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PREFAZIONE.

1. In quella parte nobilissima della Biblioteca Vaticana, che porta il nome di Palatina, contenendo i pregevoli Codici di Heidelberga donati il 1622 da Massimiliano di Baviera a papa Gregorio XV, trovasi un antico manoscritto di ben conservata pergamena in foglio, di carattere italico, nelle cui prime pagine sono le dodici Egloghe del Petrarca corrette, com'è scritto in margine, da un Francesco da Montepulciano in Perugia il 20 Luglio 1394; appresso, di mano diversa, il trattato di Dante Allighieri 1) sopra la Monarchia; ed in ultimo nove Epistole latine, cinque delle quali sono contrassegnate del nome di Dante medesimo, tre appariscono di Caterina contessa di Battifolle, ed una del capitano Alessandro da Romena e del Consiglio e Comune de' Bianchi. Queste Epistole appunto, egli è qualche tempo, il chiarissimo sig. Professore Carlo Witte di Breslavia annunzio ne' Giornali di Germania come novellamente scoperte, sebbene elleno fossero già note alla Vaticana e registrate nell'Indice Palatino del numero 1729.

II. Due Giornali italiani 2) riferirono di recente, in qual modo avventuroso sia venuta in mio possesso a Firenze nell'autunno del 1841 decorso una copia di queste preziose Lettere, e come io abbia potuto nei primi mesi dell' anno corrente raffrontarle coll' ac

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cennato Codice in Roma stessa, ove trasferiimi espressamente per accertarmi della genuina loro lezione, onde pubblicarle il primo in Italia esattamente conformi a quel testo. Ometterò qui le particolarità esposte nella lettera mia divulgata negli anzidetti Giornali, e preceduta da troppo benevole parole dettate dall' amicizia, l' una e le altre riprodotte nel Manifesto d'associazione alla stampa presente in data del 1. di questo mese; e solo dirò, che non mi parve di mandar tali Epistole, di somma importanza per la filologia e per la storia, del tutto ignude nel semplice dettato latino, ma vestite di fedel volgarizzamento, di chiose e d'argomenti che aggiungesser loro sufficiente chiarezza. Il qual volgarizzamento io debbo alle cure di persona amica, prestatasi ad eseguirlo per compiacere alle mie istanze, e che per la naturale sua riservatezza m' impose di non nominarla; ond'è che neppur mi si concede di parlare in verun modo del qual siasi suo lavoro, in cui peraltro si scorgerà essersi impiegata la più coscienziosa diligenza.

III. L'ottimo amico mio sig. Pietro Fraticelli, che spesso dovrò d'ora in poi ricordare, nella recente sua ristampa delle Lettere già note di Dante 3) recò per esteso il Ragguaglio 4) primamente pubblicato dal Professore alemanno di quelle tuttora inedite, e che per caso stranissimo gli andaron perdute mentre stavasi preparando a darle in luce. L' indicato Ragguaglio viene da me riprodotto colla erudita prefazione dell'Editore fiorentino (Lett. B. C.), contenendo ambedue utilissime osservazioni concernenti all'Epistole stesse, agli altri minori dettati dell'Autore, ed alla di lui biografia; intorno alle quali però mi parve opportuno di aggiungere qualche singolare avvertenza e notizia, che riguarda più da vicino le mie cure.

IV. In questa riunione di disquisizioni era necessariamente inevitabile qualche ripetizione di cose già osservale o dette in varia for

3) Dantis Aligherii Epistolae quae exstant, cum disquisitionibus atque italica in

terpretatione Petri Fraticelli. Florentiae 1810 in 18.°

4) Ivi, pag. 165 a 198.

ma: ma ben lungi dal doversi ciò ascrivere a difettosa superfluità, ne verrà invece ai lettori meglio chiarita con loro profitto e soddisfazione la materia; trattandosi per lo più d' avvenimenti di un' epoca in cui la critica storica ha dovuto di molto esercitarsi, per trarne qualche lume che ne disnebbiasse la conoscenza.

V. La prima delle cinque Epistole col nome espresso di Dante, e prima pure nel Codice, cioè la famosa ad Arrigo di Lussemburgo, era già stata raccolta e stampata sola fra tutte sopra un altro Codice, con l'antico volgarizzamento creduto di Marsilio Ficino, e poi col recente del sig. Fraticelli 5); ma per le molte e grandi varietà che incontransi col testo Vaticano ( incirca cinquanta sono i luoghi rettificati o migliorati con esso), può riguardarsi come nuova; ed è per ciò che va posta fra le inedite. Riguardo alla quale ben s' avvide il prelodato moderno volgarizzatore, ch' era da cercarsi dove che fosse una lezione migliore della stampata; e in alcune correzioni che adottò, seguendo le sagaci congetture del Prof. Witte, parve quasi presentire le varianti Palatine. La versione, che noi pubblichiamo, doveva essere conforme alle più rette e genuine dizioni del nostro Codice.

