'avvocato Pietro Brighenti, disfogando tutta l'amarezza del suo cuore:

Purtroppo mi dolgo degli amici o falsi o inconsiderati, ma non di Lei. Le mie espressioni, e sia con Sua tolleranza, miravano principalmente il signor Giordani, il quale, sarà forse senza volerlo, mi ha procacciati rammarichi troppo cocenti, ed è stato d'infausto augurio alla mia famiglia...

Coll'occasione di una sua stampa, Giacomo aprì corrispondenza letteraria col sig. Giordani, e restò innamorato della sua bella e cordiale maniera. Io secondai questa amicizia, ed invitai il sig. Giordani a trattenersi con noi venendo da queste parti. Egli mi favorì per alcuni giorni, ma la venuta sua fu l'epoca in cui li figli miei cangiarono pensieri e condotta, ed io forse li perdetti allora per sempre. Fino a quel giorno mai, letteralmente mai, erano stati un'ora fuori dell'occhio mio e della madre. Li lasciai con Giordani liberamente, stimando di lasciarli in braccio all'amicizia e all'onore. Non so, o per lo meno mi giova ignorare, una gran parte, e forse la più interessante, di quanto formò l'oggetto di quei lunghi colloquii. Certo si esagerò sulla infelicità di vivere in un piccolo paese; si riscaldò la fantasia dei giovani come destinati dalla natura ad alte imprese ed a teatro vastissimo; si progettò per Giacomo un posto, o almeno un soggiorno, in Milano ovvero in Roma; si assegnò al secondo una piazza di ufficiale fralle truppe del Piemonte; e fino si parlò di non so quale matrimonio per una mia figlia. Giordani partì portando con sè il segreto dei figli miei, e se non fu scel

Monaldo il permesso di condurre un giorno il giovane amico a Macerata, donde, secondo che affermava quella timorata donna, questi tornò mutato tutto».

« ÖncekiDevam »