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CENNI BIOGRAFICI INTORNO A DOMENICO TREVISANO

Domenico Trevisano fu figliuolo di Zaccaria e di una figliuola di Andrea Bernardo. La sua famiglia era di quel ramo che porta lo scudo palleggiato d'oro e d'azzurro di sei pezzi, traversato da una fascia vermiglia. Egli riuscì uno dei più illustri personaggi veneti del suo tempo. Approvato pel maggior Consiglio nel 1464, fino dal 1483-1484 ritrovasi eletto ambasciatore ordinario a Sisto IV. Questo Pontefice, riconosciuti gli studii e l'ingegno del Trevisano, gli offerse dignità ecclesiastiche con annue pensioni per sè e pei figli suoi; ma l'Oratore, sebbene si trovasse in ristretta fortuna, nulla accettava; contento di servire anche in povero stato la patria sua. Nel 1486 andò legato ordinario al Duca di Milano; e nell'anno stesso, insieme con Ermolao Barbaro, ambasciatore straordinario a Massimiliano, per la sua elezione a Re de' Romani; dal quale amendue furono creati cavalieri. Tornato in patria, fu nel 1488 fatto Savio di Terraferma, e nel 1490 Avvogadore del Comune. A Brescia andò Podestà nel 1491. L'anno appresso, avendo Bajazet imperatore dei Turchi licenziato il veneto bailo Girolamo Marcello, perchè comunicava in cifra al Senato i segreti della Porta, fu spedito il Trevisano a persuaderlo di accettare di nuovo il bailo. Il Trevisano fu ben veduto e vestito d'oro, ma non esaudito; dicendogli il Turco di essere risoluto di non volere più bailo a Costantinopoli. Ciò narra il Malipiero nei suoi Diarii (Archivio Storico, tom. VII, P. I. p. 142) d'accordo col Bembo; se non che questi chiama erroneamente Consolo Veneziano il Marcello. Nel 1494 fu ambasciatore a Carlo VIII, insieme con Antonio Loredano, per incontrarlo nella sua discesa in Italia. Trovaronlo a Firenze, e accompagnaronlo nel regno di Napoli. L'anno seguente venne mandato Provveditore a Faenza, a tutela di Astorre Manfredi signore di quella città, ancora in età pupillare; e ciò ad istanza dei medesimi Faentini; la qual cosa dimostra quanto grave e prudente uomo fosse reputato il Trevisano. Nel 1497 addì 20 di Giugno, fu eletto con Antonio Boldù (il quale morì per viaggio) ambasciatore a Ferdinando Re d'Aragona, per trattar della pace fra lui ed il Re Cristianissimo. Il Malipiero ci narra, che nel ritorno (nel dicembre 1498) il Trevisano fu molto onorato dal Duca di Milano, che lo pregò di tenerlo raccomandato alla Signoria. Nell'anno susseguente fu il primo Podestà di Cremona, conquistata allora dall'armi venete. Nel medesimo anno 1499 era stato eletto ambasciatore straordinario a Lodovico XII re di Francia, per la lega contro il Duca di Milano; ma rifiutò, e vi andarono in suo luogo Marco Giorgi e Benedetto Trevisano. Pure nell'anno istesso, con Niccolò Micheli, Niccolò Foscarini e Benedetto Giustiniani, ando ambasciatore straordinario al Re Lodovico, per rallegrarsi a nome della Repubblica dell'acquisto dello stato di Milano. Il Malipiero (1. c. p. 565) non dice i nomi degli ambasciatori; ma aggiunge ch'ebbero commissione di esortare il Re ad andare, dopo il parto della Regina, contro i Turchi, ad imitazione de' suoi maggiori. E torna ad onore del Trevisano, che ai 29