VI. Circa le tre aventi nel MS. il terzo, quarto e quinto luogo, e che portano il titolo della contessa di Battifolle, è d'uopo avvertire che Dante, errando per le terre di Toscana, fu ospitato da Caterina in Poppi, allora castello de' conti Guidi nel Casentino, d' onde egli scrisse la surriferita Epistola ad Arrigo 6). Ora la contingenza del tempo e del luogo, e il dire del Boccaccio che la Contessa fece eziandio comporre al Poeta alcuni versi, ne inducono a credere ch' ella adoperasse altresì la penna di lui scrivendo alla Imperadrice. Che se ripugnar paresse il dettato alquanto umile, e nudo di quella fierezza ch'è la propria stampa di tutte le opere Dantesche, si può

5) Ed. cit., pag. 213 a 249.

6) La data di questo luogo toglie di mezzo tutti i dubbii e le congetture dei preDante, Epistole.

cedenti editori della lettera ad Arrigo VII, ov'è in fine la vaga indicazione sotto la foute d'Arno. Vedi ivi la nota u) sul proposito.

B

rispondere, aver l'Allighieri servito all' animo di Caterina inchinato a profonda venerazione nel cospetto della maestà cesarea, massime parlando a donna tutta pia e religiosa, quale si fu Margherita. Aggiungi, che la data della prima fra le tre si raffronta a quella dell'Epistola ad Arrigo Faustissimi cursus Henrici Caesaris ad Italiam anno primo; e parecchie immagini e frasi, che per brevità si tralascia di ripetere, appartengono sicuramente allo stile di Dante. Per le quali ragioni doveano porsi fra le altre sue di virile e severo argomento.

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VII. L' Epistola a Maroello Malaspina, settima nel Codice, per più rispetti interessantissima, mi porse il destro ad un tentativo di portar qualche nuovo schiarimento nella controversia lungamente dibattuta fra gli eruditi, quale sia cioè degl' individui di questa celebrata famiglia quegli, a cui Dante intese di dedicare il suo Purgatorio; e di stabilire a quale fra i tanti di essa aventi il nome di Maroello, o Morello, egli inviasse la lettera presente. E credo (se non mi sono illuso) di non aver fatto vana indagine, secondochè potrà desumersi dall' argomento alla medesima premesso e dalla nota che la sussegue 7).

VIII. Niente di particolare ho qui motivo di aggiungere a quanto sarà esposto nell' argomento all' Epistola dall' Allighieri diretta ai nipoti del conte Alessandro da Romena, nel Codice la sesta, fuorche convenire col sig. Fraticelli che debba datarsi del 1306, per le sagge riflessioni da lui addotte nella nota 7 al citato Ragguaglio, anzichè del 1308, come opinava il Prof. Witte.

IX. Passeremo adesso a dire dell' Epistola al Cardinale di Prato, ch'è l'ottava del Codice. Ch' essa sia scritta dal nostro Autore, non v' ha luogo a dubitarne, sebbene non ne porti il nome, perocchè ol

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tre il sapersi ch' egli era il principale consigliere de' Bianchi, mentre si conduceano le pratiche per la pace, e nelle altre raunate ch' indi seguirono; tanta eloquenza, tanta carità di patria v' è dentro accesa, che l'esule fiorentino scorgesi quivi fuor d'ogni velo.

X. L'ultima poi nella serie del MS., quella ai Principi e Signori d'Italia, non conoscevasi nell' originale latino, ma solamente in un volgare antico di traduttore anonimo; ed è tutta sparsa di lacune che ne turbano il senso; talchè con grandissima difficoltà si riuscì finalmente a cavarne il netto, giovando in piccola parte l'ajuto del medesimo volgare. Il quale, sebbene stranamente scomposto e talvolta discorde dal significato del testo Palatino, lascia nondimeno apparire qualche traccia non inutile alla interpretazione di alcune parti mancanti, come si vedrà a suo luogo.

XI. E per toccare lo stile dell' Epistole in generale, tralasciando la materia che verrà di mano in mano chiarita dalle spiegazioni poste in fronte a ciascuna delle medesime, o con apposite note, dirò quasi di volo, anche riguardo alle già dapprima pubblicate, che le forme latine non sono punto diverse da quelle che creare poteva il trecento, quanto aureo nell'uso moderno, altrettanto ferreo nell' antico; non essendo punto meglio scritte le altre opere latine dello stesso Autore, le quali allo stile di queste in tutto si conformano ; e che il fraseggiare vi è tutto scritturale e sopraccarico d' induzioni filosofiche e teologiche, se non in quanto v'apparisce ad ora ad ora qualche for virgiliano conveniente al soggetto. Contuttociò queste cotali macchie non possono adombrare quel sole che raggio il divino Poema. Sotto la ruvida corteccia esteriore corre un succo interno di pensieri, che produce bellissimi frutti di sapienza, e talvolta nelle stesse parole trasfondendosi le riempie di tal maestà e grandezza, che vince le ruggini del secolo, e cangia in oro il ferro; come si vede là dove il proscritto non meritevole inveisce con impeto d'eloquenza contra i Fiorentini nell' Epistola ai medesimi indiritta, nel MS. la seconda, che non per anco erasi da me fin qui citata: Quid

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vallo sepsisse, quid propugnaculis et pinnis vos armasse juvabit,

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