Sayfadaki görseller
PDF
ePub

stato a ritrovarlo, quando egli era coi Rettori della città; e gli aveva detto che i lanzichenecchi si dolevano e lamentavano della Illustrissima Signoria, che non dava loro il pagamento, e che sariano sforzati di partirsi e di andare al servigio dell' Imperatore; e che perciò temeva, che venendo i nemici di Germania, poco lontani, verso Bergamo, questi lanzichenecchi non s' intendessero con loro e dessero la città; e tanto più che i capi avevano fra loro motteggiato di questo; la qual cosa essendo venuta alle orecchie di esso conte, aveva con diligenza cercato di conoscerne gli autori; e in fine diceva che, quanto alla fanteria di questi lanzichenecchi, più non temeva, per avere scoperto un luogotenente dei capi, autore di questo male; il quale era stato fatto prigione ed aveva ordinato che fosse fatto passare per le picche. Scrive anche che in Bergamo erano venuti alle mani due che giocavano alle carte in piazza, cioè un lanzichenecco e uno svizzero; onde si era fatta una grossa scaramuccia, nella quale erano state morte forse dodici persone; e che voleva assolutamente punirne gli autori; sebbene sia d'allora le differenze loro fossero assettate.

Da Bologna scrive messer Gasparo, che aveva ragionato di nuovo col pontefice nella materia della lega, e che egli perseverava nella sua opinione per amore di Cesare, dicendo: quando la Signoria non vi assenta, esso entrerà in gran sospetto di qualche accordo segreto a suo danno. Appresso disse il pontefice: « Ditemi il parer vostro, non come ambasciatore, ma come messer Gasparo Contarini privato; vi pare che questa lega non sarebbe di comun beneficio? >> Rispose messer Gasparo: « A me pare che non saria male che si facesse una segreta unione ed intelligenza, che gli stati dei principi d'Italia reciprocamente si difendessero ». La quale risposta, sebbene si potesse intendere della pace sola e non della lega (conciossiachè la pace ricerca unione ed intelligenza tacita a corrispondente difesa degli stati ) niente di

meno il Pregadi mormorò, parendogli che l' oratore avesse tenuto le ragioni della lega e seguito la voglia dell' Imperatore. Scrive in fine, che il pontefice voleva deputare tre cardinali, i quali avessero a trattare coi Cesarei la impresa contro i Turchi.

Messer Gabriele Venier e il Contarini scrivono, come il duca di Milano era stato a visitazione dell' Imperatore, e che facendogli riverenza aveva detto: «< Ho grandemente desiderato di usare questo ufficio con Vostra Maestà e baciarle la mano, ma la malvagità dei tempi è stata tale che ho dovuto trascorrere sino a quest' ora; nella quale io son venuto a lei anche per iscusarmi delle querele che di me le son porte da molti che mi hanno in odio; perciocchè nel tempo che io stetti nel castello di Milano, io non conosco in modo alcuno di aver fallito contro di lei. Uscito poi di là, se avessi commesso cosa contra la volontà sua, questa è provenuta dalla mala fortuna e dai modi che hanno usato i ministri di Vostra Maestà contra di me: nondimeno io son venuto a gettarmi nelle braccia della infinita clemenza sua e a chiederle perdono del mio errore ». A queste parole del duca, l'imperatore accogliendolo con umanità, benignamente rispose: che egli deputerebbe due che avessero il carico di conoscere le sue ragioni, e che poi verso di lui si userebbe ogni discrezione e cortesia. Il duca replicò, che egli aveva impetrato da Sua Maestà il salvo condotto, solo per venire sicuramente alla presenza, sua; giunto alla quale, e non facendogli più mestieri di esso, lo restituiva. All'incontro, lo imperatore non volendo accettarlo, il duca lo lasciò in fine in mano di uno dei consiglieri di Cesare che ivi era. Scrivono ancora, che il duca aveva loro detto di avere inteso, che il marchese di Mantova aveva instato appresso pontefice e Cesare, che gli fosse concesso lo stato di Milano; al che il pontefice aveva risposto: « Questa cosa è molto difficile, conciossiachè la Signoria di Venezia mai lo consentirebbe »>.