di Luglio 1499 fosse presa parte in Maggior Consiglio, ch'egli potesse ssere eletto e provato in ogni carica dentro e fuori della città, come se fosse presente. Nell'anno 1501, del mese di Giugno, andò in Francia con Girolamo Donati, per congratularsi col Re Lodovico dell'acquisto del Regno di Napoli; e in questo stesso anno teneva il reggimento di Padova. Nel 1502 fu per la seconda volta del magistrato Sopra gli Atti e Savio del Consiglio; nella qual carica, nota il Priuli, fu trentatrè volte. Per tanti suoi meriti, ai 4 di Agosto del 1503 fu decorato della dignità di Procuratore di San Marco de Ultra in luogo di Andrea Gabrieli. Nello stesso anno ebbe con altri una ambasceria straordinaria a Giulio II, per complimentarlo nella sua promozione al trono pontificale. Ai 24 di Aprile 1507 venne eletto con Paolo Pisani ambasciatore straordinario a Lodovico XII, nel suo ritorno in Italia per recuperar Genova, che gli si era ribellata; e lo trovarono in Milano, e con esso andarono all'impresa di Genova. Accompagnaronlo poscia a Savona, dove intervennero al suo abboccamento con Ferdinando di Aragona. Nel 1508, essendo Savio del Consiglio, e trattandosi se si dovessero o no restituire Rimini e Faenza e altre terre della Romagna al Pontefice, il Trevisano sostenne con grande calore la negativa. Se stiamo al Guicciardini, il Trevisano fece in quell'incontro una orazione, piena di concetti oltraggianti alla Maestà dei Romani Pontefici; ma nulla dicendo di cotale discorso nè il Bembo, nè il Mocenigo, nè Pietro Giustiniano, nè altri, è da credersi che sia dal Guicciardini attribuito al Trevisano senza alcun fondamento. Si sa anzi che i Padri nessuna risposta diedero alle domande che il Papa per altrui mezzo faceva alla Repubblica. Nell'anno 1509, a dì 26 di Giugno, con Leonardo Mocenigo, Luigi Malipiero, Paolo Cappello, Paolo Pisani e Girolamo Donato, fu eletto nuovamente oratore a Giulio II, per rimuoverlo dal suo mal animo verso la Repubblica, e procurare l'assoluzione dall'interdetto. E nel vegnente 1510 fu ordinato, che il Trevisano e Leonardo Mocenigo andassero senza indugio ancora a Giulio II, per la sua venuta a Bologna. Ritornato da questa legazione, tenne il Trevisano il dì 1 di Aprile 1510 la relazione di metodo nel Senato, della quale il Sanuto ci conservò il sommario. Nel 1511 fu stabilito di spedire un ambasciatore al Soldano d'Egitto, che difendesse le ragioni della veneta mercatura non dirittamente amministrata dagli Alessandrini; e fu scelto Domenico Trevisano in luogo di Pietro Balbi, che aveva rifiutata tale legazione. Il Trevisano fu dal Soldano ricevuto con ogni dimostrazione di onore, e facilmente ottenne la confermazione di buona amicizia; e nel 1512 tornò in patria con molti elogi. Nel 1513 a dì 28 di Giugno, con altri nove, fu eletto ambasciatore a Leone X per lo suo avvenimento al trono. Ma sebbene si sappia dal Sanuto, che il Papa abbia gradita la notizia di tale elezione, pure non apparisce che siano partiti; e forse la loro partenza fu sospesa perchè si scoperse l'animo di quel Pontefice avverso alla Repubblica, siccome asserisce il Doglioni (Lib. XII. p. 610.) In quest'anno 1513 con Pietro Balbi fu mandato a Padova per dare ajuto e consiglio al Capitan generale Bartolomeo Alviano. Era Savio del Consiglio, quando nel 1514 fu con Leonardo Mocenigo, suo collega, spedito Revisore e Provveditore in Campo a rivedere gli alloggiamenti

e intendere l'opinione dei Capitani, ed esaminare la qualità del sito, dove voleva trattenersi l' Alviano per essere più sicuro dai nemici; e nel 1515 con Giorgio Cornaro fu di nuovo inviato al campo per accomodare le differenze che insorte erano tra l'Alviano e Renzo da Ceri, non volendo questi sottostare al primo. Quantunque di grande autorità e d'eloquenza fossero i due Senatori, non poterono nondimeno acquietare quegli animi da invidia e da sdegno perturbati, e ritornarono in patria senza alcun frutto. In quest'anno 1515, ai 31 di Agosto, con Andrea Gritti, Antonio Grimani e Giorgio Cornaro, andò legato straordinario a Francesco I re di Francia in Milano, per rallegrarsi della vittoria di Marignano, e per ricercare gli ajuti coi quali ricuperare le terre della Repubblica in esecuzione della Lega. Il Trevisano, come il più giovane, fece il discorso, che in istile oratorio è riportato dal Paruta, e con assai minore eleganza e maggior brevità anche dal Mocenigo (Guerra di Cambrai p. 126, ediz. ital. 1544).

Morto nel 1521 il Doge Leonardo Loredano, concorse al principato anche Domenico Trevisano; e ben ne sarebbe stato degno, se la sorte non avesse favorito Antonio Grimani. Nel 1522 fu eletto generalissimo del mare, e con l'armata veneziana spedito verso Capo Malio, per osservare i progressi della turchesca, che apparecchiavasi ad assalir Rodi. Le istruzioni date in quest'incontro al Trevisano leggonsi nel Paruta (I. 353-354).

Anche nel 1523, per la morte del Grimani, concorse al principato; ma venne proclamato Doge Andrea Gritti. Savio ancora del Consiglio nel 1524, persuadeva in Senato la lega con Francesco I contro Carlo V; e i sentimenti del Trevisano esposti in tale quistione ci furono conservati dallo storico Paruta in un apposito discorso; e fu gloria per l'oratore di vincere l'opinione, poichè nel principio del 1525 fu stabilita e conchiusa la pace e la lega coi Francesi. Ma allorquando nel 1528 agitossi in Senato, se si dovessero restituire a Clemente VII Ravenna e Cervia, parlando il Trevisano a favore della restituzione, vinse l'opinionè contraria di Luigi Mocenigo; ed ambedue le orazioni furono registrate dal Paruta (1. 487 ec.)

