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la quale per verità è nido di guerra e occasione di venire ogni giorno alle mani tra i principi d'Italia. Oltra di ciò fu ordinato all' oratore, che venendo il duca di Milano in Bologna, dovesse usare ogni diligenza di parlargli inanzi che a Cesare si presentasse, e di ammonirlo di abbassarsi più che potesse alla presenza sua, di parlargli con ogni riverenza e modestia e di domandargli perdono degli errori commessi contra di lui, quand' anche a lui paresse di non avere fallato; facendogli intendere la buona mente di Cesare di perdonargli, se anderà a lui basso ed umile; i quali ufficii saria anche ordinato che facesse l'orator nostro appresso il duca, messer Gabriele Veniero, il quale ora si ritrova in Cremona. Per la terza mano di lettere del Senato al Contarini, gli è commesso: che avendo scritto messer Federigo Grimaldi (il quale si ritrova in Bologna col principe Andrea Doria) ad un suo commesso di qui, chiamato messer Agostino . . . . . di certa lega che si ragionava di fare in Bologna tra i principi cristiani, e vi erano nominati i Turchi, dovesse a parte ammonire detto messer Federigo di non più scrivere in lettere simili nuove, per assai convenienti rispetti; potendo essere di danno alla Repubblica la menzione che in tali lettere si fa della lega contra i Turchi, se pér caso le lettere fossero intercette. Per la quarta mano si commette a messer Gasparo, che debba ritrovarsi col pontefice e dirgli le ragioni che ha questo Stato nel golfo Adriatico, per le quali è solito eleggere un capitano con amplissima autorità, secondo le nostre giurisdizioni; supplicandolo che voglia rinvestirne di quelle; e in ottenere questa giusta petizione, debba porre ogni industria e forza delli spiriti del suo ingegno.

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Fu scritto a messer Gabriele Venier, oratore al duca di Milano, per opinione di tutto il Collegio, che dovesse comunicargli il buon ufficio che per lui aveva fatto messer Gasparo Contarini appresso Cesare; e che dovesse eziandio esortare Sua Eccellenza ad usare ogni modestia e rive

renza nelle difese delle sue operazioni, per avvantaggiarsi nei trattamenti futuri della pace, e per occorrere e provvedere alla mala opinione che Cesare tiene di Sua Eccellenza e che a Bologna esso messer Gabriele Venier debba negoziare insieme con messer Gasparo Contarini. Fu di poi messa parte per li consiglieri, per li capi dei Quaranta, per li Savi dell' una e dell'altra mano, che il prefato ambasciatore Venier fosse sovvenuto di ducati duecento per la spesa di questa sua andata a Bologna; e fu presa. Alcune lettere del cardinal Pisani, date a Bologna e dirette a messer Giovanni suo fratello, procuratore, per non essere egli in Venezia, furono lette dal serenissimo principe Andrea Gritti, suo avo dal canto della moglie, e fatte leggere in Collegio; per deliberazione del quale furono anche lette in Senato. In queste, prima si diceva: che il pontefice era stato ed era molto contrario nel concedere alla Signoria la denominazione dei vescovati ch' erano per vacare sullo stato della Licella; ma di poi scrive, che aveva promesso di dare al Senato facoltà di eleggere cinquanta canonici della Chiesa di San Marco, ai quali fosse provvisto d'una entrata annua di ducati duecento per uno, sopra i benefizii ch'erano per vacare nello stato della Signoria; con questa condizione, che esso cardinale potesse inanzi pigliare sopra di quelli mille ducati d'entrata. Lette queste lettere, fu messo per tutti li Savi e deliberato di scrivere al detto cardinale, che dovesse seguire questa pratica col pontefice, e ponesse ogni studio che la si ottenesse; e in appresso, che oltre li cinquanta canonici da essere eletti dal Senato, il serenissimo principe avesse autorità di eleggerne cinque; sicchè in tutto la denominazione fosse di cinquantacinque. Fu pure deliberato di far presente al principe di Melfi (1), fuoruscito del suo stato, venuto a visitare la Signoria, di ducati duecentocinquanta.

(1) Giovanni Caracciolo.

Addi venti di novembre, nel Senato si lessero lettere da Cremona, per le quali s' intese che il pontefice aveva con un breve domandato al duca alcuni pezzi d'artiglieria per mandarli all'impresa di Toscana: che messer Gabriele aveva comunicato al duca solo la deliberazione del Senato di Ravenna e di Cervia, e che l'aveva intesa con sommo piacere e aveva detto: al presente, segua quello che si vuole, tutto il mondo intenderà che dai Veneziani non si manca di far pace.

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Da Ferrara s'intese, che ivi non sapevasi che in Bologna si ragionasse delle cose del duca, perchè l'imperatore era occupato in quelle dei Veneziani. Da Firenze, che i Fiorentini erano più che mai animati alla difesa della loro libertà contro l'assedio del pontefice, purchè in qualche parte fossero aiutati dalla Signoria di Venezia; che avevano patito un assalto dai nemici, e la città s'era subito messa in arme, e aveva risposto sopra la muraglia con artiglierie, colle quali credevasi essere stati morti molti dei nemici; e che un palazzo di messer Jacopo Salviati era stato bruciato e spianato; che parte del popolo aveva voluto rovinarne un altro del pontefice; ma la Signoria di Firenze si era frapposta.