il

Lette le lettere fu messa parte dai Signori sopra le vettovaglie, che tutte le ville dei territorii dello Stato fossero tenute mandare animali grossi per uso di carne in questa Terra, cioè uno per ciascuna ogni anno; e se alcuna non potesse per povertà o carestia, dovesse supplire l'altra vicina che potesse farlo, secondo la discrezione dei periti dei luoghi; per la quale deliberazione si affermava che la città avrebbe ogni anno quattordicimila e ottocento animali. Di poi fu proposto al Senato da tutti i Savi Grandi, eccetto messer Marco Dandolo, e dai Savi di Terraferma, eccetto messer Girolamo da Pesaro, di scrivere all' oratore presso il sommo pontefice: che, perseverando i Cesarei di volere la lega e massime i capi del trattato della pace del millecinquecentoventitré ( i quali erano stati introdotti dal Gran Cancelliere in un suo ragionamento con messer Gasparo Contarini) dovesse assentire ai due primi; cioè di aiutare il duca di Milano e difenderlo con certo determinato numero di genti, ogni volta che fosse molestato da alcun principe cristiano; e di dare all' imperatore, in caso di bisogno, quindici galere per la conservazione del reame di Napoli, solamente contro principi cristiani; e questa lega s' intendesse reciproca a difesa degli stati d'Italia. Messer Marco Dandolo, Savio del consiglio, e messer Girolamo da Pesaro, Savio di Terraferma, vollero che fosse scritto al detto oratore: che la Signoria era contenta, che ai capi della pace ne fosse aggiunto uno pertinente allo stato di Milano, per difesa del quale fosse obbligata dare le genti che voleva dargli il resto del Collegio contro i principi cristiani; nè volevano che si facesse altra menzione di lega, nè di quindici galere, come gli altri; ma sibbene che il duca di Milano fosse obbligato verso di noi reciprocamente in caso di bisogno. Lette queste opinioni in Senato, e non essendo altrimenti disputate dai Savi del Collegio, si levò messer Valerio Marcello, uno dei senatori, e parlò in arringo contro

Vol. VII.

25

tutti e due, consigliando che la espedizione fosse differita, per essere importante, e l'ora tarda.

Alli ventisei di novembre, dopo lette alquante lettere di poca importanza, di nuovo le due opinioni furono proposte al Senato; e in quella dei due Savi entrò messer Francesco Soranzo, Savio di Terraferma. Parlò messer Domenico Trevisano, Savio del Consiglio e cavaliere procuratore, per l'opinione del Collegio e disse: nel mille cinquecento ventitrè la illustrissima Signoria concesse per difesa del duca di Milano e del regno di Napoli le genti e le galere dichiarate nella sua parte; e perciò gli pareva di non negarle al presente, essendone stata ricercata con tanta istanza dal Gran Cancelliere, da tutti i Cesarei e dal pontefice. Non esservi dubbio, per opinione sua e di tutto il collegio, che Cesare era risolto di volere al tutto questa lega; perseverando a negare la quale, generavamo nel suo pensiero sospizione di alcuna intelligenza colla Francia: che, essendo vero che per questa differenza delle quindici galere a difesa del Regno, solamente contro principi cristiani, non si doveva impedire la pace, faceva più per la Signoria l'assentire in una fiata a tutte due le richieste, che ora ad una e, passato qualche giorno, all' altra. Conciossiachè, facendosi a questo modo, sarebbe un dare argomento ai negoziatori cesarei di domandarci ogni giorno cose nuove, e speranza di ottenerle, vedendoci sul principio delle loro richieste, negar loro una cosa e poi in fine concederla; sicchè questa opinione contraria dava loro attacco di richiederci molte cose, di sperar di ottenerle, e che in fine discendessimo alle voglie loro.-Kispose messer Marco Dandolo, Savio del Consiglio: che la lega è sempre semenza e principio di guerra; che il dar quindici galere per la difesa di Napoli metteva in sospetto il Turco che fossimo accordati contro di lui; nè ci valerebbe allora, se si dicesse: queste quindici galere si danno all' imperatore contro i cristiani

soli, perciocchè il Turco nol crederebbe; al quale si doveva avere gran rispetto e dirizzare la mira del governo a non dispiacergli, e ad aver per oggetto principale la conservazione dell' amicizia sua. Onde egli era d'opinione di non far menzione di lega nè di promettere le quindici galere; ma si provederebbe di compiacere a Cesare colla promessa della difesa dello stato di Milano; che l'imperatore aveva gelosia solamente dello stato predetto, e che, quando fosse sicuro di esso, non temerebbe del reame di Napoli.

Risposegli messer Alvise Mocenigo, Savio del Consiglio, per la opinione del collegio, facendo questo esordio. << Appresso i pittori antichi fu costume, che alle figure di Apelle, eccellentissimo pittore, nessuno ardisse por mano; perchè era certa opinione che niuna cosa si potesse aggiungere a quelle da altro pittore, per valente che fosse. Sebbene si dovesse osservare questo stesso costume ogni volta che il preclarissimo messer Domenico Trevisano parla in Senato, nientedimeno la materia che al presente si tratta è sì abbondante e ripiena di ragioni da ogni canto, che io sono spinto a dirne alquante. E riprese: in ogni tempo che questa Repubblica ha fatto pace coll' imperatore ovvero col re di Francia, colla pace ha congiunto la lega; come per diversi maneggi dei tempi passati è manifesto. Se pare onesto alla Signoria, che l' imperatore assicuri lo stato di Milano per rispetto del duca, molto più è conveniente che faccia sicuro il reame di Napoli per il proprio interesse, essendo quello stato suo; onde pareria cosa nuova, che a sua istanza la Signoria nostra fosse contenta di difendere lo stato altrui; e non volesse pel suo stato particolare prestargli aiuto. Le quindici galere che si vuol dargli non sariano bastanti contro Barbarossa corsaro, (1) non che contro la grande potenza del Signor Turco; anzi, vedendo che ci obblighiamo

(1) Intorno a questo famoso pirata del Mediterraneo, vedi la nota (1), pag. 158 del vol. I delle Relazioni Venete.

« ÖncekiDevam »