Finalmente, ai 28 di Dicembre 1535, Domenico Trevisano passò all' altra vita più che ottuagenario, come si vede dall' epigrafe sul suo monumento in San Francesco della Vigna. Il ritratto di lui, fatto dal Tiziano, vedevasi nella Sala del Maggior Consiglio innanzi l'incendio. Ma se grande uomo di stato era il Trevisano, non era meno riputatissimo letterato. Apostolo Zeno, ove parla di questa illustre famiglia (Lettere. vol. I. p. 197, 198. ediz. 1785) notava la testimonianza di Battista Egnazio nel libro degli Esempli memorabili, che il Trevisano occupava nello studio tutte le ore che aveva libere dai pubblici affari. Dalle lettere del Bembo appare ch'era suo amico. Da quelle di Pietro Delfino e di Bernardino Gadolo Camaldolesi si ha testimonio della insigne letteratura del Trevisano; e Filippo Callimaco Esperiente lo ripone fra i più chiari ed eruditi personaggi dell'età sua. Lo Zeno attesta eziandio di avere vedute moltissime lettere originali indirizzate al nostro Domenico da gran principi e letterati. Esse erano nella famosa biblioteca di Bernardo Trevisano.

Disse, che, giunti a Roma, il papa non li volle udire, per stare sulla riputazione; e poi dette loro quelli reverendissimi cardinali per auditori, come scrissero. E dimandò il papa quattro cose: il possesso dei benefizii; che le cause andassero a Roma; che le decime al clero non si mettessero; e per le entrate riscosse dalle terre della Chiesa, si armassero contro gli infedeli certe galere: e tutto si trattava a casa del reverendissimo di Napoli (1). Concesse queste petizioni dalla Signoria nostra, trovò due altre proposizioni: del Vicedomino di Ferrara, che fosse levato, e del Golfo; le quali due cose erano molto disoneste, ed accerta l'oratore, che lui e il Donato, disputarono assai de jure davanti li auditori. Ora il papa, non potendo far di meno, fu contento; onde, avuto tal ordine, secretissimamente trattò col signor Franco degli Uberti, familiare del papa; perchè il papa prima aveva detto di far lega, se la Signoria lo compiaceva. E allor finalmente gli parve di levar la scomunica; ma prima fu bisogno di aver nuova forma de validitate mandati. (omissis aliis). — L'assoluzione fu fatta con grande onore di questo stato, ed in pubblico; e alcuni dubitavano che li volesse sulle banchette, e colle cinture al collo; ma non ne fece nulla; anzi vestiti di scarlatto, baciarono il papa tre volte; e fu letto l' istrumento tanto piano che niuno l'intese.

(1) Cardinale Oliviero Caraffa.

Poi furono accompagnati in chiesa da quattro cardinali, tra i quali i penitenzieri; e poi accompagnati a casa dalla famiglia del papa e dei cardinali, con giubilo di tutta Roma e suoni e canti, che fu un grandissimo trionfo. E addì 25, il papa mandò a chiamare tutti cinque essi oratori, e i due nostri cardinali, i quali si sono portati benissimo. E giunti, disse: « magnifici domini oratores, non vi paia strano, se siamo stati tanto a levar l'interdetto: quella Signoria n'è stata causa; dovea compiacere alle petizioni nostre; e ci doliamo delle censure alle quali ci fu forza di sottometterla; e le ricordiamo che stia bene coi pontefici, che si suol dire: pietra santa ti caccia in casa. Dopo questo atto avrete assai beni; e da noi non mancherà ogni beneficio. Vogliamo andare a Civitavecchia, e li staremo qualche dì; e per non dar sospetto, il Donato verrà con noi ». Onde risposero, assicurando Sua Santità della filiale osservanza di questo Stato. E perchè questo colloquio è stato quasi cambiato, e lo stare in Roma era quasi infruttuoso, gli altri quattro oratori determinarono di partirsi per Venezia; dicendo, che Messer Girolamo Donato tratterà meglio solo: e di questo venir via, il Trevisano si scusò assai. E andati addì 28 a torre licenza, il papa disse loro: saluterete quel principe e la Illustrissima Signoria in nome nostro; e comunicò loro alcuni avvisi, come scrissero. E vennero in Ancona; e li stettero alcuni dì, sinchè venne la galea Polana a levarli: e se montavano in galea, actum erat di loro, per la fortuna che si levò; e cessata, giunsero salvi in questa Terra.

Quanto a quello che si può sperare dal papa, tiene che il papa non farà lega colla Signoria, se il re di Francia non viene in Italia; il quale venendo, certo vien contro il papa; e di questo ha gran paura: ma ben aiuterà questa Signoria con brevi e parole; e desidera molto che essa abbia Verona e che siegua l'accordo con Massimiliano; e mandò alla Dieta il vescovo de' Grassi a questo effetto. E il papa comunicò ad

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