Da Bologna furono avvisi, che messer Andrea Doria s'era partito di lì, sì per l' aria che gli nuoceva, come per la nuova che un Fortuno Corsaro aveva fatto rappresaglia di sei galee sottili genovesi: che messer Antonio da Leva con venticinque gentiluomini milanesi era venuto a Cesare, dicendo di avere inteso che Sua Maestà aveva concesso al duca di Milano che potesse venire a lei; onde sospettavano che la volesse investirlo di quello stato; la qual cosa quando avvenisse, seguiria la rovina di tutta quella nobiltà che saria meglio per quella e per tutta Italia, che fosse posto in stato Massimiliano Sforza, fratello del duca Francesco. A questo avere risposto Cesare: che non negava

di avergli dato licenza di venire; ma non perciò gli aveva promesso di farlo duca di Milano. Che poi gran parte di questi gentiluomini erano stati a casa del nostro ambasciatore, ed avevano fatto con lui lo stesso ufficio che avevano fatto con Cesare; e gli avevano accennato che dovesse esortare la Signoria nostra a procurare che fosse fatto duca di Milano Massimiliano Sforza, che, quando ottenesse questa grazia, lascieria Cremona e la Geradada alla Signoria. L'ambasciatore aveva risposto, che loro avevano preso un mal consiglio, e che procuravano contro quello che dicevano. Dicevano di voler pace, e colla loro opinione avrebbero cominciato a far guerra; volendo introdurre Massimiliano ch' era fuori di stato (1), e scacciare Francesco che n'era come in possesso: che riuscirebbe loro di maggior benefizio, se procurassero per il duca Francesco appresso l'imperatore; il che saria dimanda più onesta, più giusta, più facile e più grata a tutti i principi d'Italia. E con questo aveva licenziato quei gentiluomini; lo che comunicato al pontefice, n'era stato lodato assai. Che il re d'Inghilterra aveva fatto mettere in servitù il cardinale Eboracense (2), e l'aveva privato del governo e spogliato di tutta la facoltà così mobile come stabile. La mobile era stimata valere quarantamila lire inglesi, che sono delle nostre di grossi ventimila, cioè duecentomila ducati; e in queste si comprendevano trentamila lire inglesi in contanti, cioè quindicimila delle nostre, che sono centocinquantamila ducati. La stabile era un arcivescovato, che gli rendeva una

(1) Massimiliano Sforza era in Francia in onorevole prigionia, e non aveva ancora deposto la speranza di ricuperare la libertà e la ducale corona; ma vi mort l'anno dopo.

(2) Tommaso Wolsey, personaggio notissimo. Vedi intorno ad esso la biografia contemporanea del Cavendish, e quelle posteriori del Fiddes, del Gall e dell'Howard. Questo cardinale volse per molti anni a sua posta ambo le chiavi del cuore d'Arrigo VIII; ma l'ambizione e la soverchia sete delle ricchezze gli tirarono addosso nemici terribili, e finalmente anche l'ira e il castigo del Re; alle passioni del quale aveva sacrificata la propria coscienza.

grossissima entrata. Che il pontefice aveva mandato a pregare esso oratore, che scrivesse ai Rettori di Verona per il passo sicuro delle lettere dell' imperatore a Ferdinando suo fratello: che gli aveva risposto, lui non poter scrivere alli rettori senza ordine del Senato; ma che scriveria di questa domanda, la quale senza alcuna difficoltà saria da quello esaudita.

Da Pera di Costantinopoli, del mese di settembre, scrive messer Piero Zeno, che non vi era ancora certezza se il Gran Signore ritornerebbe ad invernare a casa, ovvero se resterebbe in Ungaria.

Di Puglia, il provveditore Vitturi scrive: che le nostre genti e le galere pativano assai di vettovaglie e di denari; e che se non si provvedesse all' una e all' altra cosa, era impossibile di più intrattenersi. Lette le lettere, fu deliberato che venti delle nostre galere disarmassero; cioè dieci delle armate in Venezia, quattro in Dalmazia, quattro in Candia, una del Zante ed una di Cefalonia; e fu comandato che tale relazione restasse secretissima. Fu scritto al Capitano generale da Mar, che assicurasse le galere da Barutti e d'Alessandria per il viaggio loro, divulgandosi la presa delle sei galere genovesi dal Corsaro sopradetto. Fu scritto al provveditore Nani, che, avendo le genti spagnuole del milanese passato Adda, e le alemanne del bresciano essendo in procinto di passare il Po (per cui accennavano di volersi unire); e avendo Paolo Luciasco (1) scorseggiato per alcune valli del bergamasco, nelle quali, per non aver trovato da rubare, temevasi che si spingesse verso la montagna ( ch' era piena di vettovaglia, per la fuga delle genti della maggior parte di quelle bande); dovesse, col parere del Capitano Generale, duca d'Urbino,

(1) Paolo Luzzasco, uomo valoroso, ma di poca fede, che sei mesi prima non avendo potuto allogarsi col re di Francia, era passato dagli stipendi di Clemente VII a quelli dell' Imperatore.

Vol. VII.

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